VOLA. VOLA. VOLA.

Vola. Adesso. Basta fingere quel rasoterra.

Vola. Vola. Vola.

Sei più immenso dell’angusto

abitacolo del corpo. Non fingere più.

Sorgi. Ora. Rimandi sempre.

Prendi tutto lo spazio. Brucia tutto

il tempo. Sorvola le cime del mondo.

Alloggia nel tuo cuore

le fate. Le orchesse. Le creature incantate

Sono tutte qui. A te circondate.

Mariangela Gualtieri

Paesaggio con fratello rotto


Aveva un grosso e lurido zaino sulle spalle ma era bellissima. Igor l’aveva vista davanti alla stazione. Lui stava slucchettando la bicicletta, aveva alzato la testa, l’aveva vista e il respiro gli si era bloccato: ma chi sei?? Voleva sposarla, voleva baciarla, voleva aiutarla a portare quello zaino che sembrava pesante oltre che sporco. Ma lei pedalava veloce e non sembrava affaticata.

L’aveva finalmente affiancata al semaforo, prima che lei tagliasse i viali per entrare nel giardino della Fortezza da Basso. Lei si era voltata e aveva gli occhi marroni grandi come due noci. Grandi, enormi, rotondi. Un fumetto giapponese. Coi i codini di capelli intrecciati e un tatuaggio sul collo, una scritta. Riusciva a leggere solo qualche lettera, ult, il resto si inabissava dentro la sciarpa.

Sono Igor, aveva detto, lo sai che lì fanno il gelato più buono di Firenze? Lei si era votata verso dove lui stava indicando, alle loro spalle. Manco per il cazzo, aveva risposto lei, e aveva ripreso a pedalare verso il giardino. Lui l’aveva seguita ancora. Lei aveva legato la bicicletta. Ho perso le chiavi, aveva detto Igor, posso legarla con la tua? Sei scemo? Sì, scusa, ho detto un’altra cazzata. Ma chi sei, come ti chiami? Lei aveva poggiato lo zaino a terra e aveva mandato un messaggio, digitandolo sul telefonino che teneva al collo, attaccato a una grossa catena di metallo.

Ti posso aiutare a portare lo zaino, mi sembra pesante. Lei lo aveva guardato e aveva continuato a digitare sul telefono. Poi aveva alzato la testa e lo aveva guardato negli occhi a lungo, facendolo quasi svenire. Sto per fare una cosa, dice lei. La vuoi fare con me? Voglio fare tutto quello che vuoi con te: vuoi sposarmi? Cretino, dice lei, ma sorride e hai denti più belli che siano mai stati visti in tutta la città. Sono Maddalena, e gli porge una mano piccola, con tre anelli d’argento al pollice. Indossa un paio di jeans e delle sneakers nere, e un giubbotto.

Mi vergogno, dice lei. Di cosa? Di chiederti quello che vorrei chiederti. Vuoi che chiuda gli occhi, dice lui. Voltati, te lo dico mentre sei di spalle. E Igor si volta, e sente il suo fiato caldo che le sussurra nell’orecchio. Travolto dall’emozione si mette le mani sugli occhi. Vabbè, non importa dice lei, se fai così non importa. Lui si volta ed è rosso come la cover del telefonino di lei. Ha la bocca aperta per l’enormità di quello che lei non sta capendo e allora si butta in ginocchio, le prende la mano e grida: sì! Non gridare fa lei che ci guardano tutti e non ride.

Lo so che non mi crederai mai, ma ogni volta che passo di qui penso che lo voglio fare e che non troverò mai nessuno che lo faccia con me. Smettila, dice lei ma un po’ si è già addolcita. Facciamolo: ora subito! Dammi sto cazzo di zaino che pesa una tonnellata e saliamo su quella cazzo di ruota. Lei ride, si china sulle due biciclette e le allucchetta insieme, come una promessa d’amore. Lui si carica lo zaino sulle spalle e insieme si avviano verso la ruota panoramica con le pubblicità.

