Tra il marzo 1978 e il dicembre 1980 la fotografa Marialba Russo ritrae una sessantina di manifesti di film porno esposti nelle strade di Napoli, incollati ai muri o alle edicole di metallo che spesso lascia ai margini dell’immagine.

Usa la pellicola in bianco e nero con la quale ha già documentato manifestazioni femministe, devozioni popolari nella sua Campania, e tutta la serie dei “travestimenti” - sui femminielli e l’inversione carnevalesca dei generi – che sarà una delle sue più note e ammirate. Usa più spesso la pellicola a colori per restituire la folle girandola di cosce, seni, culi iperrealisti king-size inguainati da slip e autoreggenti disegnati dai nostri migliori illustratori di cinema. «Scattavo fugacemente, a distanza di sicurezza - ricorderà anni dopo - A volte sbucando dal tettuccio aperto della mia auto, fingendo di stare riprendendo altro. Perché poteva sembrare strano che una giovane donna volesse immortalare quei poster scabrosi».

Sesso pubblico

Esposta per la prima volta dopo quarant’anni al Pecci di Prato, la serie Cult Fiction viene ora pubblicata in volume dalle edizioni Not con il titolo Public Sex, la prefazione della curatrice Cristiana Perrella, i saggi di Goffredo Fofi e Elisa Cuter. Marialba Russo aveva fotografato nelle strade di Napoli spingendosi fino ad Aversa - come testimoniano i cartigli gialli dei cinema Metropolitan e Cimarosa attaccati ai poster. Senza aggiungere né togliere nulla. Allargando appena l’inquadratura: un muro sbrecciato, l’effetto pop alla Mimmo Rotella, un grottesco cazzetto stilizzato aggiunto a penna accanto alla bocca aperta dell’attrice del film A bocca aperta.

Oggi, a chi le chiede di ricordare il senso di quella curiosa via crucis la fotografa spiega che negli anni del femminismo «il disegno di quei corpi femminili sottomessi, incatenati, ritratti in posizioni esplicite e offerti a chi li guarda come carne da consumare» aveva avuto su di lei l’effetto di una scossa elettrica. Ispirava “fastidio”. Ma, aggiunge la storica del cinema Elisa Cuter, il senso della serie non si limita alla indignazione. Neppure alla documentazione pura e semplice. Oggi i poster di quell’ultima fase del cinema italiano si scambiano elegantemente su ebay, spesso i bozzetti si trovano in mostra nelle gallerie.

Nelle fotografie di Marialba Russo, che arriva da una formazione etnografica ma è in cerca di un suo sguardo non realista, Alberto Moravia vede delle “epifanie”. Al passaggio tra gli anni Settanta e gli Ottanta il “rituale maschile” del porno ancora ha piena cittadinanza nello spazio pubblico.

Di lì a poco le sale a luci rosse saranno l’ultima destinazione d’uso per innumerevoli pidocchetti di periferia, al riparo dagli sguardi degli estranei, spesso senza troppe immagini visibili. Il disvelamento della serialità del meccanismo rende inevitabilmente imbarazzante e comica l’intera messainscena. L’effetto cumulativo funziona sempre. Malizia erotica, Adolescenza morbosa, Sexual Student, Le porno infermiere, Sexy Hotel servizio in camera, I porno desideri di una studentessa, Porno squillo shop. Probabile anche che la città ci metta del suo, nel bene e nel male: a Napoli Pasolini aveva ambientato il Decameron che è stato uno dei modelli alti del nostro cinema erotico.

Nel 1974, ricorda Goffredo Fofi, in un pezzo celebre uscito sul Corriere della Sera, il poeta vorrebbe abiurare alla Trilogia della vita sentendosi strumentalizzato (ma non pentito). Resta tuttavia qualcosa di etnografico, di meridionale, in queste foto. In generale, in quei primi anni Ottanta l’industria del cinema italiano vive la sua crisi definitiva: la televisione cannibalizza le commedie sexy di Edwidge Fenech, Gloria Guida, Lino Banfi (“porca puttena”), e i magazzini dei film di genere. Nelle grandi sale rimaste aperte arrivano i filmoni della nuova Hollywood.

