Michel Foucault, con parole divenute celebri soprattutto per chi parteggiava per lo strutturalismo, ha scritto negli anni Settanta del Novecento che «un giorno, il secolo sarà deleuziano», volendo in maniera provocatoria sottolineare come il sistema filosofico di Gilles Deleuze sarebbe stato, prima o poi, riconosciuto per la sua capacità di leggere il mondo.

Volendo rimanere sul provocatorio e facendo il verso a Foucault, si potrebbe dire che il Novecento italiano, prima o poi, si scoprirà essere «parisiano», nel senso che l'opera di Goffredo Parise apparirà forse un giorno come uno dei risultati più alti della scrittura del secolo scorso, sia per la sua capacità di intercettare il gusto del pubblico, sia per il valore senza tempo dei suoi libri.

Le opere di Parise sono infatti un sismografo accurato della storia letteraria e culturale di un paese intero a partire dal folgorante esordio del 1951 Il ragazzo morto e le comete, lontanissimo dal realismo imperante nel dopoguerra e più vicino a un surreale resoconto in hora mortis, fino alle brevi prose dei Sillabari, insuperato tentativo di raccontare, con una grazia unica, i sentimenti umani essenziali, da “Amore” fino a “Solitudine”, passando attraverso straordinari reportage da ogni parte del mondo (il Giappone di L'eleganza è frigida o il Laos e la Malesia di Lontano) e saggi critici capaci di cogliere la natura più profonda delle cose da angolature inedite.

Lui e i blasonati colleghi

Quando però si mettono in fila i “grandi” narratori italiani, vengono in mente immediatamente Calvino, Pavese, Morante e, forse, Gadda, mentre il nome di Parise è solo un'eco lontana. Che sia per il suo inguaribile carattere provinciale o per una scrittura ibrida offerta anche ai giornali e al cinema, Parise non ha mai conquistato nell'opinione pubblica il vessillo di scrittore puro, di autore “canonico” del Novecento.

Ma chi si addentra tra le pieghe delle sue pagine scoprirà facilmente una scrittura originale che nulla invidia ai più blasonati colleghi, un caratteristico andamento poetico in forma di prosa («una sostanza poetica che ribolle e rifiuta di assestarsi entro schemi definibili» ha detto Montale) e uno sguardo atipico che non insegue mode ma solo puri interessi (come nei saggi raccolti in Quando la fantasia ballava il boogie dove si trovano pagine stupende, per esempio, su Georges Simenon, William Somerset Maugham o Nanni Moretti).

E se non si volesse partire dalla perfezione formale e meccanica dei Sillabari (il cui secondo volume fu Premio Strega e Campiello nel 1982) o dall'astrattezza commovente di Il ragazzo morto e le comete, non esiste luogo migliore del romanzo che spalancò al giovane Parise il successo del grande pubblico, Il prete bello (pubblicato da Adelphi come quasi tutte le sue opere). Sono passati pochi anni dall'esordio sperimentale, ma Il prete bello imprime alla parabola letteraria di Parise una curva decisiva: qui non c'è spazio per trame oniriche, ma un impianto realistico che cerca di restituire il clima della provincia italiana, quella vicentina d'origine dell'autore, attraverso ciò che accade in un caseggiato dove si trasferisce un giovane e fascinoso prete, don Gastone, cappellano militare nella guerra di Spagna, autore di libri dove aveva descritto «atrocità e delitti dei rossi in modo molto commovente» e che passeggia per la città «leggero come un peccato veniale, una figura di sogno, Robin Hood, san Luigi Gonzaga».

Lui e Perec

Il celebre romanzo di Georges Perec La vita, istruzioni per l'uso uscirà più di vent'anni dopo e resta allora a Parise il premio per l'originalità dell'idea di racchiudere nelle vicende di uno stabile i vizi e i caratteri di una spassosa galleria di tipi umani. Non c'è ovviamente in Parise il desiderio combinatorio tanto caro a Perec, ma le donne agli ordini della proprietaria, la signorina Immacolata (che quando riceve una dolce stretta di mano da don Gastone diventa «simile a un merlo africano multicolore e cangiante che si appresti a trillare»), che con amore e curiosità tengono in ordine la biancheria del prete («tutta di lino e con calze di organzino di seta»), il cavaliere Esposito, dalla cui casa si «spandeva uno strano miscuglio di sentori umani» e con cinque figlie tutte stregate dal bel sacerdote, le due aristocratiche decadute Walenska che del prete si interessano poco e la giovane Fedora rigogliosa come la primavera sono tanti piccoli tasselli di un microcosmo che nella sua interezza offre al lettore un quadro straordinario dell'Italia del Novecento (siamo nel 1940, «in quei tempi, in cui non si udivano altro che inni – la guerra non c'era perché tutti dovevano aver paura degli italiani»), dei vizi e le virtù di un gruppo di persone che ancora oggi è divertente epifenomeno dell'Italia contemporanea.

Il narratore

Se si aggiunge che la voce narrante, quella che osserva e racconta, è quella di un bambino, Sergio, novello Oliver Twist che si inserisce nella popolosa schiera di grandi personaggi dell'infanzia del Novecento (dal Pin di Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino a Useppe della Storia di Elsa Morante) il quadro è completo ed è difficile rimanere indifferenti all'inarrestabile passione di un gruppo di persone verso un prete vanesio, ritratto, involontario e per questo perfetto, dell'Italia. Il critico Antonio D'Orrico ha scritto che in Italia, a differenza di quanto accaduto negli Stati Uniti (si pensi a Faulkner, McCarthy, Franzen e DeLillo), non c'è mai stata l'ossessione per il “Grande Romanzo Italiano” ma che, se ci fosse stata, Parise avrebbe avuto un posto privilegiato e Il prete bello sarebbe stato uno dei più credibili candidati. Al di là della complessità del tema in un paese di tanti (e presunti) romanzieri e abbandonandosi, parafrasando Roland Barthes, al «piacere della lettura», è indubbio che le opere di Parise siano tra i vertici del romanzo italiano del Novecento e capaci di rappresentare un paese intero e Il prete bello ne è felice dimostrazione.

Il critico Cesare Garboli ha descritto Parise come lo scrittore «più inaspettato e dotato che abbia esordito in Italia nel dopoguerra» ed è forse questo radicale carattere autonomo da outsider di provincia a rendere la memoria letteraria di Parise così difficile da processare. Ma a lui probabilmente sarebbe interessato il giusto ed è bello continuare a immaginarselo sfrecciare a tutta velocità per le vie di Roma in cerca di nuove storie, con la sua spider rossa, incurante del pericolo e con al fianco l'amico e vicino di casa Carlo Emilio Gadda impaurito a morte, con una mano sul cappello e una sul freno a mano.

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