Avete tutti la vostra copertina? Abbiamo cercato di fornirvele della misura giusta. Scusate se alcune sono straccetti di spugna. Le avevamo esaurite.

E i vostri spuntini? Mi dispiace che non siamo riusciti a cuocerli, come dite voi, però il nutrimento è più completo, senza questa cottura che fate. Se inserite tutto quanto lo spuntino nel vostro apparato ingerente – la bocca, come dite voi – non farete gocciolare il sangue sul pavimento. A casa nostra facciamo così.

Mi dispiace che non siano disponibili spuntini vegani, come dite voi. Non siamo stati in grado di interpretare la parola.

Non siete tenuti a mangiarli, se non volete.

Per cortesia smettetela di bisbigliare, là in fondo. E lei la smetta di piagnucolare, si levi il pollice dalla bocca, Signore-Signora. Deve dare il buon esempio ai bambini.

No, lei non rientra fra i bambini, Signora-Signore. Ha quarantadue anni. Per noi rientrerebbe fra i bambini, ma lei non è del nostro pianeta e nemmeno della nostra galassia. Grazie, Signore o Signora.

Li uso entrambi perché francamente non riesco a capire la differenza. Sul nostro pianeta non facciamo ricorso a soluzioni così limitate.

Sì, lo so che assomiglio a quello che lei, giovane entità, chiama “polpo”. Ho visto questi esseri amichevoli in fotografia. Se il mio aspetto vi disturba, potete sempre chiudere gli occhi. Vi consentirebbe di prestare maggiore attenzione al racconto, in ogni caso.

No, non potete lasciare la sala della quarantena. Fuori c’è la pestilenza. Sarebbe troppo rischioso per voi, anche se non lo è per me. Non abbiamo quel genere di microbo, sul nostro pianeta.

Mi dispiace che non ci sia una toilette, come dite voi. Noialtri utilizziamo come carburante tutto il nutrimento ingerito, pertanto non ci occorrono simili ricettacoli. In effetti vi avevamo ordinato una toilette, come dite voi, ma ci è stato detto che scarseggiano. Potete provarci dalla finestra. Ma siamo molto in alto, siete pregati di non tentare di saltare.

Nemmeno io mi diverto, Signore-Signora. Sono stato inviato qui nell’ambito di un programma di soccorso d’emergenza intergalattico. Non ho avuto scelta, non essendo altro che un semplice intrattenitore, dunque di modesta condizione sociale. E questo dispositivo di traduzione simultanea che mi è stato fornito lascia alquanto a desiderare. Come abbiamo avuto modo di appurare, voi non capite le mie battute. Ma come siete soliti dire, mezza pagnotta di farina di grano è sempre meglio di niente.

Ora. La storia.

Mi è stato detto di raccontarvi una storia, e adesso ve la racconterò. Questa è un’antica fiaba del pianeta Terra, o almeno così mi risulta. S’intitola L’impazienza di Griselda.

C’erano una volta due sorelle gemelle. Erano di modesta condizione sociale. Si chiamavano Paziente Griselda e Impaziente Griselda. Erano di bell’aspetto. Erano Signore, non Signori. Erano soprannominate Imp e Paz, e Griselda era quello che voi definireste il loro cognome.

Mi scusi, Signore-­Signora? Signore, dice? Sì?

No, non ce n’era una sola. Erano due. Chi la racconta la storia? Io. Quindi ce n’erano due.

Un giorno, una persona ricca di elevata condizione sociale, che era un Signore e un’altra cosa chiamata Duca, passò di lì in sella a... passò di lì, in sella a... se si hanno gambe a sufficienza, non c’è bisogno di stare in sella a niente, ma il Signore di gambe ne aveva solo due, come tutti voi. Vide Paz che innaffiava... che faceva qualcosa fuori dalla sua casupola, e disse: «Vieni via con me, Paz. La gente mi dice che devo sposarmi, per poter copulare a giusto titolo e dar vita a un piccolo Duca». Non aveva la possibilità di emettere semplicemente uno pseudopode, vedete.

Uno pseudopode, Signora. O Signore. Saprà bene di cosa si tratta! È una persona adulta!

Lo spiegherò in seguito.

Il Duca disse: «So che sei di modesta condizione sociale, Paz, ma è proprio per questo che voglio sposare te, e non qualcuna di elevata condizione sociale. Una Signora di elevata condizione sociale avrebbe delle idee sue, mentre tu non ne hai. Posso comandarti a bacchetta e umiliarti a piacimento, e tu sarai così modesta da non dire né aba. E neanche be. O nient’altro. E se mi respingi, ti farò tagliare la testa».