Sguardo maschile

Lo sguardo del porno – maschile, singolare – colto dall’aggressività di queste immagini è di per sé totalizzante. Mortale. Perché cannibalizza titoli e attrici in un blob informe di «tagli, inserti, crossover» - aggiunge Cuter - «a seconda dei secondi che si riuscivano a strappare alla censura». Come si sa, i film a luci rosse di allora hanno molte versioni, per le scene hard che sono tolte o aggiunte da produttori, registi, distributori, spesso all’insaputa gli uni degli altri e dopo aver avuto il visto di censura.

Nel porno di oggi, quello libero in rete, sono rimaste per l’appunto quasi soltanto le “scene”. Eppure titoli davvero fantasiosi come il messicano Eviration, bramosia dei sensi o Incontri ravvicinati del quarto tipo di Mario Gariazzo – casualmente documentati da queste foto - nascondono dei grandi stracult pienamente riconosciuti soltanto nei decenni successivi della critica post-tarantiniana.

Lo stesso poster di A bocca aperta con la ragazza che cavalca un enorme phon rosso, scelto per la copertina di questo volume, cela l’ugualmente capolavoro della golden age porno americana The opening of Misty Beethoven, una riscrittura hard di Pigmalione ad alto budget, battute sofisticate e echi warholiani (chi non ne sa nulla lo trova facilmente su xHamster). Tutte cose che ai distributori di cinema porno dell’epoca non sembravano interessare particolarmente. E agli spettatori? Difficile a dirsi.

Vitalità perversa

Attraverso queste foto possiamo osservare la “vitalità perversa” – scrive Fofi – della cultura popolare italiana di quegli anni. E la disperazione futura, «la sconfinata tristezza sul genere umano». Collezionare i poster di allora, come fa Marialba Russo con la sua macchina fotografica sporgendosi per timidezza dal tetto apribile della sua Due Cavalli, equivale a infilarsi in un labrinto di specchi. Perchè secondo l’uso del tempo i poster erano disegnati da illustratori che interpretavano poche indicazioni verbali del produttore, meno spesso immagini di scena.

Non è sempre facile associare nomi e opere: Enzo Sciotti, specializzato in infermiere e insegnanti, è scomparso da poco; Renato Casaro, che ha lavorato per Leone e Tarantino, è in mostra a Treviso in questi giorni. Inoltre i film porno di quel passaggio d’epoca erano dei Frankenstein di tagli e frammenti, spesso molto deludenti rispetto alle attese (figurarsi con gli standard di oggi). Tuttavia le fantasie di dominazione (e di dominio) lasciavano circolare liberamente nella pubblica piazza i desideri di una generazione di maschi cis/incel o decisamente fascisti.

Desideri che forse abitavano come fantasmi tutti gli altri maschi, pure quelli sgamati e di sinistra, che mai e poi mai sarebbero entrati in un cinema a luci rosse. Anni di infermiere, studentesse, insegnanti, allenatrici. E zie, nipotine, sposine. Emmanuelle nere, Helghe, Justine, tutto il repertorio dell’esotico da Pigalle a Bora Bora. Tutto pur di ribadire il teatro dell’identico, l’inamovibilità dei ruoli e dei generi.

«Quelle immagini – rilancia Elisa Cuter – interrogano la donna che le fotografa, costretta a chiedersi: quella donna sono (anche) io?». Sappiamo, in quegli anni, di alcune azioni di collettivi femministi contro i cinema porno, volantinaggi e interruzione delle proiezioni.

Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1979 le «compagne organizzate per il contropotere femminista» sistemano alcuni ordigni incendiari in alcuni cinema hard di Roma: l’Ambasciatori, il Majestic, il Jolly e il Blue Moon. Danneggiano pesantamente i primi due. Salve le altre sale, gli inneschi non funzionano. Dibattito nel movimento: la violenza è una pratica femminista? Nel 1981 esce Deep Inside Ann Sprinkle, uno degli atti di nascita del cosiddetto “porno femminista”. Sprinkle, unica protagonista, racconta sguardo in camera le sue avventure erotiche, e le mette in scena. Firma anche la regia. Sarà il primo incasso nel cinema porno Usa della stagione.


Foto: Marialba Russo, Cult Fiction (della serie), 1978-80, via Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci Prato 

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