Cosa resta di una scrittrice impegnata che precipita nel pozzo del desiderio ossessivo? Cosa scriverà la celebre femminista della sua smania per un uomo prosaico e inaffidabile?
Se ci si chiama Annie Ernaux la risposta è: tutto, ogni dettaglio – «dai calzini che teneva mentre faceva l’amore al mio desiderio di morire nella sua auto». Perché è proprio dove scorre la vergogna impronunciabile che si deve andare a rimediare il materiale per incrociare mondo e linguaggio.

Un diario esplicito

Leggendo Perdersi, L’orma editore, il nuovo libro tradotto in italiano del Premio Nobel 2022, ho pensato alla lettera aperta che nel 2020 la cantautrice Lana Del Rey pubblicò sul suo profilo Instagram. Rispondendo alle polemiche sui suoi testi, colpevoli per alcuni di romanticizzare l’abuso, mettere in scena un femminile troppo passivo e sottomesso, «riportando le lotte per la parità indietro di cento anni», la cantante scrisse: «Non sono femminista, ma nel femminismo dovrebbe esserci posto anche per le donne come me», ovvero donne che raccontano relazioni torbide, incapaci di promuovere gli standard contemporanei di indipendenza ed empowerment, donne inclini ad amare uomini problematici e abusanti, la cui voce viene «invalidata sia dai misogini che dalle donne più forti», più virtuose.

La prospettiva di Annie Ernaux è da sempre sociale – la subordinazione di classe e di genere è il motivo ricorrente del suo lavoro –, eppure con Perdersi ci consegna un testo invischiante e contraddittorio, che condensa tutto ciò che una donna emancipata non dovrebbe essere e fare.

Non si tratta di un romanzo, ma di un diario esplicito, tutto furia fusionale e annientamento, la trascrizione dettagliata e angosciosa di una relazione impari e senza futuro. Un libro che rivela un’Ernaux inedita, dato che queste pagine non nascono per essere pubblicate, e lo si capisce subito, dalle reiterazioni morbose, dall’assenza di filtri.

Tutto comincia nel 1988: durante un viaggio di lavoro nell’allora Urss, la scrittrice, allora quasi cinquantenne, conosce un diplomatico – di nome S., sposato e molto più giovane di lei –, e ne diventa l’amante. Per un anno gli incontri si susseguono, a Parigi, risucchiando Ernaux in un mondo altro, governato da un ciclo asfissiante di bramosia e disperazione.

Di lui Ernaux sa pochissimo (che sia una spia del Kgb?): l’uomo appare e scompare, si fa vivo solo per il sesso, e lei mette in pausa la sua vita, facendo delle sue visite il suo solo interesse, la forma unica della sua esistenza. Il tema è la dipendenza affettiva, ma vista con gli occhi della maestra dell’autobiografismo, dunque il risultato è più disturbante che istruttivo, più vicino a un libro di magia nera che a un manuale di self help.

Il potere dei desideri

Contro tutta una certa retorica del desiderio come garanzia di autorealizzazione e felicità, Ernaux mostra qual è nei fatti il potere mortifero dei nostri desideri.

La sproporzione massima, l’umiliazione e l’ambivalenza di un incontro che prima riempie di vita e poi stritola, possono essere però almeno fissate sulla pagina: Ernaux, in quei lunghi mesi di lacrime e amplessi, in cui non riesce a lavorare, né a pensare ad altro, affida tutto al diario. In questo agglomerato di frammenti quotidiani, che giustappongono grazia e miseria, euforia e derelizione, annota ogni cosa – «il bisogno che ho di scrivere qualcosa di pericoloso per me, come la porta di una cantina che si apre, nella quale si deve entrare a tutti i costi».

Racconta i dettagli più compromettenti, a partire da quelli erotici: «Mi sono accorta di aver perso una lente a contatto. L’ho ritrovata sul suo sesso», e poi: «La fine del nostro incontro di ieri ha oscurato la felicità di ciò che era successo prima. Per esempio, mi prende con entrambe le mani per i capelli, come fossero trecce, e li tira delicatamente durante la fellatio».

