- Giorgia Meloni va al Museo ebraico di Roma ad abbracciare in lacrime la presidente della comunità ebraica Ruth Dureghello e a condannare le leggi razziali del fascismo come «una macchia indelebile e un'infamia che avvenne nel silenzio di troppi».
- Nel frattempo Pisa, la città in cui il 5 settembre 1938 le leggi razziali furono promulgate da Vittorio Emanuele III, offre alla patria la rabbia del consigliere comunale di Fratelli d'Italia Maurizio Nerini: «I conti col passato li ha già fatti ir mi' nonno, ma perché li devo fa' io?».
- Nel mondo della premier c'è un po' di confusione sul passato fascista. E a Pisa si trascina da anni una vicenda esemplare, culminata nei giorni scorsi nel grido di Nerini. Il centrodestra compatto difende la memoria del rettore fascista che perseguitò docenti e studenti ebrei.
Nella nuova nazione di Giorgia Meloni c’è qualche ambiguità sul fascismo. La presidente del Consiglio condanna le leggi razziali come «una macchia indelebile e un’infamia che avvenne nel silenzio di troppi». Nel frattempo Pisa, la città in cui il 5 settembre 1938 le leggi razziali furono promulgate da Vittorio Emanuele III, offre alla patria la rabbia del consigliere comunale di Fratelli d’Italia Maurizio Nerini: «I conti col passato li ha già fatti ir mi’ nonno, ma perché li devo fa’ io?».
Ai postfascisti non piace fare i conti con gli orrori del fascismo e i loro alleati di Lega e Forza Italia li soccorrono. In giro per l’Italia la nouvelle vague meloniana non convince i suoi, come dimostra l’esemplare vicenda di Pisa, dove da anni il centrodestra difende la memoria del rettore fascista che perseguitò docenti e studenti ebrei.
Una vergogna antica
Nel 2018, ottantesimo anniversario delle leggi razziali, il rettore dell’Università Paolo Mancarella ha riunito a Pisa tutti i rettori per dare vita alla “cerimonia delle scuse”: con 80 anni di ritardo, tutti gli atenei italiani hanno chiesto scusa a centinaia di docenti (20 solo a Pisa) e studenti espulsi dalle università perché ebrei. Il solenne momento è stato ostentatamente disertato dal sindaco leghista Michele Conti. Ma era solo l’inizio.
Qualcuno si è infatti accorto che a Pisa c’è una strada intitolata a Giovanni D’Achiardi, il “fascistissimo” rettore, nonché senatore e podestà, che nel 1938 aveva compilato la lista dei docenti di razza inferiore da cacciare.
A quel punto i tre ideatori della cerimonia delle scuse (il portavoce del rettore Davide Guadagni, il docente di storia contemporanea Michele Battini e l’ordinario di cardiologia Michele Emdin, nipote di uno dei 20 docenti ebrei cacciati) hanno proposto di cambiare nome alla strada e dedicarla a Raffaele Menasci, docente cacciato da D’Achiardi, poi morto ad Auschwitz.
La mozione, portata in consiglio comunale dal capogruppo del Pd Matteo Trapani, è stata bollata come «proposta radical chic, tendente a delegittimare gli avversari politici» e respinta dalla maggioranza di centro–destra il 16 novembre 2021. I tre rettori dell’Università, della Scuola Normale e della Scuola Sant’Anna hanno allora riproposto la questione al sindaco: non si può tenere una strada intitolata al persecutore degli ebrei. E i promotori della “cerimonia delle scuse“ hanno organizzato una raccolta di firme tra i cittadini pisani per riportare il caso al consiglio comunale.
Hanno consegnato le firme al sindaco il 5 settembre, il giorno in cui il re firmò le leggi razziali nella tenuta pisana di San Rossore, e ci sono voluti tre mesi per avere la proposta all’ordine del giorno. Il 6 dicembre scorso, dopo oltre due ore di dibattito, la proposta è stata nuovamente bocciata con 17 voti contrari e solo 7 favorevoli (molti gli assenti, compreso il sindaco). Il fatto politico è chiaro. Tra pochi mesi a Pisa si vota, Conti cerca la conferma e FdI, Forza Italia e Lega ritengono che la questione di via D’Achiardi sia orchestrata per metterli in difficoltà in vista delle elezioni.
È utile ripercorrere gli argomenti sfoderati dalla destra nel consiglio comunale per difendere la strada intitolata al rettore fascistissimo e dire no alla proposta che il cardiologo Emdin aveva così sintetizzato: «La memoria dei venti docenti italiani ebrei, degli studenti italiani ebrei espulsi, dei duecentonovanta studenti polacchi, lituani, ungheresi, boemi ebrei ricacciati verso i propri paesi intolleranti – e la Shoah in agguato – rende ammissibile che una via della città di Pisa gli sia ancora intitolata? Noi crediamo di no: monumenti e nomi di strade e di luoghi pubblici al tempo stesso ricordano e commemorano e, in questo caso, non si tratta di cancellare il ricordo di un capitolo della storia cittadina e nazionale. Si tratta esattamente del contrario: si tratta di non cancellare un capitolo della storia della persecuzione e di non celebrare chi ne fu partecipe e responsabile».