La faccenda era molto inquietante, per cui Paziente Griselda acconsentì, e il Duca la tirò in sella al suo... chiedo scusa, ma noi non disponiamo della parola giusta e il dispositivo di traduzione non mi è di alcuna utilità. Sul suo spuntino. Cosa c’è da ridere? Cosa credete che facciano gli spuntini, prima di diventare tali?

Continuerò con la storia, ma vi consiglio di non infastidirmi oltremodo. A volte mi famabbio. Vuol dire che mi arrabbio per la fame, o che mi viene fame per la rabbia. Una o l’altra cosa. Nella nostra lingua la parola giusta esiste. Così, col Duca che teneva stretto l’attraente addome di Paziente Griselda di modo che non cadesse giù dal suo... di modo che non cadesse giù, cavalcarono fino al suo palazzo. Impaziente Griselda aveva origliato da dietro la porta.

Quel Duca è un uomo tremendo, si era detta. Ed è pronto a comportarsi malissimo con Paziente, la mia amata sorella gemella. Mi travestirò da giovane Signore e troverò lavoro nella grande sala di preparazione degli alimenti del Duca, in modo da poter tenere tutto sott’occhio.

Così, Impaziente Griselda lavorò come sguattero, come dite voi, nella sala di preparazione degli alimenti del Duca, dove fu spettatrice, o spettatore, di ogni sorta di sprechi – pellicce o zampe scartati senza farsi problemi, immaginate un po’, e ossi che, una volta bolliti, venivano parimenti buttati via – ma gli, o le, capitò anche di udire dicerie di ogni sorta. Molte di queste dicerie riguardavano il malo modo in cui il Duca trattava la sua nuova Duchessa. Era sgarbato con lei in pubblico, la costringeva a indossare abiti che non le si confacevano, la strapazzava, le raccontava che tutte le cattiverie che le faceva erano soltanto colpa sua. Ma Paziente non diceva mai né aba.

La notizia lasciò costernata Impaziente Griselda, e allo stesso tempo la mandò su tutte le furie. Pertanto lei, o lui, trovò il modo di incontrare un giorno Paziente Griselda mentre se ne stava avvilita in giardino, allo scopo di rivelarle la sua vera identità. Le due eseguirono un affettuoso gesto corporale, e Impaziente domandò: «Come puoi permettergli di trattarti così?».

«Un ricettacolo per bere liquidi mezzo pieno è meglio di uno mezzo vuoto» rispose Paz. «Ho due bellissimi pseu­ dopodi. A ogni modo, lui sta solo mettendo alla prova la mia pazienza».

«Cioè sta cercando di capire fin dove può arrivare» disse Imp. Paz sospirò. «Che alternativa ho? Non esiterebbe a ucci­dermi, se gliene fornissi il pretesto. Se solo dico be, lui mi taglia la testa. Il coltello ce l’ha».

«Staremo a vedere» disse Imp. «C’è una quantità di coltelli nella sala di preparazione degli alimenti, e ormai sono piuttosto esperta nel loro utilizzo. Chiedi al Duca se ti concederebbe l’onore di una passeggiata in questo giardino, stasera».

«La cosa mi spaventa» disse Paz. «Potrebbe considerare la richiesta come l’equivalente di dire be».

«In tal caso, scambiamoci i vestiti» disse Imp «e lo farò io stessa». Così, Imp indossò gli abiti della Duchessa e Paz i vestiti dello sguattero, dopodiché ognuna se ne andò nella sua parte del palazzo.

A cena, il Duca annunciò alla presunta Paz di aver ucciso i suoi due bellissimi pseudopodi, e lei non fiatò. In effetti sapeva che era un bluff, avendo sentito da un altro sguattero che gli pseudopodi erano stati portati di nascosto in un luogo sicuro. Quelli della sala di preparazione degli alimenti erano sempre informati di tutto.

Il Duca aggiunse poi che l’indomani avrebbe buttato fuori a calci dal palazzo Paziente, nuda – sul nostro pianeta questa nudità non la conosciamo, però mi risulta che qui sia cosa vergognosa mostrarsi in pubblico senza vestimenti. Dopo che tutti ebbero schernito Paziente e l’ebbero smodatamente bersagliata di pezzi di spuntini putrescenti, lui dichiarò che intendeva trovare un’altra moglie, più giovane e bella di Paz.

«Come desiderate, mio signore» replicò la presunta Paz

«ma prima ho una sorpresa per voi».

Il Duca era già piuttosto sorpreso di sentirla parlare.

«Davvero?» chiese increspando le antenne facciali.

