È difficile ricordare Luca Serianni, scomparso a settantaquattro anni, solo come l’insigne storico della lingua italiana che era, autentico principe nel suo campo. Basta dare uno sguardo ai social per vedere quanto sgomento avesse suscitato il terribile incidente di cui era rimasto vittima giorni fa e quanto affetto migliaia di persone avessero voluto manifestargli, in aggiunta alla grande considerazione per la sua attività di studioso e di professore. In uno dei tanti post ho trovato questa bellissima formula di lode smorzata e sottile, che a molti (me compreso) piacerebbe sentire di sé stessi: «Mi viene in mente un complimento enorme: non se ne poteva dire nulla di male.»

Ed era proprio così. Di Luca Serianni non si poteva dir nulla di male, neanche in un ambiente spietato come quello accademico. Al contrario! Prima di tutto perché era stato un docente impeccabile, a Siena, L’Aquila e Messina e infine alla Sapienza, dove s’era svolta la maggior parte del suo cursus.

Le sue lezioni erano famose non solo per la straordinaria cura con cui erano preparate e presentate, ma anche perché Serianni riusciva a fondere, con la sua bella parlata da romano colto (un timbro purtroppo in via di sparizione), il massimo della serietà dottrinale con il massimo della vivacità e dello humour.

Molecola viva 

Nella sua lectio di congedo dal servizio, nel 2017, che aveva richiamato una folla di allievi e allieve delle diverse generazioni, aveva rivolto al suo pubblico un pensiero solenne che ci piacerebbe sentir pronunciare, opportunamente adattato, ai governanti di questo paese: «Ragazzi – aveva detto – per me voi siete lo Stato». 

Intendeva dire che i giovani che un docente ha davanti sono una molecola viva della collettività e quindi non è possibile né ingannarli né tradirli.

A quest’interpretazione profondamente civica della professione univa un’insuperabile capacità didattica. Ricordo di avergli sentito in più occasioni pronunciare impegnative conferenze senza alcun artificio né la minima esitazione, neanche sulle citazioni, che faceva a memoria, con la naturalezza e la fluidità di chi sa di cosa parla e ama metterne a parte gli altri. Ovviamente, alla base di queste doti stava una non comune dottrina di studioso e di ricercatore, che s’era manifestata molto precocemente.

Il linguista

Sono certo che molti lettori e lettrici di questo giornale conoscono la sua Grammatica italiana pubblicata dalla Utet nel 1988 e più volte ristampata in diversi formati. Si trattava di un’opera nuova e monumentale, quale mancava da decenni, di enorme impegno per essere di un solo autore (sia pure col supporto di un aiutante), che dava una descrizione al tempo stesso sincronica e diacronica della lingua, delle sue varietà e dei suoi usi attraverso una ricchissima rete di reperti di autori, dalle origini a oggi.
La Grammatica manifestava con chiarezza anche il punto di vista dell’autore: teoricamente conservatore, circospetto verso la varietà talvolta frastornante di indirizzi della linguistica moderna, ma capace di potenti sistemazioni e con un dominio totale della tradizione testuale.

Le grandi imprese non lo spaventavano, anzi sembravano attrarlo. Qualche anno più tardi aveva progettato e diretto per Einaudi (insieme a Pietro Trifone) tre volumi di una Storia della lingua italiana di più autori, finora la più vasta e originale rappresentazione della nostra lingua nel corso del tempo.

Di questa storia Serianni aveva studiato estesi segmenti, con particolare attenzione all’Ottocento, e numerose varietà, soprattutto quella scritta. All’uno e all’altro tema aveva dedicato importanti volumi, con frequenti proiezioni nella sfera dell’educazione, sulla quale si era applicato specialmente negli ultimi anni.

Quest’interesse globale per la lingua italiana come corpo vivo di forme e di cultura s’era concretizzato nei mesi scorsi nella sua opera di coordinatore del gruppo di lavoro per la creazione del Museo nazionale dell’italiano (Mundi), un’anticipazione del quale era stata data a Firenze qualche settimana fa. Quell’occasione fu forse la sua ultima apparizione pubblica.

Esploratore

Serianni era un autore dalla fecondità intensa e regolare. Nelle sue numerose opere accanto all’interesse per le prospettive globali si rivela spesso il gusto coraggioso di esploratore di settori trascurati o ignoti. Uno di questi era il lessico della medicina, con la sua mescolanza di greco autentico e inventato (dai medici dell’Ottocento), di latino e inglese americano, e con le sue applicazioni nei referti medici, per lo più impenetrabili per i pazienti.

Il suo Un treno di sintomi. I medici e le parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente (Garzanti 2005) dà un ricco resoconto, al tempo stesso rigoroso e appassionante, dello stratificarsi di questo linguaggio. Allo stesso modo, nella serie Laterza delle “Prime lezioni”, aveva scritto un volume sulla grammatica e uno sulla storia della lingua. I “principi”, si sa, sono il momento più difficile dell’iniziazione a un sapere, e a questo tema Serianni era particolarmente sensibile.

La gamma delle sue iniziative richiederebbe una lunga lista. Direttore o condirettore di riviste accademiche importanti (Studi linguistici italiani e Studi di lessicografia italiana), responsabile (insieme a Maurizio Trifone) del rifacimento del noto dizionario italiano Devoto-Oli (che ormai dovrebbe esser ribattezzato il suo nome), presidente della Fondazione Lincei per la Scuola (2018), Serianni univa la severità dello studioso all’operosità del promotore.

Tra le sue ultime iniziative erano stati un volume sulle parlate di Roma (Le mille lingue di Roma 2021) e uno per l’anno dantesco (Parola di Dante, Laterza 2021), in occasione del quale aveva tenuto lezioni aperte al più vasto pubblico in una parrocchia di Ostia, la città dove risiedeva da anni e dove ha perso la vita.

Di Luca Serianni, dunque, veramente «non si poteva dire nulla di male». Attivissimo e influente, schivo a dispetto della sua notorietà, fine e spiritoso, amatissimo da allievi e allieve, rispettato e stimato da colleghi e colleghe: è un grande peccato che non sia lì dinanzi a noi, vivace e operoso com’era ancora, a sentire di persona quanto affetto e la stima lo circondavano. Un grande intellettuale discreto e riservato, in un paese che ama il chiasso e l’improvvisazione.

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