Dice Juan Mari Aburto, sindaco di Bilbao, che la sua città vuole mostrare di essere sicura, sicura e gradevole, accogliente. Esiste allora un solo modo per mandare le immagini delle tue strade e delle tue piazze in tutto il mondo, per mettere in bottiglia un messaggio del genere e farlo circolare. Devi rattoppare l'asfalto e farci passare il Tour. Così hanno fatto quassù, nel cuore politico dei Paesi Baschi, 500 km all'incirca dal confine di una Francia in queste ore calda, caldissima, per il fuoco appiccato nelle banlieue. Il fuoco dell'insurrezione politica nei Paesi Baschi è stato invece spento cinque anni fa, quando s'è sciolto definitivamente l'Eta, il gruppo terroristico che negli anni 80 faceva esplodere bombe in giro per il paese, spargeva sangue e chiedeva indipendenza. 
Benvenuti al Tour de France che parte dalla Spagna, come un anno fa il Giro d'Italia s'avviò dall’Ungheria, il Tour dalla Danimarca, la Vuelta di Spagna dall’Olanda. Una volta col ciclismo imparavi le regioni della geografia, adesso è la geografia che impara le ragioni dell’economia. È marketing, bellezza. L'anno venturo il Tour lo aspettiamo noi in Italia, tra la Toscana e l'Emilia-Romagna, perché Parigi avrà le Olimpiadi e troppi pesi assieme non si possono portare. È la 25esima volta che i francesi portano all'estero il Gran Départ, l'ottava in tredici anni, a 69 di distanza da quei pionieri di Amsterdam, dove lasciarono i caffè aperti di notte e permisero ai locali di vendere alcolici fino alle 4 del mattino. Nemmeno per le celebrazioni dell'incoronazione dei sovrani, era mai stata concessa una cosa del genere dal governo. 

    È un grande omaggio della Francia a un'altra terra pazza per le biciclette, fatta di gente che s'arrampica sui Pirenei e soffia dietro la schiena degli scalatori, qualche volta mette anche la mano e spinge, frusta le facce di chi corre con un getto d'acqua, mentre il resto della folla ondeggia, stringe la strada verso la cima, e tutt'intorno è verde, bianco, rosso, i colori dell'ikurrina, la bandiera dell'autonomia. Nel 1992 il gran carrozzone del Tour aveva percorso i primi km a San Sebastián, fu la più politica tra le partenze, più d'oggi, eravamo nel pieno del terrorismo, tanto che la Vuelta aveva smesso di spingersi nella regione dal 1978. Dieci anni prima, una bomba era esplosa al passaggio del gruppo durante la corsa, tra Vitoria e Pamplona. Non fece vittime, ma spinse gli organizzatori ad accorciare la tappa e rafforzare la sicurezza per i tre giorni successivi, come ha ricostruito Luc Herincx su L'Équipe nei giorni scorsi. 

    Quando nel 1978 dei tronchi d'albero vennero sdraiati lungo la strada per impedire il passaggio dei ciclisti, la Vuelta decise ch'era troppo. Voltò le spalle ai baschi e la Francia andò a colmare il vuoto sentimentale. Cinque anni ancora, e sempre a San Sebastián la federazione internazionale ci portò i Mondiali, l'Eta mise un'autobomba a cento metri dal circuito, tre agenti della Guardia Civil rimasero feriti. Eppure, tanta tensione e tanto dramma, non ha impedito alle squadre regionali di tenere un forte legame col loro mondo. Giovanni Battistuzzi, firma di ciclismo del Foglio, ha scritto una volta: Erano anime inquiete, da transumanza e fughe. Erano anime ascensionali, da alta quota e solitudine. Erano anime coraggiose, da foga e da arrembaggio. Erano un colore e una bandiera. Erano una croce bianca e una ics verde su sfondo rosso, eppure un colore soltanto, almeno sui pedali: arancio, sintesi additiva degli ultimi due. Erano un nome: Euskaltel. Era la squadra con le maglie arancioni che ogni nerd del ciclismo conosce bene. 


