L’artista ebreo ha deciso di mettere in atto una particolare forma di resistenza civile puntando il dito sul mondo. E le sue opere sono diventate la traslitterazione pittorica delle sue dolorose esperienze di prigionia
Così come Emanuel Ringelblum, lo storico polacco prigioniero del Ghetto di Varsavia, ha usato la testimonianza storica come forma di resistenza, Felix Nussbaum ha usato la pittura.
Perché parlare di questo pittore tedesco: la sua vita da una lato è paradigmatica per le esperienze che ha vissuto sotto il dominio nazista; dall’altro perché con particolare sensibilità umana e artistica ci rappresenta la persecuzione degli ebrei in un lunghissimo periodo di tempo.
Comprende fin da subito le intenzioni naziste, ma la sua denuncia non è legata a specifiche motivazioni politiche o ideologiche; è una protesta umanista, una resistenza morale, pre-politica e spontanea.
Preliminarmente per parlare nella maniera più consona di resistenza ebraica, è necessario mettere al centro della riflessione la considerazione che gli ebrei durante la Shoah hanno subito un attacco unico e straordinariamente violento nei loro confronti. I tedeschi, il nazionalsocialismo, volevano non solo uccidere gli ebrei, ma letteralmente strappare la pagina che riguardava quel popolo dal libro della vita del mondo.
Se teniamo quindi presente questa considerazione, come ci insegnano i più grandi storici sulla Shoah, da Bauer a Bensoussan, da Browning a Friedländer, sono da considerare come reazioni resistenziali tutte quelle azioni atte a mantenere viva una vita ebraica anche un secondo in più oppure far sopravvivere forme di cultura ebraica. Per questo mi sembra utile conoscere e riflettere sulla figura di Felix Nussbaum, che paragonerei ad Emanuel Ringelblum, lo storico polacco prigioniero del Ghetto di Varsavia che ha usato la testimonianza storica come forma di resistenza, Nussbaum ha usato la pittura.
Pittura di lotta
Felix Nussbaum fu un artista ebreo tedesco, che contrariamente alla sua grande fama in Europa, non è molto conosciuto in Italia, anche se è stato molto legato al nostro paese. Perché parlare di questo pittore tedesco: la sua vita da una lato è paradigmatica per le esperienze che ha vissuto sotto il dominio nazista; esilio, persecuzione, clandestinità, detenzione nei campi, deportazione e in ultimo la morte ad Auschwitz; dall’altro perché con particolare sensibilità umana e artistica ci rappresenta la persecuzione degli ebrei in un lunghissimo periodo di tempo. Egli decide di mettere in atto una particolare forma di resistenza civile, sceglie di usare l’arte per raccontare quello che lui e il suo popolo stavano vivendo in quella lugubre stagione. Lo fece puntando il dito sul mondo: egli comprese precocemente che tutto quello che stava accadendo non avveniva unicamente per causa diretta dei carnefici, ma anche perché vi era una massa di “indifferenti” che stavano guardando quello che accadeva restando passivi.
La sua arte diventa una forma di resistenza, lui manifesta la sua opposizione al nazifascismo attraverso la convinzione che la pittura può raccontare ai posteri quello che sta accadendo a lui e agli ebrei di tutt’Europa.
Nussbaum nasce a Osnabrück nella Bassa Sassonia l’11 dicembre 1904 da una famiglia della borghesia tedesca, e fin dalla tenera età, manifesta una forte attitudine all’arte. I suoi genitori hanno un’attività che consente loro un certo agio; non è un ebreo praticante, cosi come la sua famiglia, fondamentalmente laici e integrati nella società tedesca di inizio secolo. La loro laicità non deve essere intesa come un allontanamento dalla fede israelita, Felix per tutta la sua vita e carriera avrà ben presente il suo ebraismo. A 21 anni si trasferisce a Berlino dove, insieme alla futura moglie Felka Platek, studia pittura in particolare approfondisce gli artisti Vincent van Gogh e Henri Rousseau. Grazie a una borsa di studio, nel 1932 si sposta a Roma per studiare l’arte classica e i pittori contemporanei. Probabilmente neanche lui avrà mai pensato che quello sarebbe diventato il momento in cui avrebbe salutato per sempre il suo paese. Infatti l’anno successivo andrà al potere Hitler, l’inizio della persecuzione ebraica in Germania.
