Da vent’anni l’artista e attivista torinese smaschera le multinazionali con performance di pirateria. Nelle sue opere si concentra su privacy e open access: «L’obiettivo è provocare, far parlare del tema»
Paolo Cirio è un artista, hacker e attivista torinese, noto a livello internazionale, che a giugno inaugurerà una personale intitolata AI Attacks, sulle implicazioni sociali dell’intelligenza artificiale, nel museo di fotografia Foam.
Il suo lavoro spazia dall’arte concettuale alla critica della cultura, incarnando l’etica hacker, in particolare l’open access, le politiche sulla privacy e la critica dei modelli economici, legali e politici. Da vent’anni Cirio smaschera le multinazionali con performance di hacking, pirateria, fuga di informazioni sensibili, furto di identità e attacchi informatici, contro colossi come Google, Amazon e Facebook.
L’artista è finito persino nel mirino del ministro degli Interni francese Gérald Darmanin, che nei social liquidò così una sua mostra: «Paolo Cirio: Insopportabile messa alla berlina di donne e uomini che rischiano la vita per proteggerci. Chiedo il disallestimento della “mostra” (Capture) e la rimozione delle foto dal suo sito, pena il ricorso alle sedi giudiziarie competenti».
Abbiamo raggiunto l’artista, mentre sta preparando una doppia mostra che si terrà a giugno ad Amsterdam, per chiedergli quale altro anticapolavoro contro i potenti della terra abbia in serbo e perché mai Darmanin e i poliziotti francesi ce l’avessero tanto con lui.
Partiamo da Capture, visto che la censura è tornata di moda. Cosa avvenne quella volta in Francia?
Nella mostra, allestita nel centro nazionale di arti contemporanee Fresnoy dell’Alta Francia, nell’ottobre del 2020, esposi 4000 volti di agenti di polizia francesi assemblati mediante un sistema di riconoscimento facciale. In risposta, il ministro degli Interni e i sindacati di polizia mi hanno costretto a rimuovere il progetto sia in mostra sia online.
Qual era lo scopo di quella performance?
Vietare la tecnologia di riconoscimento facciale in Europa. Dopo la mostra ho consegnato la mia ricerca e una denuncia alla Commissione europea e al Garante europeo della protezione dati con oltre 50mila firme a sostegno della sua petizione.
La tua è una forma di arte relazionale: come l’hai sviluppata?
Sono sempre stato interessato alle avanguardie artistiche e ho sempre avuto questa necessità di esprimermi socialmente e politicamente, anche scrivendo, a partire dai 14-16 anni, a Torino. Ho conosciuto le avanguardie del cyberpunk, della musica industriale, che negli anni Novanta erano underground, oggi invece sono storicizzate.
Conoscevo i bolognesi Luther Blissett, di cui avevo i Quaderni rossi, poi diventati Wu Ming; leggevo i situazionisti tradotti dalla casa editrice Nautilus di Torino e la rivista milanese Decoder che traduceva libri del cyberpunk americano. Tutte esperienze che riuscivano a mettere insieme arte, avanguardia e intervento politico. Sono cresciuto in questo contesto, prima che internet esplodesse.
Ho iniziato quando ancora la rete non era quello che è oggi, ma già allora, prima che diventasse di massa, internet mi mise in contatto con altri artisti di tutto mondo. Ho viaggiato e ho potuto lavorare con istituzioni interessate a questo tipo di arte. Appena ho capito che tale pratica sarebbe potuta diventare un lavoro, a 25 anni, dopo il Dams, ho mollato tutto in Italia e mi sono trasferito a Londra, dal 2005 al 2011, poi New York, fino al 2020. Per il Covid sono tornato a Torino, che mantengo come base, ma ho ripreso a viaggiare.
Hai rischiato hackerando Google, Amazon, Facebook: qual è il tuo rapporto con la legge?
L’hackeraggio è un’azione provocatoria, non violenta, che mette in discussione poteri politici ed economici per criticare le loro pratiche. È un’azione politica, come un sit-in, come il saccheggio di una multinazionale o, negli anni Sessanta, di una banca. Le implicazioni legali sono implicite, a volte si cercano, perché la provocazione sia forte. C’è un rischio legale ma si cerca di non finire in prigione. Ho subìto varie minacce, come quella del ministro francese, che non si sono mai trasformate in vere cause, attraverso lettere di avvocati, piccoli e grandi.
Dopo queste minacce, smetto di fare quello che è illegale e cerco di rimuovere ciò che ha provocato la rabbia per evitare che scatti la causa. Aspetto qualche giorno o settimana, per capire qual è il rischio, poi smetto, perché l’obiettivo è provocare, far parlare del tema, ma dietro la questione artistica – la performance in sé – c’è uno studio approfondito, in cui prevedo le reazioni anche in base a quanto il progetto sarà online.
È un modo nuovo per “épater les bourgeois”, per scandalizzare i borghesi?
Le prime erano, in effetti, provocazioni post punk. Da un decennio mi sono evoluto per portare avanti discorsi più solidi, con campagne che propongono delle azioni legali. Da minacciato sono diventato minacciatore. Negli ultimi progetti, da quello con cui ho smascherato oltre 200mila società offshore delle isole Cayman nel 2013, alla provocazione illegale si accompagna la promozione di una nuova legge. Propongo delle nuove norme e sono io che minaccio azioni contro le multinazionali.
Dalla campagna contro il riconoscimento facciale a una per il diritto all’oblio nelle incarcerazioni di massa, alla Climate Class Action, una campagna per organizzare azioni legali che consentirebbero ai cittadini di richiedere un risarcimento alle principali società di combustibili fossili. L’hackeraggio non è una questione solo tecnica, perché oltre al sistema informatico che sto hackerando devo conoscere anche l’istituzione che sto attaccando.
Hai collegamenti con i movimenti o sei anarchico?
Essendo un artista non riesco ad amalgamarmi con gli attivisti e con i movimenti. A volte collaboro con organizzazioni più o meno radicali. Per il riconoscimento facciale ho collaborato con due o tre organizzazioni; invece per il clima ho parlato con Extinction Rebellion ma quando hanno saputo che era un progetto sponsorizzato dall’università hanno declinato. A Venezia ho collaborato con Sale Docks. Quando gli attivisti mi chiedono di proseguire, però, non posso, perché mi interesso di altro e devo sviluppare le mie idee.
Quando inaugurerà la mostra di Amsterdam?
L’opening della mia personale è stato il 30 maggio, all’interno di una mostra sull’intelligenza artificiale, che inaugurerà il 1° giugno. Dal 20 giugno due mie opere saranno esposte nella mostra Framer Framed sul cambiamento climatico.
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