La parola gusto deriva dal latino gustus che vuole semplicemente dire buono, soddisfacente, in un senso estremamente soggettivo e personale.

Quando però diamo del burino a qualcuno, quando pensiamo che una situazione sia trash o anche quando mormoriamo sommessamente con un senso di profondo rimprovero che quell’azione o quella persona sono di cattivo gusto, abbiamo la convinzione di trovarci nel regno della più solida oggettività.

La moda, campo del gusto per eccellenza, ci aiuta a capire che di oggettivo in questo tipo di affermazioni non c’è niente ma che anzi sono piene di un giudizio che in genere è svalutativo verso categorie di persone che non hanno avuto il privilegio di nascere ricchi.

Valentino vs Dolce & Gabbana

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Nei giorni scorsi si sono svolti due eventi importanti per chi segue la moda: la sfilata della collezione alta moda di Valentino a Roma, sui gradini di Trinità dei Monti, e quella di Dolce & Gabbana a Siracusa, di fronte alla cattedrale di Ortigia.

I due marchi pur non lontani da un punto di vista di fatturato (Valentino ha chiuso il 2021 con 1,23 miliardi mentre Dolce e Gabbana a 977 milioni) sono lontanissimi sotto il profilo estetico e sono diversi i messaggi che i loro abiti sottendono, sia nell’immaginario popolare dei non fruitori sia in quello dei loro migliori clienti.

Il plauso universale per il lavoro del direttore creativo di Valentino Pier Paolo Piccioli viene infatti dalla sua rigida osservanza di codici profondamente minimalisti e sottrattivi, anche nel turbinio di cromatismi pirotecnici, e dalla sua vicinanza a un’estetica pulita, razionale, chiara e comprensibile.

La stessa che ci tranquillizza davanti a un lavoro della Bauhaus o a un quadro di Mondrian. Per quanto probabilmente sottrazione non è la prima cosa che pensiamo di fronte ad un abito di alta moda di Valentino, in realtà il principio è esattamente quello.

Dolce & Gabbana sono invece il regno del massimalismo, dei richiami religiosi, dei barocchismi e dei bizantinismi, oltre che di un erotismo spesso sfacciato, che riportano il senso del giudizio estetico comune, familiarmente detto gusto, verso orizzonti di decadenza etica, di abbrutimento morale, di esagerazione ostentata.

Cosa è inaccettabile

A model wears a creation as part of the Dolce & Gabbana men's Spring Summer 2023 collection presented in Milan, Italy, Saturday, June 18, 2022. (AP Photo/Luca Bruno)

In realtà, all’interno della storia della moda italiana, il lavoro di Dolce & Gabbana, come quello di Gianni Versace o di Fausto Puglisi (non per caso tutti provenienti dal meridione italiano) hanno un posto rilevante proprio per aver approfondito l’idea di inaccettabilità sociale, di esclusione, di rifiuto. In una parola di cattivo gusto.

La formazione del gusto percorre strade molto complesse che hanno però radici culturali definite e il fatto che una croce d’oro tempestata di pietre colorate venga ritenuta eccessiva mentre un paio di orecchini d’argento con un piccolo diamante siano comunemente accettati come eleganti non è un caso. Esistono ragioni profonde che vengono da molto lontano.

Pierre Bourdieu, sociologo e filosofo francese, ha dimostrato come il buon gusto sia una costruzione sociale che di fatto serve a delimitare in maniera chiara ciò che sta vicino alle stanze del potere da ciò che ne deve stare lontano.

In un libro che si chiama La distinzione. Critica sociale del gusto (Il Mulino, 1983) compie un'indagine sociologica sui consumi e sul gusto nella Francia del dopoguerra raccogliendo un'enorme mole di dati attraverso l'analisi delle statistiche di alcuni enti francesi, interviste e questionari a campione su cittadini di ogni classe sociale.

Nella sua opera Bourdieu afferma che ogni individuo sceglie certi beni di consumo e prodotti culturali, e quindi si forma un gusto personale, a partire dalle proprie condizioni sociali ed economiche.

Ogni individuo si inserisce o nella classe dominante (ricca e istruita) o nella classe dominata (povera e incolta) e, per quanto nel mezzo esista una scala di grigi, il senso è che le persone tendono ad occupare una posizione o l’altra.

La posizione sociale di un individuo, secondo Bourdieu, è determinata da tre variabili: il capitale economico, il capitale culturale e il capitale sociale: il capitale economico sono i soldi, il capitale culturale è la cultura (quindi anche il gusto, inteso come costruzione culturale) e il capitale sociale è la rete di relazioni.

Per Bourdieu le scelte che facciamo, soprattutto quelle che riguardano l’estetica, campo da sempre difficilmente definibile, hanno una parte razionale ma anche una forte componente inconscia che deriva dalla nostra storia personale.