Camminano in silenzio, lui pensa che costerà un botto e speriamo che c’abbiano il pos, lei pensa un’altra cosa che non si può dire. Non che sia sconcia, ma se la diciamo adesso poi tu lettore non ci vieni sulla ruota insieme a noi, che oggettivamente è una cosa molto scema da fare. Ma le cose sceme a volte sono divertenti e nascondono anche dei segreti, e comunque vale sempre la pena dire sì se una ragazza con quei denti e quegli occhi ti fa una proposta. Quando saremo lassù in cima e vedremo tutta la città sotto di noi, limoneremo come dei selvaggi, pensa Igor, e ce lo ricorderemo fino alla morte.

Lo racconteremo ai nostri figli il giorno di Natale quando ci chiederanno come ci siamo conosciuti. Abbiamo limonato sulla ruota panoramica, spiegheremo loro quando la ruota non ci sarà più, e forse non ci sarà più neanche Firenze, portata via un’altra volta dall’acqua e questa volta per sempre. Dove vivremo, mia dolce Maddalena, con tutti i nostri figli e poi i nipoti e parecchi animali da compagnia? Potremmo comprare una casa in cima a un colle, o in Tanzania come dice Paolo Giordano.

L’hai letto Tasmania, le chiede Igor proseguendo ad alta voce la conversazione che si svolgeva nel suo cervello. Maddalena si blocca, si volta verso di lui, china la testa da un lato e aggrotta la fronte. È un romanzo che… l’ho letto dice lei interrompendolo, ti pesa quello zaino? Figurati, dice lui, facendolo sobbalzare sulle spalle. Fa un rumore di ferraglia, o forse di bottiglie piene. Attento, dice lei, ti sei portata le scorte da bere se si blocca la ruota lassù in cima, dice lui? Lei ride e tutti e due alzano il naso verso il cielo.

La ruota gira, i sedili sono quasi tutti occupati. È una  calda domenica di dicembre, la città è presa d’assalto dai turisti rimasti fermi al palo per colpa del Covid. Si sono di nuovo precipitati qui, appena è stato possibile, senza modificare affatto i loro comportamenti. L’unica cosa che è cambiata è la ruota. La ruota è l’unico avvenimento in città dai tempi del clubbing, dei Diaframma e dei Magazzini Criminali: quasi cinquant’anni e sembra che dopo le feste la smonteranno. Ma Firenze è così, dice Igor, tutto un Rinascimento e un Botticelli e guai a spostare un mattone. Dipende dove li sposti, dice Maddalena che a quel discorso si è fatta un po’ cupa. Igor quindi prontamente cambia tutto: cosa studi, chiede? Sono iscritta al secondo anno di scienze biologiche, tu? Legge, primo anno. Sei una secchiona? Sì, dice lei, tu? Sì, anche io, dice Igor ma non è tanto vero.

Era partito bene, ma si è già un po’ ammosciato. Dà la colpa a questa città, che fa passare la voglia di vivere, ma è lui che ha vent’anni e già non ha più voglia di far niente. Tranne rimanere sdraiato su un letto a inventare unicorni.

Se anche ci volessero dieci anni, pensa, dieci anni di niente, di stare sdraiato a letto, giocare, guardare video su YouTube, ne sarebbe valsa la pena, no? Col mio unicorno potrei campare per sempre felice in un’isola dei mari del sud, e regalare ai miei genitori una vecchiaia serena. Ma sogni unicorni… dice lei. Come lo sai? È il sogno di tutti, risponde Maddalena. Anche il tuo? No, il mio no. Qual è il tuo? Sono in fila di fronte alla cassa della ruota.

Dietro a una coppia di americani di mezza età, un ragazzo con lunghe basette e una barba rada, una famiglia di indiani con un numero imprecisato di figli e una compostissima giapponese che legge un piccolo libro di viaggi. Maddalena rapida compra due biglietti e gliene porge uno. È stata una mia idea, gli dice sorridendo. Allora ti offro una cena, dice lui. Vediamo. Non soffri mica di vertigini? Ma va, dice Igor inghiottendo una palla di saliva. Poi si siede accanto a lei sul sedile doppio della giostra, annusa quell’odore misto di cannabis e patchouli che hanno i suoi codini, e gli passa tutta la paura.

