Ciclicamente, tutto ritorna. È tornato (brevemente) il Winner Taco, è tornata la pasta alla vodka, è tornato il gelato al puffo. Forse un giorno tornerà in piena forza anche la formula happy hour a buffet, con i vasconi in bilico sui banconi del bar, colmi di pasta fredda, insalata di farro, focacce, tramezzini.

Forse, perché per ora non se n’è andata del tutto e quindi non può fare il suo rientro trionfale: quello che si nota, però, è che la passione sfrenata per l’all you can eat è andata scemando e alcuni locali hanno cambiato approccio. A Milano – che quando si tratta di aperitivo ci tiene ad avere la prima parola – aprono sempre più wine bar, che propongono di abbinare al vino (possibilmente naturale) qualche piattino selezionato. Tra cui, a proposito di grandi ritorni, l’insalata russa: «L’ho trovata negli ultimi cinque posti che ho provato», nota Valeria Carbone, consulente in ambito Food&drink, social media manager e autrice di Aperitivi urbani (Mondadori Electa), dal nome della sua pagina Instagram.

Da Roma (antica) a Milano

Il rito in sé è ancora molto apprezzato: dal novembre 2022 al novembre 2023 sono stati serviti 850 milioni di aperitivi, secondo un’analisi di mercato condotta da TradeLab, per un totale di 4,54 miliardi di euro. Per il terzo World Aperitivo Day (che cade il 26 maggio) è stata condivisa dagli organizzatori dell’Aperitivo Festival una ricerca di CGA by NIQ per cui il 43 per cento dei consumatori segue questa tradizione almeno una volta a settimana.

Federico Gordini, editor di MWW Media e host della manifestazione, sul sito del festival ne ricostruisce la storia: già gli antichi romani avrebbero avuto l’abitudine di anticipare i banchetti con del vino (o anche dei proto-cocktail) e delle piccole porzioni di cibo. In età contemporanea, prosegue Gordini, si distinguono invece la consuetudine piemontese della merenda sinoira, un pasto tipicamente freddo composto da formaggi, salumi, frittate, salse che si consuma tra le cinque e le sei del pomeriggio, e quella veneziana dell’ombra e dei cichéti: ossia il bicchiere di vino e qualche spuntino, come crostini di pane, baccalà, sarde in saor, polentine, tutto da consumare nei bacari, le osterie tipiche.

E poi, c’è la Milano da bere, ed è lì che negli anni Novanta Vinicio Valdo comincia a offrire del cibo a buffet insieme alle bevande: «Vedevo che alla fine del lavoro gli operai della Gusti (una fabbrica) venivano a bersi il Cinzanino o il Campari: più gli davo da stuzzicare e più bevevano», raccontò a Zero.eu anni fa. Quell’intuizione ha avuto un’eco impressionante: sempre più locali hanno aderito alla formula, e l’apericena è diventato realtà.

Mangiare più sano

«Mi sono approcciata a Milano da studentessa universitaria, quando l’happy hour era un’icona. Uscivi la sera, trovavi vasche di cibo e ne fruivi senza pietà», ricorda Valeria Carbone. Da quando ha aperto il suo profilo @aperitiviurbani sette anni fa, il panorama cittadino è un po’ cambiato. Un fattore significativo è stato la pandemia: non solo perché alcuni locali non hanno effettivamente retto alle chiusure e alla diminuzione della clientela, ma anche perché nei buffet era impossibile rispettare le norme igieniche a prevenzione del Covid 19. Via libera invece ai sacchetti singoli di patatine, alle monoporzioni. E alcuni dei bar non sono più tornati indietro.

«Negli hotel ormai quasi ovunque è stato ripristinato il buffet, quindi oggi non è più tanto un discorso di cosa sia più igienico o meno», osserva Carbone. Rispetto a prima, c’è una maggiore educazione alimentare e alcolica: «I giovani bevono in maniera diversa, ci sono tutti i trend low-alcol, alcol-free. Magari non corrispondono poi alla realtà, sui Navigli si vedono tanti ragazzi bere comunque, ma sicuramente c’è una cultura maggiore del cibo, maggiore attenzione alla stagionalità». Di suo Carbone ha un target dai 25 ai 45 anni, con una disponibilità economica tendenzialmente maggiore rispetto a quella di uno studente: «Ho smesso di parlare di all you can eat da un paio di anni, perché sto portando avanti una narrazione del mangiare meno e mangiare meglio, bere meno e bere meglio».