E ancora: «23 e 45. È venuto, si è fermato per cinque ore. Era da molto tempo che non vivevo un momento così perfetto, che non eravamo tanto in sintonia. Abbiamo fatto l’amore quattro volte, in modi diversi. (Camera da letto, sodomia, dopo tante carezze lente – divano al piano di sotto, missionaria, anche lì con tenerezza – di nuovo camera, commovente, “ti metto lo sperma sulla pancia” – il divano, da dietro, sintonizzati)».

Vorace e oscena

La passione raccontata in queste oltre 270 pagine è tutto fuorché aulica, idealizzante: è soprattutto passione per la carne dell’uomo, per la pelle candida e il seme, i genitali e i modi rozzi («così meravigliosamente uomo russo, e dunque così in sintonia con la contadina che dentro di me continuo a essere»).

È un amore animale e vorace, che Ernaux restituisce senza edulcorazioni o parafrasi, spingendo l’offerta di sé sino al punto di farsi impresentabile, oscena e persino ridicola. Ernaux si rappresenta come una donna completamente succube, immobilizzata.

Di mese in mese accetta le sparizioni dell’uomo, non fa domande, non chiede nulla: «Una donna dopo i cinquant’anni deve accontentarsi di questo?». Spera molto e insieme pochissimo, esorcizzando a più riprese il destino da Anna Karenina che sente incombere su di sé. Ricorda il più bel libro di Colette, Chéri, questo calendario dell’uscita da sé che procede per accumulazione: la separazione dall’amante, lo strappo, viene aggravata dal ruolo del tempo. La donna matura e l’uomo più giovane, la prospettiva di un addio che ne tiene dentro molte altre.

Tutto il libro è scandito da una triangolazione tra passione, lutto e scrittura: l’esperienza radicale, incisa nel corpo, dell’ossessione erotica destinata a svanire, viene assimilata alla perdita della madre e all’aborto, ma anche a tutti le altre relazioni in cui la scrittrice ha preferito l’emozione alla dignità.

Verità e letteratura

In uno dei suoi libri più famosi, L’evento, Ernaux scrisse: «Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla, non ci sono verità inferiori».

Non c’è storia che non meriti di essere raccontata, e infatti nel lettore, accanto alla sorpresa per le ripetizioni compulsive del libro, iperrealistiche nella loro incontinente lamentazione, si affaccia il dubbio che questo diario sia la riprova di come la letteratura autobiografica ispirata, sprofondando nel dato di realtà soggettivo, riesca a intercettare punti segreti e fondamentali dell’esperienza di tutti.

A queste pagine Ernaux si aggrappa, mentre soprattutto aspetta una fiaba che non arriverà mai: abita il vuoto dell’amante clandestina e svilita, e infine sceglie di rappresentarsi agli occhi del mondo in maniera spietata, perché asseconda le volgarità del russo evanescente, privo di interessi intellettuali, così come di coraggio. Perdersi racconta l’esperienza di un’alienazione che non conosce calcolo, freno, ragione. Sta al di là dei giudizi su cosa sia opportuno, e cosa è buono, sano: da questo punto di vista ha molto a che fare con lo specifico della letteratura, questo libro anomalo e bruciante, se è vero che la letteratura deve mostrare la natura umana com’è e non per come dovrebbe essere.

La storia col diplomatico sovietico S. ha dato vita anche a un altro libro – Passione semplice – ma Annie Ernaux ha deciso ciononostante di pubblicare il confessionale narrativo che ha accompagnato in presa diretta i mesi della sua perdizione: «Mi sono resa conto che in quelle pagine era presente una “verità” diversa. Qualcosa di crudo o oscuro, senza salvezza, qualcosa dell’oblazione. Ho pensato che anche questo dovesse essere portato alla luce».

E poco più avanti: «Sono consapevole di pubblicare questo diario spinta da una sorta di prescrizione interiore, senza preoccuparmi di ciò che proverà lui. A ragione, potrebbe considerarlo un abuso di potere letterario, o addirittura un tradimento. Me lo immagino reagire sulla difensiva, con una risata o con un moto sprezzante: “La vedevo soltanto per farmela”. Mi piacerebbe, invece, che accettasse, anche senza capirlo, di essere stato per mesi, a sua insaputa, questo principio, meraviglioso e terrificante, di desiderio, di morte e di scrittura».


Perdersi (L’orma 2023) è un libro di Annie Ernaux

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