Crescendo in un particolare ambiente acquisiamo delle conoscenze e dei modelli di comportamento che memorizziamo e che diventano naturali: queste conoscenze e modelli che abbiamo imparato e che applichiamo senza rendercene conto vengono chiamati habitus. L'individuo vede il mondo in un certo modo, si comporta e fa scelte seguendo il proprio habitus.

L'habitus è un principio che guida le nostre scelte in ogni ambito della vita: scegliamo grazie a strategie non razionali beni di consumo, arredamento, abbigliamento, linguaggio e cura del corpo.

La facoltà di emettere giudizi su pratiche e opere culturali (quindi anche scegliere un paio di scarpe) è quindi il gusto personale che per Bourdieu non è libero come noi crediamo che sia ma profondamente influenzato dalle nostre origini.

Il gusto è questione di classe

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L'habitus è intrinsecamente legato alla classe sociale, alla provenienza geografica, ai caratteri culturali che abbiamo acquisito attraverso la nostra educazione, le scuole che abbiamo frequentato, la famiglia che abbiamo avuto e gli amici che ci siamo scelti. Attraverso il nostro habitus ci rappresentiamo nel mondo e quindi decidiamo che vestiti metterci.

Questo vuol dire che quando capitale economico, culturale e sociale si allineano quello che vediamo da fuori è una persona ricca ed elegante che, per quanto possa sembrarlo, non ha assolutamente questi requisiti stampati nel patrimonio genetico ma che ha costruito intorno a sé, in parte in maniera cosciente e in parte in maniera incosciente, una drammaturgia, una messa in scena che a noi sembra fantasticamente sovrannaturale o geneticamente indotta

Nel buon gusto invece non c’è niente di ereditario, di innato o di sovrannaturale anche se spesso pensiamo che buon gusto coincida con eticamente buono e cattivo gusto con moralmente cattivo. La coincidenza è piuttosto con privilegio sociale o con diseguaglianza.

Ma esiste un altro strano tipo di fattore che sembra essere geolocalizzato: i nord dell’occidente sono eleganti, orientati al gusto, hanno un’estetica semplificata e poco colorata che lavora sulla sottrazione mentre i sud sprofondano nel massimalismo decorativo, nell’amplificazione delle forme e in un uso sfacciato dell’erotismo. Questa differenza estetica, spesso usata come arma per creare inesistenti paralleli con l’etica, fa parte del nostro linguaggio quotidiano, della nostra visione delle cose.

I nostri ragionamenti sono zeppi di stereotipi che inneggiano al serio grigiore calvinista di una Milano orientata al lavoro o al colorato e festaiolo spirito napoletano o siciliano, di solito avvicinato a vacanze e a dolce far niente.

L’espressione stessa Dolce far niente, usata da Plinio il Giovane nelle sue Epistole è in realtà entrata nell’uso comune grazie ai ricchi inglesi che nel 700, all’interno dei loro Grand Tour dell’Europa, visitavano l’Italia e la trovavano il regno dell’ozio, del disimpegno e quindi probabilmente le attribuivano anche un certo grado di inciviltà.

Per stare in Italia, nord e sud hanno radici culturali e quindi estetiche diversissime e quando il 17 Marzo 1861 viene proclamata l’Italia unita in realtà si saldano insieme due territori che non hanno niente in comune.

Il Nord è agganciato alla morale protestante, alla produttività capitalista, all’autodeterminazione del singolo e alla priorità del lavoro su ogni altro aspetto della vita, mentre il Sud sente ancora una forte impronta cattolica, latifondista e di base economicamente povera.

Questa divisione è parallela a una differenziazione estetica. Il Nord protestante ritiene che un oggetto debba innanzitutto essere semplice, pratico, usabile e non connotato mentre il Sud cattolico ha sviluppato, dai Bizantini in poi, una sincera passione amore per la decorazione, le sovrapposizioni, i colori e i materiali risplendenti e visibili. Il Barocco, per fare un esempio, ha una matrice fortemente cattolica e di fatto esiste da Roma in giù.

Due modi di concepire l’esistenza si sono agganciati a due prospettive estetiche ma dei due uno è il vincitore morale e materiale (il nord) mentre l’altro è il perdente.

Questo vale per altro per quasi tutti i paesi del sud Europa e ovviamente per l’America Latina che mutua gran parte della sua estetica dalla Spagna cattolica.

Vincitori e vinti

Models wear creations as part of the Dolce & Gabbana men's Spring Summer 2023 collection presented in Milan, Italy, Saturday, June 18, 2022. (AP Photo/Luca Bruno)

Tra Valentino e Dolce&Gabbana, come tra Armani e Versace o tra Chanel e Schiaparelli lo scontro che si vede in superficie tra buono e cattivo gusto è in realtà uno scontro tra vincitori e vinti, tra pensiero dominante e visioni laterali che non sono ancora state integrate.

Il valore storico culturale di tutti questi progetti è molto simile ma i giudizi che hanno suscitato e continuano a suscitare non lo sono perché cadono nella trappola di un pensiero che allinea ancora la sobrietà ad una supposta legge morale universale che in realtà non esiste.

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