In Italia rimane per circa due anni, frequentando oltre che la capitale anche Alassio nella riviera ligure. Le conoscenze artistiche che apprenderà in Italia lo segneranno per sempre, le antichità e le opere De Chirico e Carrà lo influenzeranno molto. A Roma si installa a Villa Massimo, sede dell’Accademia tedesca delle belle arti, con lui ci saranno Arno Breker, il futuro artista di corte di Hitler e Hanns Hubertus Graf von Merveldt, altro artista dichiaratamente antisemita. Con quest’ultimo Nussbaum arriverà alle mani, ed entrambi saranno cacciati dalla villa, Nussbaum non potrà farci più ritorno. Dall’Italia si sposta, prima a Parigi e poi a Ostenda in Belgio. Tra il 1934 e il 1937, lui e la moglie cambiano più volte città, anche a causa di un irrigidimento delle politiche sugli stranieri dello stato belga; solo dopo il suo matrimonio con Felka Platek, avvenuto il 6 ottobre 1937 vanno a vivere in Rue Archimède 22 a Bruxelles.
Protesta umanista
Comprende fin da subito le intenzioni naziste, ma la sua denuncia non è legata a specifiche motivazioni politiche o ideologiche; è una protesta umanista, come l’ha definita Guido Quazza, storico e partigiano, una resistenza morale, pre-politica e spontanea, legata alla naturale avversione nei confronti del pensiero totalitario. Già nel 1933, al momento della ascesa di Hitler, usa l’arte pittorica come forma di interpretazione del periodo storico in corso, di comunicazione verso l’esterno e per manifestare le sue paure e il suo dissenso nei confronti del nazionalsocialismo.
La prima opera ove manifesta questa deriva antiebraica è del 1935 all’indomani delle leggi di Norimberga. L’opera Panchina al Cimitero, in cui l’artista rappresenta il padre, seduto in lutto nelle vicinanze di un cimitero, nella sua condizione di reduce della Prima guerra mondiale e patriota tedesco, che deve subire l’onta di essere escluso dalla sua associazione di reduci tedeschi in quanto ebreo. Si avvicina verso un’arte propriamente politica solo nel 1938 quando, grazie all’amicizia con lo scultore Dolf Ledel, che sarà colui che lo proteggerà anche durante la clandestinità, entra in contatto con un circolo socialista, il Club 38, che lo avvicina all’uso politico dell’arte come forma di denuncia. Ma non vuole essere omologato politicamente, considera l’arte come forma d’espressione e di comunicazione d’idee, non come arma ideologica; per Nussbaum l’arte non può essere copiata, a essa bisogna ispirarsi per poi saperla interpretare attraverso il proprio estro, con la sensibilità del singolo.
Intanto il pogrom della Notte dei cristalli, antisemitismo e i venti di guerra spazzano l’Europa, il pittore errante comprende la situazione e la rappresenta su tela: Don Chisciotte e i Mulini a Vento e Le Perle, sono opere influenzate dall’arte di Picasso che riflettono sul dramma della guerra. È un messaggio pacifista, soprattutto contro i fascismi che usavano e consideravano le madri come produttrici di guerrieri e soldati per la guerra, per morire attraverso una fine pseudo eroica.
Nussbaum subisce la sua situazione d’isolamento e precarietà, sia umana che economica, intellettuale e politica; gli accadimenti in Germania, le ripercussioni che essi hanno al di fuori dello stato tedesco, colpiscono direttamente e indirettamente il pittore. Questo influisce sulla pittura, che in un primo tempo non si manifesta con opere direttamente concernenti le politiche antisemite naziste, ma più su quello che provocano intimamente. L’opera che fa emergere questa presa di coscienza è Il rifugiato: in quest’opera Nussbaum riprende l’immagine di un altro suo quadro dell’ebreo errante, non solo descrivendo la situazione sociale e personale degli ebrei costretti a un totale isolamento, ma lanciando anche un messaggio politico di denuncia di quello che stava accadendo, e lo fa mettendo al centro il mappamondo, simbolo delle nazioni che restano immobili di fronte al dramma ebraico. Altre opere che dimostrano questa sua riflessione sull’evoluzione della situazione bellica e della condizione degli ebrei sono due schizzi intitolati Bombardamento I e II e Il segreto o Autoritratto con Marianne.
