Dall’Ottocento in poi la città partenopea ha generato un repertorio difficile da quantificare. La canzone napoletana è sempre quella ma è sempre nuova perché continuamente alimentata da nuovi interpreti
- Vivo Napoli sempre con gioia e dolore. Quando arrivo mi godo la poesia di questa magnifica città, ma sono sempre un po’ vigile, perché so che la città è generosa ma non ammette distrazioni.
- Ma Napoli per me è prima di tutto musica. Quando sia nata la canzone napoletana ci importa poco, ci sono due date che si contendono la paternità, c’è chi mette il segno all’anno 1880, con “Funiculì Funiculà”. C’è chi torna più indietro, al 1839, quando nacque “Te voglio bene assaje”, forse la prima canzone d’autore.
- Sta di fatto che questo nuovo modo musicale fu una rivoluzione come poche altre negli anni a venire.
Il testo di questa pagina è tratto dal podcast Music & The Cities, un viaggio sonoro in sette città italiane (Roma, Milano, Torino, Palermo, Napoli, Lecce e Bologna) di e con Raffaele Costantino. Il podcast, promosso dal ministero degli Affari esteri, può essere ascoltato su italiana.esteri.it, il nuovo portale del ministero per la promozione della lingua e della cultura italiana nel mondo. Qui proponiamo la puntata di Napoli.
Vivo Napoli sempre con gioia e dolore. Quando arrivo mi godo la poesia di questa magnifica città, ma sono sempre un po’ vigile, perché so che la città è generosa ma non ammette distrazioni. La vedo come una madre severa, affettuosa e protettiva che non scende a compromessi quando si tratta di rispettare le sue regole. Napoli è vissuta per strada, ma bisogna conoscere la strada, e rispettarla. Ogni volta per me è una continua scoperta, ma anche una comoda certezza. Ma Napoli per me è prima di tutto musica.
Indietro nel tempo
Siamo nel 1200. Un sovrano, Federico II di Svevia, tormentato dal problema, decide che è necessario emanare una legge ad hoc. E dichiara ufficialmente agli abitanti della città il divieto assoluto di fare le serenate.
Siamo a Napoli, forse l’unico posto al mondo dove le contraddizioni sono opere d’arte. Soltanto col temperamento di un popolo del genere puoi aver bisogno di una legge che vieta di cantare.
Per secoli la città è stata culla della produzione musicale europea, meta di artisti e viaggiatori da ogni parte del mondo. Coi suoi quattro antichi conservatori, la scuola musicale napoletana ha attirato innumerevoli esecutori e compositori, che qui approdavano per specializzarsi, salvo poi tornare a casa quando il loro bagaglio tecnico era pieno e valeva come il più alto dei titoli professionali.
Ma voglio muovermi in avanti veloce sulla linea del tempo, fino al momento in cui a Napoli si genera quello che forse è il più grande patrimonio della musica leggera internazionale, l’espressione di canto solistico più famosa del mondo: sto parlando della canzone napoletana.
La rivoluzione
Quando sia nata ci importa poco, ci sono due date che si contendono la paternità, c’è chi mette il segno all’anno 1880, con “Funiculì Funiculà” di Giuseppe Turco e Luigi Denza, ispirati dall’inaugurazione della funicolare appunto, con la quale si poteva salire fino in cima al Vesuvio. C’è chi invece torna più indietro, al 1839, quando nacque “Te voglio bene assaje”, forse la prima canzone d’autore, qualcosa di nuovo, più alto, più personale rispetto alla musica popolare, e anche qui c’è una storia nella storia perché chi l’ha scritta non lo sappiamo, forse un ottico, che però era anche un poeta, ed era affascinato da una donna vista in un salotto di Napoli. Lui si chiamava Raffaele Sacco, lei chissà. Anche su chi l’abbia messa in musica non ci si vede chiaro, perché forse fu Donizetti, forse però Donizetti era a Parigi e allora insomma, di chi è l’opera?
