Una storia d’Italia nuova (e sconosciuta): è quella che pian piano emerge dai nuovi documenti vaticani finalmente disponibili; più ricca, persino, di quella che riguarda la chiesa e la persecuzione degli ebrei e di cui si sono occupati i libri recenti di David Kertzer e Andrea Riccardi.

Si considerino in particolare le carte del sostituto, custodite presso l’Archivio apostolico vaticano, di cui adesso si può leggere un meticoloso inventario delle prime dieci buste, curato da Giovanni Coco. Un fondo molto “speciale” per le sue vicende (per lungo tempo fu considerato perduto), ma soprattutto per il suo contenuto e il suo possessore: il “sostituto” era innanzittutto Giovanni Battista Montini, prima con Pio XI (dal 1937) e poi nella segreteria di Stato di Pio XII. Il futuro Paolo VI era al vertice degli “affari ordinari”, con competenze molto vaste che si estendevano anche alla penisola.

L’appunto 

Nella busta 9 ci sono in particolare dei documenti, del tutto sconosciuti, sull’Italia, che cambiano notevolmente quanto si sa della vicenda del 24-25 luglio 1943, il “colpo di stato” del Gran consiglio che condusse Vittorio Emanuele a cacciare Mussolini. Ed emerge soprattutto un documento originale ignoto. Di quella riunione esistono da tempo, tra le carte della segreteria del duce, solo le fotocopie degli originali o persino copie fotografiche di alcune parti di cui, tra l’altro, non è mai stata chiarita tutta l’origine: e l’aspetto documentario è già un bel problema.

Nell’Archivio apostolico esiste invece una copia intera e originale di uno degli ordini del giorno presentati nel corso della riunione: quello dell’ultimo segretario del partito fascista, Carlo Scorza, un dattiloscritto sulla sua carta intestata del Pnf, con, in filigrana, il tradizionale «vincere»; più un foglio programmatico, sempre su carta Pnf, sulle decisioni da prendere. Sono quei due fogli che creano la novità: e fa impressione vedere quegli originali mentre l’Archivio centrale dello stato possiede solo copie di copie.

La novità consiste nel lungo e dettagliato appunto nello stesso fascicolo, datato 26 luglio e siglato «B.»: quasi di certo era Mario Brini, un monsignore allora «addetto» della segreteria di Stato, importante collaboratore di Montini, in seguito nominato arcivescovo da Giovanni XXIII.

L’incontro

Nell’appunto a Montini, Brini ricostruì che quell’ordine del giorno gli era stato consegnato da Scorza perché lo desse al papa. In un convento di suore a Roma, vicino a piazza Vittorio, Brini aveva incontrato un suo ex compagno di scuola all’istituto Massimo e all’università (entrambi si erano laureati in Giurisprudenza). Era Renato Della Valle, vicesegretario di fiducia di Scorza. Anche quest’ultimo si era rifugiato in quel convento delle Missionarie francescane e anche lui quel giorno parlò con «B.».

Entrambi spiegarono che cosa era accaduto il 24-25 luglio e consegnarono a «B.», ovvero a mons. Brini, il testo originale dell’ordine del giorno Scorza, che così arrivò a Montini e sicuramente al papa e che ora possiamo vedere. Il giorno prima, nel pomeriggio del 25, dopo un incontro con Vittorio Emanuele, Mussolini era stato consegnato ai carabinieri di Badoglio, e Scorza lo sapeva.

Senza dubbio per questo, insieme a Della Valle, aveva cercato un aiuto dalla Santa sede: per non venir arrestato. Ma è anche più rilevante la ricostruzione di tutti gli avvenimenti: quell’ordine del giorno aveva parlato in particolare della Santa sede, descrivendo Roma come «madre del cattolicesimo» e rivolgendosi «reverente» verso il pontefice, oltre a ricordare con «cordoglio» la distruzione di chiese e monumenti. Sono frasi sottolineate in viola nel testo (forse da Scorza, forse da Brini o magari da Montini, chissà).

La ricerca di supporto 

Com’è noto, Mussolini aveva rifiutato l’ordine del giorno di Scorza, ma alla fine era stato travolto dall’ordine del giorno di Dino Grandi. Ma Scorza stesso, nelle sue memorie sul 25 luglio, La notte del Gran consiglio (1968), ha spiegato che la mattina dopo la riunione Mussolini gli aveva chiesto di riprendere le idee del suo ordine del giorno, andando direttamente dal pontefice a portargli «l’omaggio del Partito».

Il duce era certo che Pio XII avrebbe «gradito sinceramente» quell’omaggio, forse una mossa estrema per cercare ancora una sponda. Il 26, e dopo il sostanziale arresto del duce, Scorza quindi eseguì a modo suo quell’ordine di contattare il pontefice, ma soprattutto perché lo salvasse. Un ordine del giorno ben poco noto e di cui ora si vedono alcune conseguenze.

Ma il destino di Scorza fu ancora diverso: già il 27 accettò di sottomettersi al governo Badoglio e andò via dal convento; ad agosto fu però arrestato a Roma e a settembre liberato dai tedeschi, infine riarrestato dalla nuova Rsi. Non andò sotto processo subito, ma fu uno dei testimoni a quello di Verona contro i membri del Gran consiglio (dove Galeazzo Ciano fu fucilato). Solo in seguito, lui stesso venne processato, ma assolto forse per un intervento del duce. Poi fu di nuovo accolto in un convento, e nel 1946 scappò in Argentina, dove visse fino al 1969, quando rientrò in Italia. Eppure, s’è visto, persino in un primo tempo era stato protetto dalla chiesa (ovvero da Montini e da Pio XII).

Aiuti e passaporti

Sono tutti particolari notevoli. Quelle carte del sostituto tra l’altro forniscono altri elementi dello stesso genere e sempre su alti gerarchi fascisti. In particolare, due interi fascicoli a proposito dei rapporti con la chiesa sono dedicati a Luigi Federzoni, presidente del Senato e a Edmondo Rossoni, ministro del governo del duce: entrambi favorevoli all’ordine del giorno Grandi. L’aiuto ricevuto da tutti e due dalla chiesa era in parte noto.

Ma ora si possono leggere i passaporti ricevuti in Vaticano, con i loro falsi nomi e le loro foto da «ecclesiastici»: Rossoni in quanto «fratello oblato» spedito in Irlanda e Federzoni, inviato in Brasile come «missionario del Sacro Cuore». Si può infine aggiungere il generale Rodolfo Graziani, che nel dopoguerra chiese molte volte l’intervento della chiesa. E tutta ora da conoscere con attenzione è la loro notevole e ignota corrispondenza col Vaticano.

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