Raggiunse un tratto quasi pianeggiante, dove indugiava ancora l’umidità col suo fumo che confondeva i contorni. Da dietro un masso, Nando sentì un fruscio, un tocco appena udibile ma distinto. Si ripeté di nuovo, mentre dagli alberi piovvero in quell’istante delle lame di luce che rischiararono il bosco. Un grosso cervo si materializzò sbucando dalla roccia, vicino, silenzioso. Annusò il terreno con il muso basso, poi si voltò nella sua direzione. Lo fissò con i suoi occhi neri, sfere lucide che tagliavano lo spazio. Fu un momento, l’animale si voltò di scatto e corse verso la montagna. Si allontanava in fretta, senza nemmeno emettere il suono del respiro. Soltanto il tocco degli zoccoli sul terreno. Poi si udì un sibilo acuto che si spense quasi subito. Il cervo rallentò, come se avesse improvvisamente dimenticato la ragione della corsa e tutto avesse di colpo perso significato.

Nando avanzò di qualche passo. Alla sua destra udì di nuovo il sibilo. Questa volta più breve, generato da una macchia d’alberi poco più avanti. Il grande animale rallentò ancora. Fece qualche passo senza nessuna convinzione, piegò le zampe anteriori e cadde, rotolando su un fianco. Allora Nando le vide: due frecce nere penetrate in profondità nel petto dell’animale. Avevano tagliato carne e muscoli e trafitto il cuore con precisione assoluta, e ora il sangue sfuggiva dalle ferite portandosi via la vita del cervo.

Dal folto sbucò di corsa un uomo imponente. Portava pesanti pantaloni scuri e una giacca militare. Balzava veloce lungo il pendio, battendo il terreno con gli scarponi pesanti, ma senza produrre rumore. Era leggero quanto il cervo che aveva appena abbattuto, sicuro in ogni movimento. Nella sinistra stringeva un arco in metallo. Quando arrivò vicino all’animale morente, si voltò verso Nando. Lo fissò con occhi neri, quasi nascosti dal cappello di lana calcato in testa e dalle sopracciglia folte. Il viso era inondato da una barba ispida e color cenere.

Depose a terra la sua arma, appoggiò un piede sopra il cervo abbattuto e strappò le frecce, una dopo l’altra. Fece un cenno con la testa in direzione di Nando, come se fossero intesi di trovarsi là e fosse naturale chiedere il suo aiuto. Sulle spalle portava uno zaino, da cui estrasse un telo di plastica e una corda. La legò attorno alle corna dell’animale, in fretta, facendola poi passare sopra un ramo. Guardò di nuovo Nando, ripetendo il gesto di poco prima.

«Allora? Devo fare tutto da solo?» disse.

Nei boschi con Franz

Lo chiamavano Franz, perché da giovane aveva vissuto in Austria, molti anni prima. Nando poteva trovare nei suoi ricordi di bambino alcune immagini legate a quella figura selvaggia, un uomo che compariva di rado in paese, sempre con la barba lunga, i capelli ispidi, le mani nere. Andava a caccia anche quando era vietato; la gente lo sapeva, ma nessuno lo aveva mai visto trasportare la carcassa di qualche animale. Aveva una casa appartenuta a sua madre, dove dormiva qualche volta, mai per più di due o tre giorni consecutivi. Per il resto del tempo viveva sulla montagna, in alcune malghe chiuse per l’inverno, nei bivacchi, in ripari di fortuna. Diceva che non sopportava la gente se non per brevi momenti e, piuttosto di sparare a qualcuno, preferiva rifugiarsi nel folto, dove nessuno poteva trovarlo.

Il mestiere di cacciatore di frodo gli rendeva abbastanza da permettergli di fare quella vita randagia, senza casa e senza riposo. Si spostava sui diversi versanti della montagna seguendo gli animali. Per lui era facile catturarli. Aveva una capacità istintiva di intuire i loro movimenti. Da ragazzo, Nando lo aveva incontrato durante uno dei suoi giri. Franz lo aveva convinto ad accompagnarlo in alto, dove spariva la foresta e restavano solo le rocce. Lo portò su uno sperone di pietra con una spaccatura per potersi rincantucciare nell’ombra. In lontananza, alcuni caprioli salivano lungo un crinale. Erano distanti, irraggiungibili per il cacciatore, ma lui non si mosse. Disse soltanto la parola «aspettiamo» e indicò uno spiazzo qualche decina di metri più in basso. Il fucile puntava in quella direzione.