«Io voglio approfondire»
Il capogruppo di Forza Italia Riccardo Buscemi ha controproposto una commissione di studio: «Il ragionamento del professor Emdin mi trova d’accordissimo. Io però mi pongo una domanda. Come mai nel 1962 il commissario prefettizio, il viceprefetto Mario Cataldi arrivò a intitolare una strada a D’Achiardi? Io non voglio fare una difesa di D’Achiardi, senatore, podestà, è evidente che era fascista, ma mi piacerebbe poter approfondire, ci fu un disegno da parte dell’establishment per trovare attraverso la toponomastica una sorta di pacificazione?» L’oppositore Francesco Auletta (Una città in comune) sbotta: «Oggi come un anno fa si prova con un sotterfugio a non affrontare l’argomento. Io provo orrore».
Il capogruppo della Lega Paolo Cognetti argomenta la sua difesa di via D’Achiardi su due piani. Il primo: «La mia famiglia livornese aveva molti amici ebrei, ma la vicinanza con il popolo ebraico, di cui mi onoro di essere amico, non si ha solo fino al 1945 ma anche dopo, quando il popolo ebraico iniziò la sua vita errabonda a cercare una patria, la vicinanza al popolo ebraico non si può limitare alla condanna di un periodo storico passato». Il secondo: «Se vogliamo tenere questo tipo di atteggiamento, allora apriamo gli armadi e cominciamo a vedere quanti hanno firmato il funesto manifesto della razza.
Non dovrei applaudire a uomini del cinema che hanno avuto un passato repubblichino, non dovrei leggere Hugo Pratt perché era un repubblichino, non dovrei considerare il grande investigatore privato Tom Ponzi perché era un repubblichino, non dovrei ridere ai film di Walter Chiari perché era nella Decima Mas».
Parla Maria Punzo della Lega: «Sono molto vicina alla comunità ebraica, ho più volte incontrato il vostro ex ambasciatore, a Livorno l’ultima volta (si rivolge a Emdin come se l’ambasciatore d’Israele fosse “suo“, come se un pisano da molte generazioni, in quanto ebreo, fosse più israeliano che italiano, ndr). La zona dell’ambiguo non la si può tagliare in due con una linea retta, come diceva Primo Levi, questo vale anche per la vita di D’Achiardi. Oggi qui non siamo un tribunale.
Si prende della vita di un uomo un atto solo, senza contestualizzarlo e facendosi travolgere dalla cancel culture del momento. Non vorrei che a forza di cancellare la nostra memoria perdessimo noi stessi. Abbiamo imbrattato la statua di Montanelli, abbiamo abbattuto la statua di Cristoforo Colombo, una furia iconoclasta che alla fine non ci consegnerà la storia come è stata, ma come vogliamo vederla agli occhi di oggi».
Marcello Lazzeri (Lega): «Bisogna capire lo stato d’animo di D’Achiardi quando dovette, ahimè, soddisfare le richieste del ministero degli Esteri che gli chiedeva il famoso censimento. Io che sono un garantista, e non un violento liberticida, vorrei chiarimenti: molto probabilmente ha dovuto obbedire a ordini superiori. Ecco, io ritengo che non si debba passare a processi sommari di antica memoria» (D’Achiardi è morto nel 1944, ndr). Ancora Cognetti (Lega): «D’Achiardi probabilmente non dovrebbe avere una via intitolata, ma è avvenuto negli anni Sessanta quando il Partito comunista era il primo partito di Pisa ed era insieme alla Dc al governo dell’Italia».
«E allora via Lenin?»
Ecco Maurizio Nerini (FdI): «Confermo quanto dissi l’anno scorso, senza l’iniziativa di qualche radical chic nessuno avrebbe saputo niente (della via intitolata a D’Achiardi, ndr).
Nel 1962 il prefetto Cataldi prese una decisione ponderata, a dimostrazione di un fatto semplicissimo, che a vent’anni dalla guerra l’opera di pacificazione era a buon punto (non è chiaro se fosse pacificazione, ma Cataldi, mentre il comune era commissariato, intitolò strade anche al generale Orlando Lorenzini, «caduto gloriosamente combattendo alla testa delle sue truppe a Chereu, Africa Orientale Italiana il 17.3.1941» e al principe Amedeo Duca D’Aosta, «eroico difensore dell’Amba Alagi che tenne fino agli estremi limiti delle possibilità umane ottenendo dal nemico l’onore delle armi», ndr).
Rendiamoci conto che l’antifascismo militante fino al ’68 non esisteva, è stato sponsorizzato da quelli che inneggiavano ai carri armati che entravano a Budapest o a Pol Pot. Io lo ricordo! Io c’ero! Sono quelli che hanno intitolato strade ad assassini come Che Guevara a un passo dal nostro territorio. Piazza Ho Chi Minh! Via Lenin! Si cercava a quel tempo il mostro, il nemico inesistente, con una delegittimazione costante degli avversari politici, solo per portare avanti le loro folli tesi spesso eversive. I
conti col passato li ha già fatti ir mi’ nonno, ma perché li devo fa’ io?». Chiude Trapani (Pd): «Dovremmo vergognarci tutti delle cose che sono state dette».
Segue il voto: bocciata la proposta firmata dai cittadini, approvata quella di chiedere al sindaco di proporre a università, comunità ebraica e prefettura di nominare una commissione di storici che indaghi sui motivi che spinsero il commissario prefettizio nel 1962 a intitolare una strada al fascistissimo D’Achiardi. Per fare i conti con gli orrori del fascismo ci sarà tempo. Tanto ci ha già pensato il nonno.
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