I personaggi che popolano i romanzi di formazione dell’èra post Fridays for Future non studiano lettere. In “Humus” si racconta l’amicizia tra due studenti di agraria: è forse il riflesso di una società che rivaluta la natura
I protagonisti dei romanzi di formazione con cui siamo cresciuti, scritti negli scorsi quattro o cinque decenni, se non studiavano magia a Hogwarts, erano aspiranti scrittori, cineasti o musicisti dilettanti. Alex D. di Jack Frusciante è uscito dal gruppo (1994) faceva il liceo classico. Lenù dell’Amica geniale da un rione della periferia di Napoli arriva alla Normale di Pisa a studiare lettere per poi diventare scrittrice. Gli Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli (1980) affondavano le proprie radici nell’ambiente del Dams di Bologna degli anni Settanta. Due di due di Andrea de Carlo, uscito nel 1989, raccontava un’amicizia nata fra i banchi di un liceo di Milano in pieno Sessantotto: dei due personaggi, Mario si iscrive a filosofia, mentre Guido viaggia per il mondo e diventerà poi scrittore. Per andare ancora più indietro nel tempo, il protagonista della Vita agra di Bianciardi (1964) è un intellettuale, bibliofilo e aspirante rivoluzionario.
Le storie che raccontiamo sono lo specchio dell’immaginario in cui siamo immersi, di desideri, paure e priorità. E infatti nella realtà come nella finzione, chi negli anni novanta o duemila usciva dal liceo con un comodino ormai pieno di libri e qualche sogno nel cassetto s’immaginava nel futuro prossimo intento a capire e magari pure cambiare il mondo. Proprio come avevano fatto nei decenni precedenti i personaggi dei romanzi che avevano forgiato i nostri desideri. E per capire e cambiare il mondo serviva studiare le lettere o la filosofia, il cinema o la musica.
Ci si aspettava un Umberto Eco dietro la cattedra, ci si portava in spalla il mito dei licei occupati per parlare di massimi sistemi e chiedersi che ne sarà di noi come nei film di Muccino. L’eco spento degli anni delle proteste ci ha portato a fondare riviste su riviste da scambiare nei chiostri delle università per scrivere di musica o letteratura. Ci si sognava intellettuali con ancora un eskimo addosso e in tasca l’Unità, facendo il verso alla generazione di Guccini. Quasi tutto comunque girava attorno alla parola, al discorso e alla sua decostruzione. E se non era la parola allora erano il suono o l’immagine. Creare per ribellarsi e per pensare.
Ma se gli androidi sognano pecore elettriche, cosa vogliono fare da grandi i figli non più del Sessantotto e della sua lunghissima onda, ma delle piazze verdi del 2019? E quindi, cosa studieranno non solo loro, ma anche i protagonisti dei romanzi che raccontano la generazione di Fridays for Future? La letteratura e il cinema non solo sono influenzati dalla realtà ma a loro volta la trasformano. Raccontano le trasformazioni che vedono, ma creano allo stesso tempo sogni e aspirazioni.
Humus di Gaspard Koening è uscito in primavera per Neri Pozza (e lo scorso novembre in Francia). È un romanzo di amicizia, università, sogni e notti infinite a bere birre e immaginare il futuro. Coglie quel prezioso twist dei vent’anni in cui tutto è ancora intero e molto confuso, in potenza, appena prima di cominciare a prendere forma, e in cui le amicizie sono assolute, di affinità elettive, progetti e grandi speranze. Se si è rimasti non per forza impigliati ma almeno affezionati a quel twist di vita, Humus prende alla pancia: ci siamo passati tutti, è un momento bellissimo, contiene in sé tutto il prima e tutto il dopo. Forse Eskimo di Guccini quel momento lo descrive meglio di tutti nel tempo breve di una canzone. Ci si ritorna col pensiero ogni volta che la si ascolta, o che si leggono romanzi come L’amica geniale e Due di due.
Il fascino dei lombrichi
Humus è il Due di due di oggi. È la storia di due ragazzi, Arthur e Kevin, che si incontrano a Parigi, in un’aula di università al primo anno. Studiano agraria e ci sono arrivati da punti di partenza opposti. Arthur viene da uno dei migliori licei della città, si muove sognante e goffo nella sua troppa cultura e si porta addosso un’idea dell’agricoltura politicamente consapevole, astratta e un po’ romantica. Kevin arriva dalla campagna e dai campi, ha meno idee e più immediatezza, è bello, semplice ed elegante nella sua inconsapevolezza.
