Complessivamente le sfilate uomo per la primavera-estate, a Milano e Parigi, sono andate bene. Circolava una strana aura garrula, friccicarella, anche se da molti punti di vista immotivata. Specie visti i crolli a doppia cifra ricavi che girano in tutte le grandi corrazzate del lusso, in qualche caso persino in picchiata libera. La geopolitica fuori di cotenna che ormai dura da anni e anni, e figurarsi ora (tutto questo avveniva negli stessi giorni della visita di Putin a Pyongyang, per dirne una) non aiuta affatto.

Anzi, parliamo della fine dell’assetto mondiale che ha retto il mondo dagli anni Novanta e che sta crollando, sostituito da una serie di nuovi fili fatti di transazioni e patteggiamenti commerciali tra punti finora non illuminati. E che neppure gli osservatori di “Limes” e “Domino”, pur sforzandosi come delle bestie, riescono ancora a raccontare. È così.

Come intercettarli (se lucrativi, sia chiaro) questi fili? Aspettando. Studiando. Innovando. Distaccandosi per un po’. Immaginando un uomo (volendo ancora usare un termine biologico) che con serenità scaltra e quindi tecnicamente avanzata sa bene che diventerà altro da sé. Chiamiamola «alienazione riflessiva». È una attitudine verso il mondo che può essere principalmente praticata da menti sagge, che ne hanno viste di ogni. Quindi, da settanta/ottantenni/novantenni, per ovvie ragioni.

Armani e Yamamoto

È per questo che la sfilata che ha visto celebrare le nove decadi di vita di Giorgio Armani è stata la più importante. Morbide e rilasciate vesti, riflessive (appunto), vestivano modelli di età cangiante che camminavano lentissimi, in perfetta tranquillità. Con gli occhi fieri e dritti verso destini sconosciuti. Gli stessi, azzurrissimi, che da sempre hanno guidato il signor Armani verso un crescente trionfo che certo non si sarebbe mai potuto immaginare, da ragazzo.

Più umana ancora, attenta alle fragilità della senilità, ma anche alla forza e alla bellezza dei rapporti familiari e interpersonali, è stata la sfilata che l’ottuagenario Yohji Yamamoto ha regalato a Parigi, con le ragazze che accompagnavano sottobraccio eccentrici signori anziani elegantissimi, e corpi di ogni fattezza fasciati ancora volta da un’eleganza assoluta e per questo immobile, se non per variazioni intercettabili solo da conoscitori assoluti.

Issey Miyake è passato a miglior vita ma certo il suo fantasma ha informato e guidato dall’alto le sue truppe per un’intera e lunga parata di soli Pleats (il suo leggendario tessuto a pieghe che diventa un niente se lo raccogli nel palmo della tua mano) con momenti di tagli e cromie meravigliosi.

Prada

È sempre sconveniente parlare dell’età di una signora, e non lo faremo certo noi (ma su wikipedia ci metterete un secondo). Diciamo però che l’accoppiata Miuccia Prada+Raf Simons porta ad un complesso di 126 anni, cosa che la pone a buon diritto nella schiera dei saggi/e di cui stavo parlando. In questo caso, ancora una volta trionfale, l’idea di «alienazione riflessiva» casca perfetta. La collezione prende come base – come al solito fa la Signora – il guardaroba da bravo ragazzo dell’era d’oro della borghesia milanese del Novecento e lo rovescia come un calzino dall’interno.

Complesse microreti di filo di ferro producono stropicciature ai colli che sembrano sbadate, così come finte stirature fatte in fretta. I cardigan tutti attilatini sopra polo sono in realtà un pezzo unico, così come i foulard che spuntano dalle maglie a strisce a maniche lunghe.

I pantaloni di tweed non sono borghesi, perché il tessuto classico è solo uno stampato così come le cinture (prodotte in 3D) a questi incorporate proprio sulle anche, sexy quindi. E poi il corpo si gira e il classico triangolo di Prada è solo un taglio nel tessuto che rivela la pelle, bellissimo se poi piazzato davanti, sotto il collo.

Insomma. Il presente e il futuro ci sono tutti. Solo che vengono architettati – con altIssimo grado di intelligenza appunto che riflette per agire con calma- dentro aliene generazioni presenti e future, ma che hanno ancora fattezze umane.

Pensare bene a cosa fare, e decidere di mollare il colpo è ciò che ha fatto il neopensionato Dries van Noten. A Parigi ha presentato la sua ultima sfilata maschile – dopo quella femminile, a febbraio- con grande commozione generale: ed ecco i suoi classiconi, le cose di un rosa che sa fare soltanto lui (fluido? da decadi) e poi l’oro e pantaloni trasparenti sui quali falliscono tutti ma lui no, e li rende completamente maschili, miracolosi.

JW Anderson per Loewe

Fuori dal trionfo silver, ancora una volta ha spiccato l’eleganza assoluta della sfilata di JW Anderson per Loewe, perfetta. Incluso il nuovo uso delle cinture a vita (già praticato da lui nella stagione precedente, dove le aveva lasciate cadere tutte slacciate, come omaggio al battuage dei tempi d’oro) e qui elemento strutturale dell’orlo di maglie, colpo da maestro insieme a parecchi altri.

Anche in questo caso magnifica quiete apparente, inno commuovente ad una bellezza capace di sfidare tutto ciò che arriverà, qualunque esso sia. «Alienazione riflessiva», allora.

Ne ha parlato non a caso Claire Isabel Webb intervenendo proprio in questo stesso weekend nel frullatore di alcuni tra i migliori cervelli del mondo, a Venezia, in quello che una volta si sarebbe definito un grande simposio: “What is universalism. New philosophy for a multipolar world”, che ha curato immancabilmente Hans Ulrich Obrist insieme a Lorenzo Marsili. Multipolare, come un po’ si diceva prima (meglio che bipolare, converrete).

Sono definizioni che possiamo pronunciare e scrivere. Ora le possiamo anche indossare.

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