|    «La patria non è un concetto con un unico significato. Cambia da una persona all’altra, da un paese all’altro. C’è un’accezione amabile della patria da cui nessun essere umano capace di socialità è dispensato. È quella che professiamo per il luogo in cui è trascorsa la nostra infanzia, in cui abbiamo imparato le lettere e i numeri, in cui ci possiamo connettere emotivamente con certi paesaggi, da cui provengono i nostri antenati o la squadra di calcio le cui vittorie ci rendono felici. Il problema nasce quando sacralizziamo la patria, discriminiamo in suo nome, cerchiamo di imporla ad altri o la prendiamo come pretesto per commettere delle atrocità». Fernando Aramburu intervistato da l’Espresso [15 novembre 2017] 

    Carlos Arribas ha raccontato su El País che nelle città della regione sono state distribuite 60.000 ikurriñas tra i tifosi, sono attesi milioni di persone tra oggi e lunedì, da Bizkaia a Gipuzkoa, Araba. La presentazione delle squadre s’è tenuta al Guggenheim, simbolo della grande trasformazione di Bilbao da città brutta, industriale, oscura, in una delle perle del paese. Il governo basco, i municipi e i consigli provinciali hanno speso un totale di 12 milioni di euro per organizzare la partenza, gli hotel hanno moltiplicato i prezzi, si calcola che verranno generati circa 100 milioni di euro di introiti, per oltre 15 ore di paesaggi, riprese aeree dei monumenti, ciclisti che sudano e attaccano, con cui le televisioni di mezzo mondo nutriranno il loro pubblico da San Mamés, Bilbao, Bayonne, Iparralde, da montagne e coste, dice ancora Arribas dalla Spagna. Due volte passerà oggi pure da Guernica, “e racconterà non la piccola, ma la grande storia” ha ricordato invece Romain Boulho su Libération

SI PUÒ SAPERE CHI VINCE?

Un duello atletico. Il teatro dei sogni. È così che stamattina introduce la corsa L’Équipe, giornale di proprietà del gruppo organizzatore della corsa, Aso. Al Tour che parte il quotidiano sportivo dedica le sue prime 19 pagine, una più bella dell’altra. La sua firma più immaginifica, Alexander Roos, forse il più grande raccontatore di ciclismo che oggi esista al mondo, ha scritto che “le previsioni del tempo nei Paesi Baschi sono titubanti come i passi degli ubriachi che escono dai bar all'alba. Sia la pioggerellina che ieri mattina ha lavato le strade di Bilbao sia il sole che ha tentato un timido sfondamento hanno fermato i nostri pensieri e ci ha fatto sentire, come sempre, la vertigine del giorno prima dell'inizio”. 

Il grande favorito si chiama Jonas Vingegaard, danese, 26 anni, il vincitore dell’estate scorsa. Ha le gambe per  riuscirci, la sua sfida è soprattutto mentale, dice Roos. Primo: perché molti di quelli che hanno portato la maglia gialla agli Champs-Élysées non si sono più ripresi dallo shock adrenalinico. L’Équipe fa i nomi di Jan Ullrich, Marco Pantani e Bradley Wiggins [presi dai loro demoni]. Secondo: perché un segnale di disequilibrio il povero Jonas lo mandò subito, appena rientrato a casa, disse di sentire un vuoto, forse era un peso, forse tutt’e due le cose. “Sentiamo nel leader della Jumbo-Visma – scrive Roos stamattina – una fragilità che lo avvicina a noi, oltre a una timidezza che vorremmo esplorare di più e che contrasta con la sua freddezza in bici”. Diciamo la verità. Il favorito non sarebbe lui, se qui ci fosse il Tadej Pogačar che abbiamo visto fino al mese di aprile, immarcabile, 12 vittorie in 19 giorni di corsa, comprese le classiche di Fiandre, Amstel, Freccia Vallone. Quando è andato alla Liegi-Bastogne-Liegi per aggiungere un nuovo grano al rosario, è caduto e si è rotto il polso sinistro in più punti. Si presenta alla partenza senza alcuna garanzia, ma con due vittorie nelle prime due corse in cui è tornato, i campionati nazionali del suo paese, la Slovenia, sia a cronometro sia nella prova in linea. Li ha festeggiati ironizzando sul brutto vizio del giornalismo di raccontare una donna come la fidanzata di. Era successo proprio poche ore prima, che Urska Zigart venisse presentata proprio così: la ragazza di Tadej. Allora Tadej è andato sui social e ha scritto che il nuovo campione di Slovenia era il fidanzato di Urska. 

