La storia del vitello tonnato è abbastanza facile da ricostruire nelle sue tappe fondamentali, a differenza di tanti altri piatti della nostra tradizione. Nel corso del XVIII secolo il tonno era considerata una specialità ittica non particolarmente prelibata che veniva commercializzata per lo più sott’olio o sotto aceto. Insomma, un prodotto per cittadini poveri che una volta ogni tanto volevano far finta di essere ricchi, mangiando il pesce. Da fresco era ritenuto piuttosto indigesto e Francesco Leonardi nel suo L’Apicio Moderno del 1790 consiglia di lasciarlo sotto sale alcune ore prima di cucinarlo in modo che «la carne averà un gusto più grato, e si avvicinerà alquanto a quella del vitello».

Eccolo lì il fatale accostamento! Questa somiglianza, infatti, non passerà inosservata e sarà alla base delle ricette che daranno vita all’antenato del vitello tonnato. Non è un caso se le prime preparazioni ottocentesche non mescolano il pesce con la carne, ma propongono piuttosto di trattare il vitello «come il tonno», sottoponendolo a una breve salatura per poi lessarlo e infine conservarlo sott’olio. La cosa curiosa è che questo modo di procedere sembra essere nato in Francia; il Dictionnaire de cuisine et d'économie ménagère di M. Burnet del 1836 con la ricetta dal titolo inequivocabile Manière de donner au veau l’apparence et le goût du thon mariné (Maniera di dare al vitello l’aspetto e il gusto del tonno marinato). In questo caso il vitello viene messo sotto sale per qualche giorno con aromi vari e alcuni filetti di acciuga, in seguito lessato nel vino bianco e infine fatto riposare immerso nell’olio in un recipiente di vetro, per essere gustato come il tonno.

Transfrontalieri

Dalla Francia si passa in Svizzera, con la ricetta del Vitello ad uso tonno ne Il nuovo cuoco ticinese economico di Luigi Franconi nel 1846 e da lì in Lombardia con il ricettario di Felice Luraschi nel Nuovo cuoco milanese economico del 1853. In ogni caso, stiamo parlando di ricette che non prevedono l’uso del tonno.

A questo punto che entra in scena il protagonista della nostra vicenda e, come sempre accade nella storia della cucina italiana, non si tratta di un cuoco professionista, ma di un dilettante abituato ad arrangiarsi con quello che trovava e quindi a fare di necessità virtù. L’autore che compie il piccolo, ma decisivo passo finale è Angelo Dubini, milanese, di professione medico e ricercatore. Oltre a numerosi saggi di medicina, pubblica nel 1862 un ricettario dal titolo La cucina degli stomachi deboli: ossia pochi piatti non comuni, semplici, economici e di facile digestione con alcune norme relative al buon governo delle vie digerenti che contiene tre diverse ricette per il “Vitello tonnato”. Una di queste, per la prima volta, utilizza una salsa composta da tonno e acciuga tritati che viene diluita con il fondo di cottura del vitello insieme a olio e limone. Una volta abbandonato il proposito di simulare il tonno sott’olio con la carne di vitello, deve essere sembrato piuttosto naturale associare direttamente i due alimenti nel piatto, oltre che nel titolo della ricetta.

Ovviamente a un certo punto scende in campo anche l’onnipresente Pellegrino Artusi, il quale inserisce la ricetta del vitello cosparso di salsa al tonno già nella prima edizione della Scienza in cucina del 1891. Artusi consiglia di lessare il vitello e, una volta freddo, lasciarlo marinare per due o tre giorni coperto da una salsa composta da tonno, acciughe, capperi, olio e limone. Qualche decennio dopo, viene proposta una versione particolare da Ada Boni nel Talismano della felicità del 1927, che cuoce in pentola il vitello insieme a cipolla, tonno, alici e vino bianco per poi ottenere la salsa dallo stesso fondo di cottura diluito con olio e succo di limone. La stessa ricetta è ripresa anche nella ricetta Vitello tonnato n. 1 de Il cucchiaio d’argento del 1950, mentre nel Vitello tonnato n. 2 la salsa viene arricchita con la maionese, una novità per renderla più vellutata e cremosa. Proprio quest’ultima versione è oggi la più canonica e utilizzata, perché incontrò subito un grande successo presso famiglie e ristoratori, come dimostra anche l’inserimento della ricetta tra le specialità lombarde da Anna Gosetti della Salda ne Le ricette regionali italiane del 1967, dove consiglia di preparare la salsa con una «abbondante maionese».

La popolarità del vitello tonnato è stata tale da mettere in ombra la ricetta originale del “vitello a uso tonno” da cui aveva tratto origine. Questo piatto scomparve definitivamente dai ricettari nel giro di un paio di decenni.

Ma le avventure del vitello tonnato non sono ancora finite. A un certo punto succede che il medico e fisiologo americano Ancel Keys, inserisca la ricetta del Jugged veal and tuna, modified from P. Artusi nel suo best seller Eat well and Stay well. È probabile che a molti di voi questo titolo dica poco o niente e lo stesso autore vi risulti sconosciuto, ma è un peccato, perché il dottor Keys, già molto noto in America per aver inventato la razione K (dall’iniziale del suo cognome), è colui che si è inventato anche la dieta mediterranea, della quale noi italiani, senza alcun motivo, ci siamo appropriati e andiamo orgogliosamente fieri.

Eat well and Stay well, pubblicato per la prima volta a New York nel 1959, è proprio il libro nel quale i principi della dieta mediterranea vengono in qualche modo sanciti e istituzionalizzati. Il fatto che un piatto come il vitello tonnato, certamente non appartenente alla tradizione alimentare del mezzogiorno italiano, sia entrato in quel ricettario, dimostra come l’intento di Ancel Keys non fosse quello di descrivere il tradizionale sistema alimentare italiano e raccontarne la storia, ma, molto più banalmente, fornire buoni e gustosi consigli per una corretta alimentazione, indipendentemente dalle origini e dalla provenienza dei piatti stessi.

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