Senza spoiler, c’è una scena nella nuova serie di Maccio Capatonda – su Prime Video il 20 marzo – nella quale una donna gli dice: «È che non ci credo, mi fai ridere, mi sembri ridicolo» anche se lui sta facendo una cosa bene e con impegno, nello specifico ballare. E Maccio si arrabbia parecchio, in quella scena, pure troppo. Molto di queste sei puntate di Sconfort zone non te lo aspetti, sarà perché di Marcello Macchia hai conosciuto i tanti personaggi e meno le sue fragilità, ti sembra di conoscerlo da sempre ed è ovvio che non è così. L’autobiografia e il realismo su di sé li ha scelti questa volta lui.

Potrebbe essere che ci tocca fare un’intervista seria, quindi.

Se vuole, mi serve pure: non vado dallo psicologo, parlare con i giornalisti mi aiuta a verbalizzare e a capire meglio me stesso.

Perché qualcosa di nuovo le è accaduto.

Sì, ho deciso di mettermi a nudo di fronte a un pubblico che mi ha sempre visto come maschera comica. La serie è un’analisi abbastanza profonda – non eccessivamente – e di certo onesta dei motivi che mi hanno spinto a fare questo lavoro. E per me è nuovo comunicare così, essere così intimo e però pure – spero – universale in un certo senso.

FOTO PRIME VIDEO
FOTO PRIME VIDEO

Cosa è per lei zona di confort e cosa no?

Potrei risponderle in diversi modi ma le dico subito la verità. E cioè che fin da piccolo ho associato la vita reale come un posto in cui puoi farti male.

Che ragazzino era?

Non così socievole e un po’ strano rispetto agli altri. Dal farti male cadendo in bicicletta ai rifiuti delle ragazze – con loro ero anche timido – fatto sta che io da che ne ho memoria ho associato la realtà fisica a una zona di disconfort. E allora ho scelto.

Cosa?

Di vivere nell’evasione, di inventarmi mondi nuovi, di negare la fisicità del reale per costruirmi mondi dove tutto può succedere e tutto è sotto controllo.

Resta davvero tutto sotto controllo quando crea personaggi, scrive, fa il suo mestiere?

Se realizzo filmati ho il controllo totale dall’ideazione alla regia, dal doppiaggio al montaggio. O almeno cerco di averlo. In alcuni casi mi succede di non saper cosa voglio, non riuscire a trovare il bandolo della matassa. So che non funziona. E però è una lotta in un mondo fantastico che ho creato io, e ne sono unico giudice.

Questo è un conforto?

Insomma… le assicuro che dentro un artista, uno sceneggiatore, si combattono una marea di lotte interne che possono mandare in uno sbattimento totale. Anche alla depressione, lo dico perché so che succede ad alcuni.

FOTO PRIME VIDEO

A lei no?

No, ma a volte ci sono andato vicino. Un po’ quel che ho raccontato anche nella serie: non riuscivo a trovare l’ispirazione e pensavo che riagguantarla fosse propedeutica allo scrivere, ma è diventato un loop infernale.

Che nemmeno il successo lo rappresenta come un traguardo assoluto. Sembra manchi sempre qualcosa, o sbaglio?

Se hai successo nel lavoro e sei apprezzato dal pubblico, vivi nel confort e può voler dire che ti stacchi dalla realtà. È una cosa vera, quando si dice che gli artisti si montano la testa: si distaccano dalla realtà.

Nella serie ci sono queste scene che ritornano nelle quali lei è in sauna con Fru, Lundini ed Edoardo Ferrario. Che sono suoi amici per davvero?

Sì, sì, bellissimo averli coinvolti.

E la sauna le piace per davvero?

Ah sì, andare alla spa tra l’altro mi piace moltissimo, riduci quell’attrito di cui le parlavo prima e scompari tra i vapori caldi. E poi c’è l’esperienza della doccia fredda che con lo shock termico ti rende quasi incorporeo. Con quelle scene con gli amici volevo raccontare esattamente la confort zone di comici che parlano di stronzate mentre se la spassano in un luogo molto comodo.

Nella serie però sceglie di stare scomodo, sceglie lo sgabello-tortura dello psicologo.