La classifica generale dovrebbe essere un affare tra loro due, ma nei primi giorni c’è spazio per i guastatori e per le altre tre grandi figure di questa età dell’oro che sta vivendo il ciclismo, il belga Wout van Aert, l’olandese Mathieu van der Poel, il francese Julien Alaphilippe. È l'ultima cavalcata di tre giganti, lo slovacco Sagan, il britannico Cavendish, il francese Pinot. Il numero 61 è stato ritirato dalla corsa. Lo portava dietro la schiena Gino Mäder, morto qualche settimana fa in corsa, al Giro di Svizzera. È uno degli esordi più difficili mai immaginati, con un week-end di apertura senza noi, e mercoledì i Pirenei. Con tutto quel che sta accadendo in Francia. Per la quarta volta senza Gianni Mura. 


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 I TITOLI IN GIRO      

 Domani: “La maglia gialla si cuce a Bergamo, ma il ciclismo italiano al Tour è grigio”

Le maglie dei corridori erano fatte di lana, con la pioggia e il vento finivano per pesare un quintale e al traguardo ti arrivavano al ginocchio. Ci volevano dieci ore per realizzarne una. Al Tour ne potevi avere al massimo due: una d’ordinanza, l’altra di scorta. Oggi una maglia gialla richiede ancora manualità e sapienza, virtù artigianali intramontabili, ma bastano sì e no trenta minuti perché dal materiale prenda forma una realtà da indossare  [Giorgio Burreddu]

 Corriere della sera: “Duelli, salite e poca Italia. Via al Tour formato reality”

In ogni serie di successo non mancano i casi umani, che strappano lacrime e promettono imprese. Riuscirà a stare alle costole dei primi Egan Bernal, l’eroe del 2019 che porta i segni delle 20 fratture subite in un terribile incidente di allenamento lo scorso anno?  Ci regaleranno un guizzo i sette italiani (tutti gregari a parte Giulio Ciccone, libero cacciatore di tappe e di maglie a pois), la più esigua spedizione tricolore degli ultimi quarant’anni? [Marco Bonarrigo]

  Repubblica: Intervista con Alberto Contador: “Mai un avvio così duro. Io attaccherei già oggi” 

  La Gazzetta dello sport: Tour da giganti, Ciccone potrà fare l’arbitro”

Dopo 120 anni, il Tour che parte oggi da Bilbao resta la più prestigiosa e ambita avventura su due ruote.
Le bici dei protagonisti pesano la metà (intorno ai 7 chili) rispetto a quella del baffuto Garin, ma restano triangoli di metallo (anzi di carbonio) su due ruote spinte da una cinghia di trasmissione (la catena). [Pier Bergonzi]

 Bicisport: “Il Tour a casa di Olano, che diventò il primo campione del mondo spagnolo al posto del suo capitano Indurain”

Mi spiegarono dove avrei trovato la casa degli Olano, arrampicata tra la montagna e la ferrovia. Erano le due del pomeriggio, suonai il campanello, e venne ad aprirmi una donna. Non riusciva a credere che fossi venuta dall’Italia, ma si riprese in fretta dalla sorpresa. Si sforzò di parlare spagnolo. «Ti piace la tortilla con la patate?». Senza quasi aspettare risposta, aggiunse un piatto a una tavolata extralarge, e cominciò a raccontare. [Alessandra Giardini]

 Bici Pro: “Perché Froome non è al Tour. Viaggio fra le sue ombre”


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