Altro evento che sconvolge la vita di Nussbaum è la prigionia presso il campo di Saint Cyprien in Francia, detenzione che avviene dopo l’arresto in Belgio quando questo stato era stato invaso della Germania e lui considerato come “straniero ostile”. Le condizioni di vita sono talmente terribili (il campo viene chiuso dopo pochi mesi a causa di un’emergenza sanitaria) che Nussbaum firma per ritornare in Germania, ma riesce a fuggire nel tragitto di ritorno. Nei periodi successivi al suo ritorno a Brussels esegue numerose opere su quella sua esperienza. Opere che registrano le terribili esperienze del campo, i trattamenti inumani, il cibo cattivo, l’assenza di acqua potabile, le malattie, la mancanza di cure mediche e la brutalità delle guardie francesi. Queste immagini ci testimoniano quale sia il trauma che un uomo “normale” vive all’ingresso di un campo di internamento, creando una frattura permanente tra il prima e dopo il campo. Ne crea diversi, con vari soggetti, usiamo il suo Autoritratto nel campo di Saint Cyprien per descrivere questo passaggio della persecuzione nazista nei confronti di Nussbaum.
In queste opere il simbolismo cede, non integralmente, il passo al verismo della vita del campo e al suo dolore. Attraverso la sua arte, Nussbaum riesce a coniugare la storia della Shoah (specialmente di quella del Belgio) con le emozioni (dolorose) vissute da lui e da tutti gli ebrei. In questo senso è un autore molto prolifico e “didattico” perché usa queste immagini, simboliste, per spiegare quello che stava avvenendo agli ebrei. Dopo il periodo d’internamento, nei successivi anni è costretto a nascondersi sempre più, facendo una vita clandestina, nascondendosi per un paio di anni tra il ’42 e il ’43 dal suo amico Dolf Ledel, ma quando anche lui capisce che la presenza della coppia di ebrei e troppo rischiosa è costretto ad andare via. Nell’ultimo periodo della sua vita ha dato espressione alla disperazione degli ebrei sotto minaccia di morte. Dal 1942 ha coscienza che non avrebbe potuto salvarsi, ma non si arrende alla disperazione, in lui non si è fermata la “resistenza” artistica di rappresentare il vero.
Questo si manifesta nelle sue ultime opere, tra le tante più nel particolare Autoritratto con carta d’identità e Trionfo della Morte, in queste due tele sono condensate le emozioni finali dell’artista che vede avvicinarsi la sua fine. Vi è la sintesi di un serie di significati importati che identificano la situazione degli ebrei in quegli anni, l’isolamento, la paura per il fine incerto, la fine del loro mondo e cultura, la perdita di sicurezza, la perdita di ogni punto di riferimento. Ma questa consapevolezza è per Nussbaum una forma estrema di resistenza, di non cedere alla disperazione, al lasciarsi andare ma di voler portare avanti la propria esistenza in quella situazione estrema e di mantenere una traccia di tutto ciò che stava accadendo. Per fare ciò attinge a tutta la sua conoscenza, pittorica, con tantissimi riferimenti ai pittori passati e contemporanei, alla letteratura, alla mitologia, alla poesia, a tutto quello che possa essere utile a mantenere una consapevolezza. Solo nell’ultima sua opera, Trionfo della Morte, non troviamo neanche un minimo segnale di speranza, anche nell’Autoritratto con carta d’identità troviamo un piccolo, fragile, segnale di un speranza di una vita che può ancora continuare e andare avanti, che è rappresentato dal piccolo albero con i fiori.
Il pittore e la moglie sono arrestati a causa di una delazione nella notte del 20 giugno 1944, furono deportati ad Auschwitz con l’ultimo convoglio partito dal Belgio il 31 luglio, la data di morte nel campo tedesco è incerta.
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