Nando trascorse il tempo a osservare le nuvole correre nel cielo, fino a quando si rese conto che Franz stava uscendo dalla sua immobilità. Un capriolo si era staccato dagli altri e stava scendendo con prudenza verso lo spiazzo, come se fosse attirato dalla volontà del cacciatore. Superò tratti molto ripidi, saltellando nel silenzio della montagna. Qualche pietra rotolò al tocco dei suoi zoccoli, qualche nuvola di polvere si sollevò nel fruscio del vento. Continuò a scendere, fino a raggiungere il punto che Franz aveva previsto. Gli bastò premere il grilletto, senza quasi aver bisogno di mirare, e il capriolo si accasciò a terra.

Nei mesi successivi, Nando lo vide all’opera altre volte, perché aveva convinto il cacciatore a portarselo dietro per farsi insegnare il mestiere. Visse anche lui in modo selvaggio, scoprendo i segreti della montagna, con i suoi rifugi imprevisti in luoghi dove apparentemente non c’era nulla. Invece esistevano molte grotte, baracche costruite in tempi remoti, ripari sotto le rocce dove qualcuno, nei secoli, aveva vissuto o si era nascosto. I boschi erano vivificati dai resti di quelle presenze umane, remote e dimenticate, in grado di lasciare segni che la montagna custodiva. Nando rimase affascinato dalla scoperta di quel mondo, ma più di tutto lo inebriava la capacità del cacciatore di prevedere le mosse degli animali, quasi fossero soltanto figurine poste su binari che dovevano necessariamente passare in determinate stazioni e Franz, in un modo misterioso, conoscesse quei percorsi, le fermate, le curve, i punti in cui rallentavano. A volte aveva l’impressione che fosse in grado di proiettare lo sguardo avanti, come se si trovassero su una pianura senza ostacoli. Forse gli alberi, le rocce, le ombre della valle erano solo un’illusione, un velo che lui era riuscito a sollevare, mentre frenava tutti gli altri, le persone normali, prive di quel potere.

Anche adesso emanava quell’aura, sebbene i suoi capelli fossero diventati grigi. Il cacciatore lo guardava con gli occhi infiammati, tenendo la corda tra le mani.

I rumori

«Allora?» chiese ancora.

«Arrivo».

Nando percorse in fretta il tratto di salita. Senza parlare, lo aiutò a sollevare l’animale. Pesava più di quanto avesse immaginato. Fecero fatica a legare la corda al tronco dell’albero, ma presto il cervo fu pronto, con il corpo teso e gli arti irrigiditi verso il terreno. Franz si avvicinò. Portava un lungo coltello alla cintura. Lo posò alla base della testa dell’animale e lo mosse in modo circolare tagliando la pelle, poi scese in basso con un movimento preciso, incidendo il collo in profondità. Con la lama tagliente liberava la carne, man mano che andava sfilando quella guaina sanguinolenta. Nando gli fermò il braccio.

«Cosa vuoi?» gli chiese il cacciatore.

«Li hai sentiti quei rumori sulla montagna?»

«Lasciami! Non vedi che stanno già arrivando le mosche?»

Franz si divincolò e riprese a staccare la pelle dal collo del cervo, ma Nando lo bloccò di nuovo.

«Li hai sentiti o no?» «Sono solo le fantasie di un milanese!»

«Sai anche tu che non è così».

Il cacciatore appoggiò il coltello su una pietra. Da una tasca estrasse una sigaretta. L’accese senza domandare a Nando se volesse fumare. Aveva le mani sporche di sangue.

«Sembrano versi di una bestia immonda, vero? Una creatura mostruosa che si aggira per questa valle! Be’, venga pure a cercarmi! Io creperò solo perché sarà la montagna ad ammazzarmi! Con il vento, con la pioggia, con il freddo o con i suoi crepacci! Allora le bestie che ho ucciso in tutti questi anni potranno avere la loro vendetta. Caleranno dal bosco e mangeranno quello che resta dell’uomo che ero stato. Ma sarà la montagna, solo lei, a decidere quando».

Raccolse lo zaino e prese un seghetto. Cominciò a staccare le zampe anteriori del cervo a partire dall’articolazione del ginocchio. Nando era infastidito da quel lavoro di macellazione e voleva soltanto andarsene.

«So che non è un animale» disse.

Franz lo guardò negli occhi, ghignando. Si grattò la barba con il seghetto insanguinato.

«Sei certo che non lo sia?» chiese.

«Io non sono un milanese, Franz».

«Allora sali verso la stalla del tuo amico, ma esci dal sentiero quando arrivi alla croce. Passa dove ci sono le felci».

Nando non rispose. Si voltò in fretta, con il solo desiderio di allontanarsi dall’animale abbattuto, che già diffondeva puzza di morte.

«Stai attento» gli gridò dietro il cacciatore, prima di mettersi a ridere con tono cattivo. «La montagna è sempre in pace, tranne quando arriva l’uomo con i suoi tormenti!»

da Sarà la montagna, © 2024 Neri Pozza Editore, Vicenza

Pubblicato in accordo con MalaTesta Lit. Ag. Milano

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