- «Immaginiamo la scena. Siamo a Donna Olimpia in un campo periferico di Roma: scende in campo la formazione degli scrittori contro la rappresentativa della borgata Donna Olimpia. Tra le file degli scrittori notiamo Bassani, Cancogni, Garboli, Sermonti, Giagni, Cibotto e Pasolini.
- Sul nuovo numero di Finzioni, il mensile letterario di Domani a cura di Beppe Cottafavi, questa e altre storie del Pasolini “corsaro” nell’area di rigore le troverete corredate da immagini uniche.
- Il 16 marzo 1975 si giocava una coppa tutt’altro che simbolica: il poeta di Casarsa ci teneva. Forse pure Bertolucci ci teneva, ma certo meno, molto meno di Pasolini. La sfida era tra la troupe di Novecento e quella di Salò o le 120 giornate di Sodoma.
«Immaginiamo la scena. Siamo a Donna Olimpia in un campo periferico di Roma: scende in campo la formazione degli scrittori contro la rappresentativa della borgata Donna Olimpia (che poi borgata da tempo non lo è più, ndr). Tra le file degli scrittori notiamo Bassani, Cancogni, Garboli, Sermonti, Giagni, Cibotto e Pasolini» (dalla mostra, La solitudine dell’ala destra. Pier Paolo Pasolini e il calcio a cura di Piero Colussi, Cinemazero Pordenone).
Eddai, basterebbe questo resoconto minimo a schiudere archivi di memorie e aneddoti e rimandi. Sul nuovo numero di Finzioni, il mensile letterario di Domani a cura di Beppe Cottafavi, questa e altre storie del Pasolini “corsaro” nell’area di rigore le troverete corredate da immagini uniche. E dal Qr code per scaricare il docufilm 120 contro 900, Bertolucci contro Pasolini di Di Nuzzo e Scintillani. Tipo un trio pazzesco, Bertolucci (Bernardo), Laura Betti e PPP, cornice un altro campetto, stavolta alla periferia di Parma.
È la mattina del 16 marzo (ahi, le date quanti segreti covano), siamo nel 1975. Vuol dire un anno dopo che l’Italia si è tenuta stretta la legge sul divorzio e sette mesi prima che sul lungomare di Ostia le ruote di una macchina (guidata da chi?) al nostro più grande intellettuale civile spaccassero il cuore.
La coppa dei campioni
16 marzo, dunque, erano lì a giocarsi una coppa tutt’altro che simbolica, il poeta di Casarsa ci teneva, eccome. Forse pure Bertolucci ci teneva, ma certo meno, molto meno di Pasolini. La sfida era tra la troupe di Novecento e quella di Salò o le 120 giornate di Sodoma. Divisa tradizionale del Bologna (colori rossoblu a strisce verticali) per i secondi, un improbabile completo viola per la squadra di Alfredo e Olmo.
Pasolini era capitano dei suoi, li aveva istruiti a dovere appaltandone i ruoli. Bertolucci no, lui non giocava, se ne stava in panca nella veste di mister, il tutto nel giorno in cui compiva trentaquattro anni. Risultato al fischio finale: 5 a 2 per quelli di Novecento. Sintesi, Bertolucci s’intesta la coppa, Pasolini rosica. Cioè più che rosicare (che perdere ci sta) ha capito che l’altro ha “barato” spacciando tre giovanotti della “primavera” locale – gente dai piedi buoni e molto fiato – come lavoranti e comparse del film.
E non è solo quello, perché il caso vuole (ammesso esista il caso) che uno dei tre sia Carlo Ancelotti, acerbo fin che si vuole ma segnerà pure un gol. Ancelotti capite? Vuol dire Parma, Roma, Milan sull’erba, e Chelsea, Juventus, Bayern, Milan, Paris Saint Germain, Real Madrid, e Napoli e Everton come allenatore. Uno – a dire il vero l’unico – che ha vinto quattro Champion’s League (per noi del secolo scorso, si dice Coppa dei Campioni).
Ecco, quel 16 marzo può darsi che in un takle scivolato il nostro scrittore-artista-regista che più nel calcio è vissuto (con gesti, parole, passioni) abbia impattato lo stinco di chi del calcio sarebbe divenuto mito, o giù di lì. Secondo me è una bella storia, e la foto li mostra quei tre con PPP scuro in volto chissà con quale rabbia dentro.
Pasolini Maradona
Alla fine se un’immagine viene da combinare con quelle che lo vedono, Pasolini intendo, sgambare su campetti terrosi in pantaloncini cortissimi di quelli che si usavano allora, direi che la più adatta è di qualche anno più tardi, a immortalare Maradona, il genio, il talento puro, nel gennaio del 1985 quando con mezza squadra (quel Napoli, mica spiccioli) sbarca in una fanghiglia a ridosso dei casermoni di Acerra per una partita storica a sostegno di un ragazzino in difficoltà.
Lui arriva, corre, dribbla, rischia di farsi male e poi che fa? Segna con “la mano de Dios”. Ma l’Azteca dove un anno e mezzo dopo il mezzo miracolo riuscirà per davvero a farlo è distante e quella volta, nel fango, il signor Pasquale Castaldo – ex arbitro Figc nonché ex vigile urbano – la rete rubata gliela annulla. Racconta, il Castaldo, che a fine partita “el pibe de oro” lo aveva ringraziato col garbo della sportività.
Dieci anni separano l’imbroglio bonario di Bertolucci dalla follia di Maradona che contro il parere del Napoli, nel senso della società sportiva, se ne andava a rischiare le gambe in un campetto di periferia. Dieci anni. Eppure volendo, e giocando di fantasia, quei due (anzi tre con Carlo Ancelotti) era come se avessero giocato assieme per davvero, con Pasolini a rubarsi cogli occhi un fenomeno senza eguali.
Chissà se si sarebbero piaciuti l’un l’altro? A me piace pensare che sì. Per un motivo che poi stava in quella frase quasi urlata da Alberto Moravia a Campo de’ Fiori, il 5 novembre del 1975, nell’orazione a tributo dell’amico, «E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo». Tre o quattro in un secolo. Come Pasolini. Uno al massimo in cento anni. Come Maradona. Sì, io penso che quei due si sarebbero piaciuti, fosse solo per compensare la solitudine di entrambi. Buona lettura.
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