Poco importa, dicevo, sta di fatto che questo nuovo modo musicale fu una rivoluzione come poche altre negli anni a venire. Ed è successo a Napoli, non altrove. In un luogo dove tutto è compatibile con tutto, dove il mito convive con la storia, la fede ha i suoi costumi, l’arte è alta anche quando nasce dal basso e la miscela espressiva ha un aroma unico perché qui c’è un elemento fondamentale che è il dialogo tra le diverse tradizioni musicali, senza barriere impossibili da abbattere.
Dall’Ottocento in poi Napoli ha generato un repertorio difficile da quantificare. Negli anni qualcuno ci ha provato: penso al bellissimo lavoro che Paquito Del Bosco ha fatto per l’Archivio sonoro della canzone napoletana nel quale perdersi tra le pieghe della storia, che muta, si evolve in base alle esigenze comunicative del tempo, rispondendo agli stimoli, in una varietà di forme che mischiano matrici, codici, finalità.
Un patrimonio culturale
Un patrimonio così esteso e così diffuso che, per alcuni, potrebbe addirittura essere alla base della pop music al di là dell’oceano, perché in fondo a Napoli non manca niente, perché Napoli è internazionale, è «nera a metà», come si dirà più avanti quando all’ombra del Vesuvio arriva la blaxploitation di James Senese, di Pino Daniele, dei Napoli Centrale, eredi di quel suono che naviga per anni e poi torna indietro, attraversa la Bocca Grande ed entra nel golfo, dove qualcosa suona familiare, dove il jazz è di casa, dove in un altro secolo, prima di internet, prima dei file compressi, prima del digitale ma pure prima dei nastri e degli acetati la musica già correva veloce, di voce in voce, perché a Napoli i testi delle canzoni finivano sulle copielle, nelle tasche dei posteggiatori, artisti e intrattenitori che a volte avevano anche il loro talento, per esempio un certo Enrico Caruso, quel ragazzino che cantava ai Bagni Risorgimento in via Caracciolo e che poi è diventato il tenore più famoso del mondo.
Per questo e per altri mille motivi, Napoli è l’America, la sua lingua sembra fatta per intonare melodie, per stare sul tempo. Napoli è sempre quella perché è sempre nuova, continuamente alimentata da nuovi interpreti, ognuno con la sua vocazione, ognuno sul suo sentiero, più o meno battuto, c’è chi ha vinto Sanremo, chi ha venduto più dischi di tutti, ci sono i nuovi eroi senza volto, quelli che la faccia ce la mettono eccome.
A caccia di segreti
Chi va a caccia di trofei, chi invece scava a ritroso, a caccia di segreti come i ragazzi di Napoli Segreta appunto.
Qual è il segreto di Napoli? Da dove viene tutta questa energia creativa?
E puoi condividere alcuni dei tuoi segreti?
Napoli Segreta: «Credo che la risposta stia in ciò che la città nasconde, perché Napoli può dare l’impressione di una città che tutti conoscono e capiscono, ma è una città che in realtà si nasconde molto, e più si nasconde più si genera interesse e desiderio. Quello che trovi nelle compilation di Napoli Segreta è solo un diversivo che ci permette di preservare e nascondere un patrimonio musicale che non vogliamo che venga svelato. Ad esempio, ci sono molti artisti che potremmo menzionare ma non lo facciamo, perché quello che mettiamo nelle compilation è solo quello che vogliamo che tu, nel resto del mondo, ascolti, mentre lavoriamo su questa grande trama: la conquista del mondo dai napoletani. Ci sono agenti segreti infiltrati ovunque in questa operazione, alcuni sono già stati scoperti, penso a Carosone, Pino Daniele, Senese. Ma abbiamo un sistema molto più complesso che ti invitiamo a scoprire. E quando scoprirai alcuni agenti, ne infiltreremo altri! Il cuore di questa operazione è un luogo che non esiste: se ti trovi nei quartieri spagnoli, vedrai un enorme cartello bianco con una scritta rossa che dice: lavanderia a due euro. È in questo luogo segreto che addestriamo le nostre spie, dove le facciamo il lavaggio del cervello...e sfido chiunque a scoprire dove si trova questo posto».
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