Cosa sia stato conoscere Gianni Celati è per me una cosa difficilissima da dire.

Celati ha sempre avuto la falcata del grande camminatore e ogni volta che ci vedevamo da qualche parte e si partiva, anche fosse all’interno di una qualche città, come Bologna o Reggio Emilia, e camminando chiacchieravamo un po’ di tutto, e per esempio io e Cavazzoni abbiamo quel modo di passeggiare che due che si parlano, anche se stanno passeggiando, mentre parlano, scambiandosi delle parole, si fermano un po’ per guardarsi in faccia, e fanno venti passi, poi si fermano un attimo e poi fanno altri venti passi, poi si rifermano per finire il discorso, e dopo un attimo vedevi che Celati era già cinquanta metri avanti e faceva questi gesti del braccio come per dire “allora, arrivate o no?” e Benati, che era soltanto dieci metri più avanti, non cinquanta, anche lui faceva questi gesti per fare lo stupido, come per dire anche lui “dai, non fermatevi sempre”, poi si metteva a ridere, e si trattava sempre di passeggiate per non andare da nessuna parte e anche abbastanza senza un orario. E allora raggiungevamo Gianni, ma tre minuti dopo era di nuovo cinquanta metri avanti che diceva di sbrigarci, perché era già scappato.

Quando Benati era a insegnare a Boston, Gianni andava spesso a trovarlo e si fermava da lui anche per mesi e, come racconta Benati in un meraviglioso pezzo (“Io avevo la sensazione che noi avessimo ancora quell’età”), spesso gli veniva addosso la smania di andare a farsi una camminata.

Una bella mattina «grigia buia plumbea e livida, come non poteva essere altrimenti dato che eravamo ai primi di febbraio, quando a Boston tirano delle folate di vento che staccano la testa e la temperatura può andare anche a venti sotto zero: cosa che io gli avevo fatto notare, ma lui era voluto partire lo stesso.

E per strada costeggiavamo il fiume – il fiume Charles, tutto ghiacciato, con la neve farinosa sul ghiaccio che veniva alzata su a mulinelli e dispersa dal vento, e si faceva fatica a respirare, sia per il vento che per la sciarpa avvolta stretta intorno alla faccia.

E lui, Gianni, invece, era là che andava avanti camminando a testa alta, come sempre fa, come se niente fosse, non era neanche tanto vestito». In giro non c’era anima viva. Solo loro. E a un certo punto Celati «ha avuto la bella idea di passare dall’altra parte del fiume, ma proprio lì dove il bacino del fiume è più largo, e dunque il ponte più lungo, e dunque dove il vento tirava più forte.

Cosicché quando siamo arrivati dall’altra parte eravamo un po’ provati, un po’ malmessi sia come umore che come tenuta fisica». Dall’altra parte vedono «un folto gruppo di barboni che batteva i piedi per terra e si sfregava le mani davanti a un McDonald’s che stava per aprire.

E abbiamo pensato che forse era il caso che anche noi ci fermassimo lì ad aspettare di entrare con loro per prendere qualcosa di caldo. E così, di lì a poco, quando il locale è stato aperto, siamo entrati tutti insieme – noi e i barboni. E ci siamo seduti ai tavoli dopo aver preso delle belle tazze di caffè bollente.

E siamo rimasti lì un bel po’, io e Gianni, a osservare i barboni che si erano disposti intorno a due o tre tavoli, e parlottavano fra loro o si alzavano a turno per andare in bagno, passando quindi accanto a noi che eravamo seduti lungo la corsia che portava ai servizi.

Sembrava ci fosse una gerarchia fra loro, e c’era anche una donna, che era la più ascoltata. Gianni era molto incuriosito di quello che potevano starsi dicendo e un po’ origliavamo, un po’ cercavamo di immaginare l’argomento dei loro discorsi».

Captare dall’aria

Fonte: Wikipedia

Dunque camminare, quanto più è possibile. E dunque stare all’aria aperta quanto più è possibile.

La potenza, comunque e dovunque, dell’aria aperta, e la sua bellezza, anche quando fa un freddo che ti stacca la faccia, io forse l’avevo già intuita da mio padre, ma Celati è stato un grande ripasso e un eccezionale potenziamento e differenziamento dell’aria aperta di mio padre: a stare all’aria aperta c’è sempre qualcosa che ci finisce dentro, qualcosa si muove da qualche parte, davanti, di fianco o dietro.

Bisogna avere le antenne e buttarle fuori, come fanno le lumache, per cercare di captare qualcosa. Ma per Celati anche la lingua si captava dall’aria, origliando o no, o meglio, forse la lingua era un’altra forma di aria aperta. Una lingua è qualcosa che ci sta sempre intorno, e, quando siamo fortunati, ci stiamo completamente dentro. Una volta, durante uno degli incontri in cui ci trovavamo in tanti per fare una rivista che si chiamava il Semplice, Celati aveva detto che ogni tanto senti una frase, una pagina o un racconto che cantano la gloria della lingua.

La letteratura, la sua funzione sarebbe soltanto questa: cantare la gloria della lingua. Ma come si fa a cantare la gloria della lingua? È difficile saperlo. Bisogna riuscire a infilarsi in un posto dal quale la gloria della lingua stia passando. E all’aria aperta passano continuamente anche svalangate di reale, anche se nessuno sa cos’è. Sono tutti gli incontri con le cose. Villette geometrili, giovani umani in fuga, aguzzini e signorine, cani che passano e così via.

Quindi oltre alla gloria della lingua ci sarebbe anche una specie di gloria del mondo. E se uno vuole ci sarebbe anche una gloria ulteriore, quella dei grandi libri e delle loro grandi pagine. Don Chisciotte, Il Circolo Pickwick, Lo Zibaldone, l’elenco è infinito. Basta cascare dentro a queste veloci intersezioni della gloria, e poi è fatta.

In uno splendido racconto di Ermanno Cavazzoni (in Gli scrittori inutili) due scrittori scriteriati e fantastici (vado a memoria perché non ho il libro sotto), dopo che si sono aggirati tutto il giorno per le campagne, sono infreddoliti, stanchi e affamati e adesso sta venendo sera. Non sanno cosa fare ma a un certo punto vedono una lucina in lontananza.

È una casa, chiamano e chiamano perché qualcuno gli apra, ma non risponde nessuno, ma la porta è aperta, basta spingere, entrano e come in una favola trovano una tavola apparecchiata e una zuppiera piena di brodo bollente. Uno dei due mi sono sempre immaginato che fosse Gianni.

 

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