- L’esordio in prosa della poetessa Alessandra Carnaroli con La furia, nella collana I pavoni diretta dalla scrittrice Teresa Ciabatti per Solferino, è un romanzo corale.
- L’autrice, come un bardo psichedelico, monta e trasfigura i pezzi dell’ordinario domestico – piatti, frigoriferi, pizzi, farmaci, cappelli e bomboniere – per costruire l’unica epica possibile, quella del tempo che ci resta.
- Racconti di donne i cui destini, diversissimi tra loro, si somigliano però nelle mille sfumature affilate del coraggio, della rabbia, della nostalgia, dell’amore. Eccone un brano.
«Intanto io sogno che quello costa quasi niente». Potrebbe essere il riassunto di una vita e in un certo senso lo è: una delle vite che schizzano fuori dalle pagine di Alessandra Carnaroli. Racconti di donne i cui destini, diversissimi tra loro, si somigliano però nelle mille sfumature affilate del coraggio, della rabbia, della nostalgia, dell’amore. Dentro a interni metropolitani invasi da bucce di cipolla e mariti violenti, borsette in finta pelle e madri disapprovanti, si muovono le protagoniste (Miranda che può essere una donna sola o ventisette donne diverse) e come si muovono sbagliano, ma non per questo si adattano a star ferme.
Escono di casa, portano nelle strade le loro speranze e i loro errori, affrontano lo sguardo frastagliato di compaesani curiosi, rincorrono padri erranti con i segni del rossetto sul collo della camicia, accompagnano figlie riottose in educazioni sentimentali del tutto approssimative, tra consigli per gli acquisti, ambizioni televisive, pregiudizi etnici. In queste pagine c’è tutto il nostro mondo, non certo solo quello femminile: una grande jam session in cui squillano, si interrompono, si riprendono e si amplificano le deviazioni melodiche delle vite contemporanee. Storie che fanno ridere, storie urticanti, storie vere che sembrano viste da una finestra e sono travolgenti come solo l’immaginazione.
L’esordio in prosa della poetessa Carnaroli con La furia, nella collana I pavoni diretta dalla scrittrice Teresa Ciabatti per Solferino, è un romanzo corale in cui l’autrice, come un bardo psichedelico, monta e trasfigura i pezzi dell’ordinario domestico – piatti, frigoriferi, pizzi, farmaci, cappelli e bomboniere – per costruire l’unica epica possibile, quella del tempo che ci resta.
Beppe Cottafavi
mentre mia sorella cerca l’outlet per comprare le ballerine di vic matié io mi giro nei polsi della felpa benetton e mi chiedo se ci sono tutta, se i capelli puliti smettono di cadere, se le cosce mi avanzano, se è tardi, se resisto. avrei voluto scrivere un libro da piccola dicevo che ero una scrittrice famosa. mi manca la forza nelle dita e ho il fiato troppo corto e un fidanzato che vuole andare a dormire.
mi pareva di sapere scrivere bene, far baciare le parole, trovare immagini carine, sognare. c’è una grande lentezza stasera fuori, anche le mosche cascano piano sulla frutta, sul pane duro e tutto il resto. la cena mi pesa sullo stomaco, provo caldo al petto per via della tosse e stringo i denti come sempre, come quando sono nervosa, come adesso.
provo come il senso che tutto mi scappa, che la vita mi rinfaccia, che il divano è niente ma ci sono dentro, vecchio e aperto, con una bocca di lana e piume finte. dove finiscono le luci fuori cominciano le coppiette: è sabato sera e tutti si danno da fare sui sedili, sulle parole, sulle promesse. quando finiscono sgommano sull’erba e ripassano il nome di chi gliela ha fatta sentire.
I profumini si alzano dalle scale e una vecchia prepara la domenica per il figlio, una pacca d’oca gira nel forno, ha lavato l’insalata, l’ha capata, ho visto che ha i denti molto finti, sono larghi e lunghi a confronto della faccia sgonfia ma è buona, spazza davanti casa, cucina per il figlio, si dà da fare nonostante tutto.
dovevo scrivere un libro che raccontava di come viviamo noi donne, di chi ci fa male e di chi ci fa bene, delle donne che stanno bene e di quelle che soffrono, della violenza di certi uomini e dell’amore di altri.
della vita, delle storie così che ce ne sono diverse e migliaia. volevo che il mondo le leggeva e le imparava da me. io scrivo per far vedere che nel mondo ci sono anche altre donne oltre a quelle bellissime che le mettono sui giornali, sui muri e dappertutto, a quelle col vestito buono tutti i giorni della settimana o quelle che impazziscono e un giorno ammazzano tutti anche i figli compresi e poi saltano per aria dai palazzi o si appendono come cappotti che sanno di silenzio e di rimasto troppo nell’armadio o mangiano tutte le merendine della loro vita in una volta sola.