«Sì, mio ammirato e sempre ­giusto Signore» rispose Imp in un tono di voce che preannunciava un’escrezione di pseudopodi. «È un dono speciale per voi, per ringraziarvi della vostra grande prodigalità nel corso del nostro, ahimè, troppo breve periodo di convivenza. Fatemi l’onore di raggiungermi stasera in giardino, così da poter trovare ancora una volta conforto nel sesso, prima che io venga in eterno privata della vostra luminosa presenza».

Il Duca trovò la proposta audace e stuzzicante.

Stuzzicante. Una delle vostre parole. Vuol dire infilare da qualche parte un oggetto appuntito. Mi dispiace di non poterla spiegare meglio. È una parola della Terra, in fin dei conti, non della mia lingua. Vi toccherà chiedere in giro.

«Tutto questo è audace e stuzzicante» osservò il Duca.

«Ti ho sempre creduta un cencio e uno zerbino, e adesso vien fuori che sotto quella faccetta pallida sei una sudiciona, una donnaccia, una bagascia, una sgualdrina, una zoccola, una puttana e anche una troia».

Sì, Signora­-Signore, davvero c’è abbondanza di parole simili nella vostra lingua.

«Ne convengo, mio signore» disse Imp. «Mai vi contraddirei».

«Vediamoci in giardino dopo che il sole è tramontato» disse il Duca. Sarà più divertente del solito, pensò. Forse, tanto per cambiare, la sua sedicente moglie si sarebbe data da fare, invece di starsene lì rigida come un’asse.

Imp andò a cercare lo sguattero, vale a dire Paz. Insieme scelsero un coltello lungo e aguzzo, che Imp celò nella manica di broccato, mentre Paz si nascondeva dietro un cespuglio.

«Che piacere incontrarvi al chiaro di luna, mio signore» disse Imp quando tra le ombre apparve il Duca, già intento a sbottonarsi quella porzione di indumenti che occultava il suo organo del piacere. Non ho ben capito questa parte della storia, dato che sul nostro pianeta l’organo del piacere è posizionato in cima alla testa e sempre in bella vista. Ciò semplifica di molto le cose, perché ci permette di constatare direttamente se è nata un’attrazione e se è ricambiata.

«Levati la gonna o te la strappo, zoccola» esclamò il Duca.

«Con piacere, mio signore» rispose Imp. Si avvicinò sorridendo, tirò fuori il coltello dalla manica riccamente decorata e gli tagliò la gola, così come l’aveva tagliata a un gran numero di spuntini quando faticava come sguattero. Lui emise a malapena un brontolio. Poi le due sorelle festeggiarono con un affettuoso gesto corporale, dopodiché divorarono interamente il Duca: ossa, abiti di broccato e tutto quanto.

Mi scusi? Cosa intende per macheccazzo? Mi dispiace, non capisco.

Sì, Signora-­Signore, confesso che si è trattato di un momento interculturale. Ho semplicemente detto cosa avrei fatto io al loro posto. Ma raccontare storie ci aiuta a capirci a vicenda, superando abissi sociali, storici ed evolutivi, non pensa?

In seguito, le gemelle andarono in cerca dei bellissimi pseudopodi, e dopo un gioioso ricongiungimento vissero tutti felici e contenti nel palazzo. Insospettiti, alcuni parenti del Duca vennero a ficcanasare, ma le sorelle sbranarono anche loro.

Fine.

Dica pure, Signore-­Signora. Non le è piaciuto il finale? È diverso dal solito? Allora quale preferisce?

Ah. No, credo che quello sia il finale di un’altra fiaba. Non di quella che mi interessa. Quella la racconterei molto male. Invece questa l’ho raccontata bene, credo – quanto basta per mantenere viva la vostra attenzione, lo ammetterete.

Avete persino smesso di piagnucolare. E tanto meglio, perché i vostri piagnistei erano alquanto irritanti, se non addirittura allettanti. Sul mio pianeta, piagnucolano soltanto gli spuntini. Quelli che non sono spuntini, non piagnucolano. Ora dovete scusarmi. Ho in elenco parecchi altri gruppi in quarantena, e il mio lavoro è aiutarli a passare il tempo, come ho aiutato voi. Sì, Signora­-Signore, sarebbe passato comunque, ma non così in fretta.

Ora sguscerò fuori da sotto la porta. È così pratico non avere uno scheletro. Indubbiamente, Signore-Signora, mi auguro che la pestilenza finisca presto. Così potrò tornare alla mia vita normale.

Questo testo inedito di Margaret Atwood Impatient Griselda L’impazienza di Griselda è stato letto dall’autrice mercoledì 5 luglio al LETTERATURE Festival Internazionale di Roma XXII edizione. Cinque serate dal titolo La memoria del mondo allo Stadio Palatino. Traduzione di Guido Calza.

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