Millennial e Gen Z

L’ha notato anche l’Osservatorio Vini, elaborando i dati Istat sui consumi del 2023: i «bevitori» che sono aumentati in misura maggiore sono gli over 65, che sono cresciuti del 112 per cento in 15 anni, cinque volte di più rispetto ai minori di 24 anni. La popolazione è certamente invecchiata, e anche tra i millennial, che hanno tanto usufruito del buffet negli anni passati, c’è più attenzione verso cosa si consuma: «Il metabolismo non è più lo stesso, non riesco a mangiare pollo al curry e salame insieme», dice Alessandro, 30 anni. «Poi c’è anche una sorta di stigma sociale, ci sono alcuni posti dove si va proprio a discapito della qualità, e nelle frequentazioni tra colleghi non si scelgono». «Nel momento in cui per me è venuta meno l’esigenza di risparmiare, preferisco bere solo una cosa come aperitivo, senza riempirmi, e poi dopo andare a cena», dice Gabriele, 31 anni.

Il pub Akkademia, in zona De Angeli, è stato uno dei locali che non ha ripreso la formula a buffet anche finite le restrizioni della pandemia. Con un prezzo fisso si riceve un tagliere al tavolo con gnocco fritto, salumi e altri spuntini: «Abbiamo realizzato che alcuni clienti preferiscono comunque bere una birra con solo un paio di pop corn. Prima non era possibile, l’happy hour era obbligatorio per tutti i consumatori perché non c’era modo di controllare chi veniva al bancone. Così, è facoltativo». E gli sprechi di cibo sono diminuiti. «Dire che il buffet è del tutto scomparso è una visione elitaria e classista», puntualizza Carbone.

Sui Navigli, o di nuovo su Corso Sempione, per dirne un paio, si ritrovano ancora i cartelli che pubblicizzano le formule all you can eat a 15 o 18 euro. Su TikTok, alcuni profili selezionano i 5 migliori buffet di Milano e cosí via. In una città in cui il costo della vita e delle uscite è sempre più alto, non è una possibilità da sottovalutare, ma «spesso i ventenni per ammortizzare il costo scelgono comunque altre tipologie. L’aperitivo in panetteria, o la birra al chioschetto», osserva Carbone.

«Gli studenti di oggi in media sono più consapevoli sul tema ambientale, e questa cosa a mio avviso fa sì che mangino con criteri diversi». Gloria, 25 anni, quando può propone comunque l’apericena («Paghiamo dieci euro, e possiamo mangiare quanto vogliamo. Minimizzi lo sforzo e massimizzi il risultato»), ma riconosce che, dal suo punto di vista, siano diminuiti i posti che lo offrono, e che nel suo giro di amici si preferisca comunque un aperitivo più leggero e cenare dopo.

Tra posti sinceri e wine bar

Il panorama milanese si plasma attorno a queste richieste. Meno vaschette di crocchette, e più attenzione alla stagionalità, alle etichette Dop: «Dieci anni fa, il tagliere di salumi e formaggi era un tagliere di salumi e formaggi. Ora sai il nome di tutti i prodotti», spiega Carbone. Che ha notato un aumento della verticalità dei locali: sono sempre di più dedicati interamente a un solo prodotto. Ginerie, rumerie, enoteche.

Parlando delle loro preferenze, Gabriele e Alessandro puntano sui «posti sinceri». Ossia quei bar dall’aria demodé, che hanno un’offerta più semplice, e sembrano rimasti sospesi nel tempo. La narrazione è quella della nostalgia, che è sempre legata al nostro concetto di cibo: ritrovare il comfort food dell’infanzia, rivivere un’epoca felice, boccone dopo boccone, quando il menu di una pizzeria rivela il profiterole tra i dessert. O addirittura, ripercorrere qualcosa che non conosciamo. Siamo immersi nella kaukokaipuu, il termine finlandese per la mancanza di un luogo che non si ha mai visitato. Tra i tanti wine bar che stanno aprendo, che offrono piattini di solito a partire dai cinque euro fino ai 15/20, si possono ordinare anche pietanze che arrivano dal passato, o «fatte come una volta». «Su un menu una volta ho visto la Simmenthal», ricorda Carbone.

I locali dell’aperitivo a buffet, per Gabriele e Alessandro, non sono ancora abbastanza «sinceri» per ritornare sulla cresta dell’onda nell’immediato: «Non hanno fatto il giro, devono essere vetusti». Carbone si diverte a immaginare un futuro più gourmet per l’apericena: «Sarebbe sfidante se venisse reintrodotto con dei prodotti di un certo tipo, servito in certo modo. Rimane però ovviamente il discorso dei costi». Che poi, per lei e per gli altri, l’aperitivo deve rimanere comunque un momento felice con le persone più care, accompagnato anche solo da un piattino di olive e patatine: «E magari un’insalata russa».

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