volevo parlare delle donne come ce ne sono tante, delle donne un po’ come me. volevo presentarmi: mi chiamo miranda e faremo conoscenza.
la sera prima di dormire mi piace scrivere, guardo poca televisione perché in casa non la teniamo quindi la vedo solo in casa dei miei genitori che sono anziani e ne hanno tre ma due sole funzionano, quella nella camera dove c’è la macchina da cucire e quella nella camera da letto. quella che non funziona è rimasta nella sala anche se non funziona. i miei genitori mi chiedono spesso perché non compro una televisione ma io rispondo che per me va bene così, per le notizie leggo il giornale, per le altre cose penso che non mi perdo niente e magari compro un libro in più.
i miei genitori sono vecchi e loro non si offendono: sanno che non sono più giovani, ci sono le pasticche, il riso bianco, le analisi del sangue, le cose da ricamare, le foglie secche e altre cosine da fare in casa e in giardino. la vita diventa come un passatempo per non pensarci tanto, la vita diventa come un cane quando i figli crescono, che gli compri le cose e anche il cibo apposta e gli ossi finti da mordicchiare, te lo tieni per compagnia. anche la vita diventa una cosa che ti metti nel giardino, la fai stare a cuccia così, vicino ai nani di ceramica.
mio padre e mia madre hanno sempre lavorato, adesso non ce la fanno più e quindi si riposano, hanno tre televisioni, mangiano a mezzogiorno e alle sette. d’inverno un po’ prima perché la sera fa buio presto e se li danno guardano i film western se no mia madre fa le parole crociate, mio padre preferisce coricarsi.
convivo con il mio fidanzato, abbiamo scelto di non sposarci ed è stata una decisione che abbiamo preso insieme anche se i miei genitori non l’hanno presa bene, dicono che non ci capiscono, che non ho neanche la reversibilità della pensione.
è che è passata così, avevamo voglia di iniziare la nostra vita insieme e ci sembrava che per organizzare un matrimonio andavano via troppi soldi e troppo tempo e poi non volevamo sposarci in chiesa perché non ce la sentivamo.
il mio fidanzato è ateo, io credo in dio anche se praticamente non sono praticante, credo che per andare a messa te lo devi sentire, non basta fare la comunione, essere cattolici è uno stile di vita, se fai i peccati non basta che poi ti vai a confessare se poi li rifai ancora. io non credo di essere una peccatrice ma a messa non mi va di andarci più.
per il resto sono tre anni che viviamo insieme in un piccolo appartamento con le scale. il mio fidanzato lavora in uno studio ben avviato. io no e quindi sto a casa, cucino faccio le faccende, risparmio e mando avanti la casa. penso che se mi accontento riesco a essere felice di fare la spesa, di pulire e tenere in ordine. quando ci sono più soldi esco e mi compro qualcosa da mettermi o da truccarmi o usciamo io e il mio fidanzato a mangiarci qualcosa.
si va al ristorante ma no al cinema o al teatro, ci piace di più così. almeno mangiamo e finiamo lì la serata e se è un posto dove puoi anche ballare tanto meglio. della cosa dei figli non mi va di parlare, il mio fidanzato dice che con la crisi non è il momento e che dopo ci sarà tempo, a me piacerebbero anche ma poi cosa gli dai da mangiare, devi vestirli, farli studiare, dargli un futuro.
i miei genitori non si esprimono o dicono che prima ci dobbiamo sposare. il fatto che non lavoro un po’ mi pesa: potrei uscire di più, cambiarmi, truccarmi ma con la crisi che c’è neanche mi metto a cercarlo però quando posso scrivo, lo faccio da quando ero bambina e la maestra leggeva i miei temi in classe e mi dava dei bei voti. fino alle medie andavo bene in italiano ma le altre materie non mi piacevano così ho pensato di smettere di studiare e di andare a lavorare.
ho fatto piccole cose come la parrucchiera ma lavavo solo i capelli e la baby sitter almeno sono pronta per quando avremo dei figli. in più c’è la cosa dello scrivere, magari un giorno faccio leggere a qualcuno quello che ho scritto e se gli piace può darsi anche che me lo pubblica. intanto io sogno che quello costa quasi niente.
so ninnare, fare il latte in polvere, cambiare i pannolini ai bambini anche piccoli, a volte lo faccio con quello della vicina quando è malato e all’asilo nido non lo prendono e lei non può assentarsi dal lavoro perché coi tempi che ci sono è un attimo che ti prendono la scusa per licenziarti. così mi dà qualche soldino e il mio fidanzato me li lascia per me, ci compro cosine piccole all’iperdiverso se voglio mangiare o dalla patrizia se voglio l’intimo a poco. le ballerine di vic matié no, non ci arrivo.
da La furia, Solferino, 2023
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