Le scene nella sauna sono proprio lo scarto tra il dramma e il realismo di certe scene e la tranquillità assoluta.

FOTO PRIME VIDEO

In fondo pensa che sia meglio essere sconfortati?

So che serve: l’attrito con la realtà ti fa sperimentare una cosa bellissima, secondo me: ti pone in condizione di avere un punto di vista e capire chi sei. Lo scompenso, il conflitto, è necessario. Gli artisti li vedi tutti strani perché il loro personale punto di vista li fa sembrare pesci fuor d’acqua.

Ha cominciato ad amarla, la realtà, negli anni?

Penso di aver imparato molto ma non potrei dirle che ho cambiato idea. Per come sono fatto, costruito, progettato, ho sempre il desiderio di scappare dalla realtà, fuori da un mondo che è stato disegnato da persone come me, che negli anni ’80 hanno iniziato a sognare un mondo digitale in cui niente ti può far male.

C’è chi la realtà la vuole cambiare.

Sì, puoi utilizzare la comicità per dire la tua su qualcosa. La comicità in generale si presta a essere una rottura. A me questo interessa molto: spesso gioco sul conflitto del linguaggio, vado contro la regolamentazione dei generi, parodia e satira. Ci provo, perlomeno.

Se è vero che spesso il comico è malinconico, lei lo è?

Direi che sono una persona piuttosto nostalgica, nel senso che mi sembra sempre che il passato sia migliore del presente. Sono uno che ascolta solo canzoni di un tempo, per dire.

Ad esempio?

La mia playlist è in gran parte fatta di musica tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli ’80. Che poi è quando sono nato io, che sono del ’78, sarà che mi riecheggia qualcosa. Passo da Lucio Battisti a Enzo Carella, che non conoscono in tanti. Poi Pink Floyd e Police. Mi piacciono l’album Off the wall di Michael Jackson e La voce del padrone di Battiato.

Ieri sembra più bello di oggi perché…

Credo sia perché non vorrei che il tempo passasse. Perché se passa ti avvicina alla morte. In fondo un nostalgico è uno che ha paura della morte. Sa che il passato non torna.

Si soffre, così?

In realtà è un bel periodo, le riprese sono andate molto bene, sono contento della serie… diciamo che più che un dolore, c’è la sensazione che mi manchi sempre qualcosa, sì. E penso sia una cosa molto salutare, questa, per un artista, perché aiuta a raffinare le idee, finché a un certo punto devi lasciarle andare. Sembra sempre che manchi qualcosa, penso a uno sculture che a ogni scalpellata è in grado di vedere l’opera finita, sa sempre cosa manca. Questa mancanza la sento sempre, anche quando faccio cose soddisfacenti. Sono convinto che sia molto sano così.

È tornato da qualche giorno e il suo manager Luca Confortini – c’è anche lui, nella serie – la dava per irraggiungibile.

Vero, avevo il cellulare spento.

Si può dire dove è stato?

Certo che si può dire, è una cosa bella. È la seconda volta che vado a questo ritiro di 10 giorni, un corso di meditazione, in cui si sta in silenzio sempre tranne che per fare delle domande all’insegnante sulle tecniche, se hai qualche dubbio. Ero in Svezia perché non ho trovato posto in Italia, ma ci sono centri in tutto il mondo che lo fanno. Niente telefonino, ma nemmeno un libro. Ci si concentra esclusivamente sull’apprendere questa tecnica che ti fa riconnettere con il tuo corpo. Si chiama “meditazione vipassana” e si ispira alla vita di Buddha.

Lei è buddista?

No, non sono religioso, di base sono agnostico. La meditazione vipassana mi piace perché cerca di portarti a essere focalizzato su ciò che vuoi, meno sballottato dagli impulsi della vita. Ti riallinea, allontanandoti dalle dipendenze e dagli attaccamenti, ma pure dalle avversioni. Permette di agire al posto di reagire.

Dobbiamo o possiamo scrivere che Maccio è diventato adulto?

Non so, non so se sono davvero diventato adulto. Mi sento molto bambino, o così è stato fino a oggi. Su domani… vediamo che succede, dopo questa novità.

© Riproduzione riservata