Si trovano seduti accanto durante la conferenza quasi vuota di un geniale e dimenticato professore: Marcel Combe da anni parla dei lombrichi come possibile salvezza per il pianeta, e da anni non lo ascolta nessuno. Arthur e Kevin invece s’innamorano dei suoi sogni e li fanno propri. Ce ne sono due, uno per ciascuno. Il primo riguarda il suolo: i lombrichi, dice Marcel Combe, possono ridare vita a un suolo morto. Questo è il sogno che prenderà Arthur. Finiti gli anni dell’università e delle feste a casa di sconosciuti, si ritirerà in campagna, nella vecchia casa abbandonata del nonno e cercherà con Anne, la sua compagna, di darsi all’agro-ecologia e far resuscitare un terreno esaurito da tempo. Il secondo sogno lo prenderà in mano Kevin. Secondo Marcel Combe, i lombrichi sono la soluzione all’eccesso di rifiuti: da soli, trasformano i rifiuti organici in compost restituendo linfa alla terra.
I primi piccoli successi di Arthur si accompagnano ai primi piccoli fallimenti di Kevin e poi tutto si capovolge. Arrivano i grandi fallimenti dell’uno, i grandi successi dell’altro, molta fatica a ritrovarsi, il rischio di tradirsi, la difficoltà di tradurre i sogni di prima nella concretezza della vita vera.
È meglio l’ascetismo di Arthur, che resta in campagna, si adatta alla terra, non inquina e non ha nessun impatto sul mondo, nel bene e nel male? O invece ha ragione Kevin, che con i suoi impianti di “vermi-compostaggio” crea (o almeno così crede) fertilizzante del tutto organico dai rifiuti delle aziende?
Kevin che ormai è ricco, invitato a partecipare alla vita esclusiva di Parigi, conclude affari, viaggia per il mondo e pur lasciandosi vincere dalla malia del capitalismo resta attaccato al germe del suo sogno, convinto che almeno lui riuscirà forse a ridare vita ad almeno un 1 per cento di quel suolo degradato. Una è la via a volte stretta della coerenza totale con i propri ideali, l’altra quella dei compromessi nella speranza di un po’ di efficacia nel cambiare un pezzettino di mondo.
Sogni nuovi?
Sono questi i sogni di oggi? I figli del 2019 si vedono ingegneri ambientali, agronomi, montanari, pastori? Credevamo – ce ne avevano convinto tutti quei romanzi e tutta quella devozione alla parola – che il mondo si cambiasse con il pensiero, le lettere, il giornalismo, l’editoria, la filosofia, la riflessione politica che spezzetta i concetti e ne crea di nuovi.
Ancora quindici anni le scienze fa venivano insegnate a scuola e soprattutto recepite come un fatto di formule aride. Oggi invece il mondo si cambia non guardando la luna, ma stando con i piedi per terra, nella terra. Il desiderio è di riparare il mondo e se stessi, come individui e come specie, e dunque imparare a conoscere e ascoltare le specie e le società che l’Occidente ha a lungo zittito.
Ritrovarsi in montagna
Koening racconta il desiderio di conoscere e cambiare il mondo a partire dalla terra. Lo fa con un certo cinismo e una buona dose di disillusione, ma scegliendo di affidare ai suoi personaggi proprio questi sogni qui. Non è l’unico.
A fine agosto è uscito per Guanda La Strangera di Marta Aidala – autrice torinese, classe 1996.
Racconta di una ragazza, Beatrice, che è “straniera” rispetto al villaggio di montagna in cui si rifugia per ritrovarsi. Ed è straniera è anche a sé stessa proprio perché straniera alla montagna, alla natura diventata altro da sé e con cui riconciliarsi. Di questo parlava in qualche modo anche Le otto montagne di Paolo Cognetti, un’altra storia di amicizia e di ritorno in montagna. In entrambi i casi i protagonisti scelgono da cittadini di provare a vivere in vetta. E in particolare Beatrice della Strangera compie questa scelta proprio in quel periodo della vita in cui tutto è ancora intero, bisogna sfuggire alle aspettative dei genitori e cercare i propri desideri.
Marx diceva che ricongiungersi con la natura è riconciliarsi con se stessi perché, umani e natura, siamo la stessa cosa. Il sistema di produzione e di valori in cui siamo immersi da un paio di secoli ha creato una frattura e forse nei romanzi di formazione di oggi si cominciano a raccontare le storie di chi, da grande, quella frattura vorrebbe provare a colmarla.
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