Si volta e il suo naso è vicinissimo al collo di lei, dalla sciarpa che si è scostata un po’ è apparsa un’altra lettera del tatuaggio: ultim, si legge adesso. E lui vorrebbe passarci un dito sopra, come un bambino che compulsasse il quaderno dei compiti per imparare, con avidità, ma la ruota riparte, scuotendoli. Mentre salgono comincia ad apparire davvero la città.

Potrei dirti dei monumenti e delle piazze, delle chiese e dei giardini, come se i miei fossero gli occhi di Igor che, nonostante i vent’anni, si incanta. Ma se lo facessi, come lui mi distrarrei da quello che sta accadendo dentro la cabina della giostra, e nell’altra, quella successiva alla loro, sulla quale è salito il giovane con le basette lunghe e la barba rada. Un gran frugare, ormai sfrenato tanto nessuno può accorgersi di quello che sta accadendo, sono lontani dalla vista di chiunque tranne la mia e la tua, lettore, se non ci lasciamo appunto distrarre dalla bellezza della città.

Arriva persino un messaggio sul telefono di Maddalena, un vocale che lei ascolta in viva voce senza smettere di frugare. «Tutto bene? Chi è quel tipo con la faccia da scemo che sta con te? Cerchiamo di non fare cazzate. Clara è pronta, se guardi verso il gelataio la vedi. Ho ricontato: non è dieci è undici». In quel momento la giostra, in cima al mondo e alla città, si ferma. Uno… Maddalena da un’occhiata verso la cabina dove sta l’altra ragazzo e fa un cenno d’assenso. Due, tre…Tira fuori dallo zaino due enormi barattoli di vernice e contando ad alta voce ne porge uno a Igor perché lo apra. Tre, quattro…Igor stordito dalla bellezza della città, di Maddalena e anche un po’ dall’aria leggera di lassù, fa quello che fa lei, senza paura. Sette, otto…Apre il suo barattolo che contiene una vernice arancione scintillante. Nove.

Maddalena si sfila la sciarpa perché la impiccia nei movimenti e Igor legge sul suo collo ultima generazione. Dieci, dice lei ad alta voce e gli fa segno di alzarsi in piedi, le gambe allargate per tenere l’equilibrio. Il cuore di Igor si fa piccolo come quello di un gatto ma anche baldanzoso, eccitato. Batte come non batteva da quando si era scritto a Legge, batte più di quando nel suo infinito tempo vuoto progetta start up che non somigliano neanche lontanamente a unicorni, batte con la gioia di chi ha un altro sogno, finalmente fanciullo, vero, un sogno che è davvero un sogno. Ecco il mio sogno, urla Maddalena. Undici!

E mentre la giostra riparte col solito scossone, rovescia, reggendo il barattolo con due mani, la vernice verde mela. Che scivola giù, lungo i raggi della ruota e un attimo dopo il ragazzo con la barba rada e le basette lunghe rovescia un barattolo di vernice gialla e uno di vernice blu e subito dopo anche Igor gira il suo, arancione. E in quel momento, la ruota panoramica della città di Firenze diventa un arcobaleno che gira, spargendo i colori dappertutto, facendoli volare contro il cielo e poi sulla testa dei turisti che dondolano nelle altre cabine. E tutti gridano, si alzano in piedi, allungano le mano per coprirsi ma anche per raccogliere quella strana manna colorata. E tirano fuori i telefonini e iniziano a scattare, anche da terra, mentre la vernice continua a volare, come se girando la ruota producesse un vento che la solleva e la sparge. E quel momento sembra non finire, l’incanto di quei colori sospesi sulla città e sul mondo. L’unicorno! grida Igor. E Maddalena lo abbraccia e insieme guardano la vernice che si posa sulle biciclette e sulle macchine parcheggiate, sull’acqua del laghetto e sui cigni bianchi, sui cespugli e sulle mura della Fortezza da Basso, come una nevicata spaziale, un prodigio, la fantasia di un bambino.

Si guardano e pensano che la bellezza non serve a niente, non salva il mondo, non dura neanche abbastanza. Ma loro sono lì, vivi. E l’unico antidoto contro la morte, dice Maddalena prima di baciare Igor con quel bacio lunghissimo che un giorno racconteranno ai loro figli, è la vita.

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