Non è un caso che in una società dove il narcisismo dilaga sempre più, si inaspriscano i conflitti, si erigano muri, si innalzino fili spinati, si isolino i giovani, si accentui la pulsione securitaria, imperversi l’intolleranza nei confronti dell’Altro. Incontro lo psicanalista Massimo Recalcati che nel suo libro Elogio dell’inconscio (riedito da Castelvecchi nel 2024) spiega come un rafforzamento tossico dell’io possa condurre alla distruzione della vita. Se l’odio è il sentimento più antico, all’origine dell’amore c’è il desiderio: il rischio, nella società contemporanea, è che però si eclissi dietro la maschera dell’io. Nel suo ultimo libro La legge del desiderio (Einaudi, 2024), Recalcati torna a uno dei temi centrali della sua opera, ma lo fa in maniera rivoluzionaria: rileggendo, in chiave psicanalitica, la parola di Gesù. “Non abbiate paura” disse agli uomini il figlio di Dio, ed è il monito che lo psicanalista rilancia, oggi, davanti a un mondo in guerra. Non abbiate paura, innanzitutto di desiderare.

Mentre la sessantesima Esposizione Internazionale d’arte della Biennale, a Venezia, celebrava lo straniero, scegliendo come manifesto la scritta al neon di Claire Fontaine “Stranieri ovunque”, la Russia attaccava Leopoli nella notte e si allargava il conflitto in Palestina. Come sostiene Freud, “l’odio è più originario dell’amore?”

L’odio è più antico dell’amore perché è la risposta al carattere intrusivo della presenza dell’altro. È questa risposta primordiale che viene ogni volta sollevata dai sostenitori delle politiche securitarie. Non è una semplice barbarie o un analfabetismo politico. È, piuttosto, una tendenza pulsionale che ci impone di rivedere la tesi aristotelica dell’uomo come animale sociale. Freud contro Aristotele? Sono, in realtà, due tendenze che definiscono l’umano in quanto tale: la prima è quella securitaria, auto-conservativa che tende a identificare lo straniero come un nemico; la seconda è quella della necessità del legame con l’altro senza il quale nessuna vita sarebbe umana.

Gesù disse agli uomini “non abbiate paura!” Nel suo ultimo libro, La legge del desiderio, parte da questo monito e scrive di una legge messa a servizio della vita, non della morte. Come è possibile non avere paura davanti a questa escalation di odio e violenza?

La parola di Gesù sospinge gli uomini all’esodo della libertà. Abbandonare la barca, le certezze, i beni, le assicurazioni, la propria identità stabilita una volta per tutte. Li sospinge ad aprirsi nei confronti del carattere illimitato dell’esistenza. In questo senso, il suo magistero ha come obbiettivo critico proprio la pulsione securitaria. Nondimeno, come lei ricorda, ci sono molti motivi per avere paura… Lo stesso Gesù trema di fronte alla possibilità imminente della propria morte. La paura non è avversa al coraggio, non è la sua semplice alternativa. Aprire la propria vita di fronte alla paura non significa vincere la paura. Piuttosto non sprofondare nella paura, non farsi paralizzare dalla paura.

Nel suo libro Elogio dell’inconscio spiega come un eccessivo rafforzamento dell’io rischi di assumere una portata distruttiva. Perché gli uomini fanno la guerra?

La follia più grande dal punto di vista della psicoanalisi è quella di credersi un Io. C’è a questo proposito una bella storiella raccontata spesso da Lacan. Se incontro un uomo con una mano nel proprio cappotto e uno scolapasta in testa che dice di essere Napoleone, siamo di fronte, senza ombra di dubbio, a un pazzo. Ma ancora peggio è incontrare un re che crede davvero di essere un re! Ecco, questa seconda versione della follia è quella dell’iocrazia. È una malattia epidemica del nostro tempo. Ma un rafforzamento abnorme dell’Io porta con sé un effetto narcisistico di divinizzazione dell’umano che è alla base di ogni delirio: credersi un Io-Dio. Se pensa alla bomba atomica o al rischio di una escalation nucleare della guerra può vedere bene come la magnificenza dell’Io – del potere della sua tecnica e della sua scienza – possa ribaltarsi nel suo contrario: un eventuale uso dell’atomica manifesterebbe quel potere, ma comporterebbe, altresì, il nostro stesso auto-annientamento…

Dal Medio Oriente all’Ucraina si fa strada un incubo: che la terza guerra mondiale sia già cominciata. Per alcuni è solo una paranoia, ma la paranoia non è alla base stessa della guerra?

La guerra scaturisce da una difficoltà del politico a trovare un patto, un accordo capace di comporre i conflitti e le differenze. C’è guerra quando c’è fallimento del politico. Ma il politico agisce sempre sullo sfondo di un lutto. Quale? Non esiste un solo pensiero, una sola visione del mondo, una sola etnia, una sola cultura, ecc. Il politico deve affrontare l’assenza di fondamento che contrassegna la vita collettiva. La guerra, invece, procede lungo una strada alternativa a quella del lutto. Anziché simbolizzare il lutto per la perdita di fondamento (perdita dell’Impero, perdita dei vecchi confini, perdita dell’essere l’unica nazione, perdita di prestigio, perdita di controllo) si individua un nemico esterno e si dichiara guerra… In questo caso, un meccanismo paranoico prende il posto di un lutto mancato. Se analizza la guerra russo-ucraina o quella scatenata da Hitler trova, alla base, lo stesso fenomeno paranoico: rigetto del lutto interno e proiezione all’esterno di un nemico mortale.

Se il lutto è l’unica alternativa alla paranoia, allora su di esso si fonda la democrazia?

La democrazia è l’esperienza politica del lutto che esclude e previene la paranoia totalitaria. Ogni democrazia si sostiene, infatti, sul lutto della lingua unica e sulla necessità della traduzione, come diceva Benjamin. Proprio per dare spazio alla pluralità come antidoto a ogni nostalgia totalitaria, ciascuna democrazia risulta necessariamente incompiuta, imperfetta, sghemba. Il sogno della comunità ideale non è il sogno della democrazia ma il sogno dei regimi totalitari. L’esperienza della democrazia è quella di una continua elaborazione del lutto, compreso quello per la democrazia ideale che non esiste.

Pulsione securitaria, minaccia, paranoia. Pensa che alcune di queste tendenze possano essersi accentuate con la pandemia?

La pandemia ha accentuato una tendenza già in atto. La pulsione securitaria ha dominato la scena pubblica negli ultimi decenni dopo la caduta dell’euforia neoliberale della globalizzazione. Abbiamo visto un vento securitario e neomelanconico spirare dagli Stati Uniti sino all’Europa orientale: muri, fili spinati, brexit, porti chiusi, ecc. L’interpretazione dello straniero come veicolo mortale di infezione introdotta dalla pandemia ha rafforzato e amplificato questo processo…

E i giovani? Quale prezzo pagano i giovani?

Lo stesso si deve dire del mondo giovanile. Già da prima della pandemia osservavamo come la paura della vita e la spinta a ritirarsi dal mondo fosse una tendenza pulsionale che attraversava i nostri figli. Rintanarsi, tagliarsi fuori, uscire da un mondo che vive del mito del successo e della competizione più sfrenata… Una nuova forma di melanconica affligge il mondo giovanile. Nel tempo mai esistito prima di una libertà di massa e di un accesso apparentemente facile al godimento, assistiamo a una caduta del desiderio, a una fatica del desiderare. È il tratto che io definisco neomelanconico del nostro tempo.

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