Di Petrolio, ultimo romanzo incompiuto di Pasolini, si ricorda soprattutto la dietrologia. Intorno a Petrolio c’è un odore di complotto che è raro trovare intorno a un’opera letteraria. Innanzitutto la sua pubblicazione postuma: nel 1992, ben diciassette anni dopo la morte dell’autore – un’enormità, per l’edizione di un manoscritto a testimone unico. Sottratto da qualsiasi nesso causale con la morte del suo autore, il romanzo comparirà solo a bocce ferme, quando la discussione sugli anni di piombo è bell’e rientrata e il tema del giorno è Mani Pulite.

Poi le presunte pagine rubate: un capitolo, Lampi sull’Eni, che sarebbe stato sottratto al manoscritto dopo l’assassinio di Pasolini, e che sarebbe poi ricomparso (il condizionale è d’obbligo in questo caso) nelle mani di Marcello Dell’Utri, che in una conferenza stampa nel 2010 dichiarò di esserne in possesso. Parole a mezza bocca, dove si fece capire che in quelle pagine si trattava di cose «scottanti» sull’Eni e l’omicidio Mattei. Tuttavia, non spiegò né mostrò nulla: fake news per alcuni, velata minaccia a qualcuno secondo altri. Quel capitolo non è mai saltato fuori, e c’è chi, come Walter Siti, nutre seri dubbi sul fatto stesso che esista davvero. Ma il nesso rimane, al centro di una complessa narrativa intorno a questi eventi: Petrolio rimane quel libro che, forse, è costato la vita al suo autore.

Una nebulosa che un libro recente di Quodlibet, Petrolio 25 anni dopo, prova a ordinare e chiarire. Lo cura Carla Benedetti, che di Petrolio è l’interprete più fedele, e a cui in questi anni non è stato risparmiato quel dileggio, molto italiano, che si riserva a chi vuol vedere troppe complicazioni nelle cose semplici. Del resto, si sa come basti dare del complottista a qualcuno per stroncarne il discorso: è un modo come un altro per buttare la palla in tribuna.

Frammento 55

Di Petrolio – inteso stavolta come opera e non come oggetto – i lettori ricordano sempre una sola scena: sullo sfondo notturno della periferia romana, il protagonista Carlo consuma un rapporto orale con venti ragazzi della borgata uno dopo l’altro, in fila ordinata. Si tratta del famoso frammento 55, intitolato Il pratone della Casilina. Di un libro che parla di Nuovo Potere, alienazione e mercato dell’energia, un libro che l’autore definì «la mia opera più politica», «il romanzo che forse m’impegnerà per il resto dei miei giorni», nella memoria collettiva resta quasi solo quella grande orgia rituale sulla Casilina, e poco altro.

Non è certo un caso. Non si può dare una colpa (o forse sì) a chi in un vasto zibaldone di più di seicento pagine nota solo il disegno sessuale. Lo diventa, una colpa, nel momento in cui quel frammento diventa la chiave di lettura dell’intero testo. Impedendo così di coglierne i valori fondanti, che sono altri e forse più utili. Ma quella di identificare Petrolio con il Frammento 55 è abitudine consolidata, fin dal 1992, anno di uscita del libro. È una lettura che, certo, fa comodo: il romanzo diventa una dimostrazione (l’ennesima) di quanto Pasolini fosse nei suoi ultimi anni un uomo squilibrato, ottenebrato dalla disperazione e ormai caduto in una fosca deriva sadomasochistica. Così ragionava perfino un lettore come Edoardo Sanguineti:

«A Pasolini non restava dunque che buttarsi nell’orrore della morte e a quel punto il suo fondo sadomaso esplose attraverso una patologia molto manifesta. L’ultimo film è un documento inequivocabile di quella disperazione patologica, qualcosa di molto simile a quel che nella scrittura è Petrolio. La scena del prato, per fare un solo esempio, è semplicemente sottopornografia».

Petrolio – come del resto anche il film Salò – sarebbe quindi niente più che il documento di una patologia di Pasolini. Va da sé che una figura di questo tipo diventa tanto affascinante come personaggio quanto inattendibile come osservatore: un deragliato mentale non può essere abbastanza lucido da vedere la verità. È una lettura che permette anche di archiviarne la morte senza troppi problemi: in un appoggio vizioso tra vita e opera che culmina nello stilema tanto abusato quanto volgare rispetto a quella notte del 1975 sul lungomare di Ostia: «Se l’è andata a cercare».

Fare attrito col mondo

Però i conti non tornano. Innanzitutto, quelle opere sono scritte quasi parallelamente ai celebri Scritti Corsari: ed è difficile immaginare un ragionamento più lucido e analitico di quello portato avanti da Pasolini sul Corriere della Sera proprio negli anni di Petrolio e di Salò. Sarà vero piuttosto il contrario: e cioè che la disperazione aveva reso Pasolini estremamente lucido, concedendogli la difficile libertà di chi, dopo mille scandali e processi, non ha più paura di niente. Niente di pruriginoso o di decadente – nessuna pulsione di morte ma il massimo della vita: opporsi con l’opera e col corpo al nuovo potere.

Petrolio non fa sconti, e parla della metamorfosi di un potere che da statale e nazionale diventa finanziario e internazionale. Oggi che quel salto di specie è un dato di fatto, mi colpisce che Pasolini ne avesse centrato anche il luogo in cui quella lotta si sarebbe combattuta: le fonti energetiche. Trent’anni prima che Greta Thunberg venisse concepita, Pasolini stanava il potere nel suo matrimonio con gli idrocarburi. Oggi ne vediamo il frutto: un nuovo capitalismo come un modello pandemico, un animale combustibile.

Se pochi oggi sanno chi sia stato Eugenio Cefis, è perché gli Eugenio Cefis (compresi quelli odierni) restano sconosciuti ai più: la politica va sotto i riflettori, ma i veri attori restano nell’ombra. Pasolini, privo com’era di qualsiasi capacità d’inchiesta ma dotato solo di spaventosa energia intellettuale, con Petrolio cercava di indicare (poeticamente, da sciamano) quelle matrici che ancora oggi trasformano il mondo. Si capisce allora che, in quest’orizzonte di pensiero, una ventina di fellatio sul pratone della Casilina appaiono piuttosto marginali.

Petrolio indica, infine, un modo di scrivere completamente nuovo. Un raro esempio di “opera performativa”: un libro che mescola tutti i generi, contamina tutti i materiali possibili, che prova con forza a uscire dalla forma otto-novecentesca di romanzo come “racconto di una storia” e in un certo senso ne denuncia l’inadeguatezza. Pasolini ha cercato qualcosa di diverso, di più estremo e coraggioso, sia nei contenuti che nella forma.

Fosse vivo oggi, non ho dubbi che scriverebbe Petrolio includendoci anche sequenze video, link, Qr codes, stralci di siti internet, brani di podcast: qualsiasi cosa pur di tendere un agguato alla verità sfuggente del mondo. Come ha scritto benissimo Walter Siti: il Pasolini di Petrolio non ha più voglia di giocare. Vuole rischiare, mettersi in gioco totalmente, al di fuori di ogni galateo di mondanità culturale. È forse proprio questo che manca al nostro scrivere letteratura oggi: la capacità di mettersi in pericolo. Una scrittura che possa produrre criticità: fare attrito col mondo.


Carla Benedetti, Manuele Gragnolati e Davide Luglio hanno curato il libro Petrolio 25 anni dopo, edito da Quodlibet

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