Il lavoro di ricerca dell’Open Sound Festival, muovere dalla tradizione guardando al suono di domani. Ma l’abitudine di poter creare ogni cosa immaginata inserendo dati potrebbe portare a degli effetti collaterali, il cui primo sintomo potrebbe essere, nel migliore dei casi, uno sbadiglio
Dal 2019 a oggi abbiamo prodotto ore e ore di musica, abbiamo coinvolto e fatto incontrare decine di personalità con storie di vita e appartenenza molto diverse. Abbiamo messo in relazione un territorio che custodisce la sua storia e la sua tradizione con profili che raccontano, con le loro produzioni sonore, la contemporaneità, suoni urbani incontrano suoni prodotti da strumenti la cui origine era funzionale al lavoro nelle campagne o con il bestiame.
Matera 2019 capitale della cultura è stata l’occasione in cui pensare a come atterrare su di un territorio metaforicamente lontano e come poter instaurare una relazione con esso, restituendogli qualcosa che restasse a testimonianza di questo incontro.
Così è nato il format OSA all’interno di Open Sound. Abbiamo costruito una libreria digitale open-source di strumenti e suoni della tradizione millenaria della Basilicata (come zampogne, campanacci, voci arbëreshë, cupa-cupa) mai realizzata prima. A partire da questa library prosegue il lavoro di ricerca che vede producer, dj, musicisti e musiciste, sound designer, artiste e artisti, lavorare a tracce o composizioni inedite costruite utilizzando questo materiale sonoro e, successivamente, mettere in scena delle performance collettive inedite, che muovono dalla tradizione guardando al suono di domani.
I conti con la storia
Relazionarsi con la tradizione è come fare i conti con la storia, quella degli altri che scopri spesso essere simile alla tua. Relazionarsi con chi spesso è custode della tradizione ti mette in una necessaria modalità d’ascolto: più entri nel racconto di quello che è stato e più comprendi che ciò che sembra debba essere lì per essere difeso, custodito e tramandato – e che spesso ha un valore estremamente identitario per chi lo custodisce – si è creato grazie al cambiamento, spesso inaspettato e dovuto agli eventi. Eventi storici che si possono ricondurre a crolli di imperi, guerre, crisi e migrazioni.
In questa penisola siamo il risultato di passaggi e sedimentazioni. Quello che in questi anni con gli interlocutori istituzionali potevamo descrivere come un racconto di migrazione e incontro ora viene raccontato come un viaggio che ci riporta alle radici. Al nuovo interlocutore suona molto più consono e identitario. Per quanto se ci si ponesse più in ascolto si capirebbe che dietro alla parola “radici” si trova la storia, la storia meticcia di questo paese.
Tornando alla musica, non sono mai stato un vero musicista e questo ruolo da visionario mi si addice di più della definizione di cui sopra. Non teorizzo ciò che faccio perché solitamente sono altri i profili che contestualizzano e definiscono l’azione di chi spontaneamente si mette in gioco con il fare: il bisogno di fare è mosso dall’urgenza, l’urgenza di darsi risposte attraverso l’azione e la progettazione.
Trovare un senso che vada oltre quello estetico nel cercare uno scambio tra radici, contemporaneità e futuro, in musica rappresenta la progettazione di un vero ponte tra ieri e domani.
Il bisogno ancestrale di muovere il proprio corpo a tempo, la necessità di restituire stati d’animo e narrazioni di accadimenti legati alle paure o alle gioie dell’oggi rendono la musica un archivio di umanità espressa in maniera quasi pura. Ed è questo il valore che va oltre il gesto del musicista virtuoso e del prodotto perfetto per essere venduto.
Ora che fornendo suggestioni, attraverso i dati, a una macchina c’è la possibilità di creare praticamente “tutto”, per un non musicista come me questo potrebbe rappresentare un’opportunità di rivincita ed emancipazione dal bisogno degli altri. Ma cosa mi fa rimanere restio e logicamente tiepido al delegare all’algoritmo la narrazione sonora del tempo futuro?
Non è solo paura del nuovo che avanza: siamo passati a utilizzare campionatori e programmi per comporre musica e siamo riusciti a preservare l’anima. Non è questo. È il contesto in cui ci muoviamo l’insidia stessa: un contesto in cui ogni nuova opportunità di avanzamento viene considerata e vissuta come un’occasione di ottimizzazione commerciale ai fini di poter rispondere a esigenze di una controparte che spesso manifesta gusti e bisogni indotti. Questo mi mette ansia.
Far convivere balli e canti propiziatori – che vedevano i loro compositori e interpreti affondare i piedi nella terra arata – insieme a computer che processano dati in maniera iperveloce restituendo mondi sonori e visivi sartoriali o totalmente inaspettati, potrebbe avere un suo senso. O per lo meno restituisce una suggestione visivo-temporale in cui ci si ritrova protagonisti di un frammento, incuriositi da quello che potrebbe essere il domani.
La testa parte, la confidenza con la macchina migliora, la sensazione di essere noi a dettare le regole del gioco ci fa sentire grandi, veloci, più furbi e alla fine da lassù ci si potrebbe ritrovare lontani, lontani dalla storia, che è la narrazione composita e collettiva del noi.
Definitivamente orfani e illusi di non aver più bisogno di affondare metaforicamente i piedi nella terra prima di iniziare a cantare e a ballare per scaricare emozioni di gioia o frustrazione. Certo lo stupore del veder prendere forma qualcosa di immaginato, programmato e inaspettato ha un suo perché. Ma l’abitudine di poter creare ogni cosa immaginata inserendo dati potrebbe portare a degli effetti collaterali, il cui primo sintomo potrebbe essere, nel migliore dei casi, uno sbadiglio, per poi ritrovarsi a pensare di scegliere con libero arbitrio in una selezione di brani composti da un musicista virtuale che è stato abilissimo spiando i tuoi ascolti a interpretare i tuoi gusti.
Alioscia Bisceglie è project leader della band Casino Royal e direttore artistico dell’Open Sound Festival.
L’Open Sound Festival si svolge da sabato 27 luglio a sabato 3 agosto 2024 a San Severino Lucano (Potenza), nel Parco nazionale del Pollino, e a Matera. Giunto alla VI edizione, il progetto percorre, come sempre, la strada della sperimentazione e del dialogo tra innovazione e suoni delle origini, con uno sguardo sul paesaggio e sui territori che passa per la tradizione e la ricerca del suono di domani.
info su: https://www.opensoundfestival.eu/
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