Personaggi evangelici enigmatici e sfuggenti, i magi sono radicati così profondamente nell’immaginario da sottrarsi persino alla cancellazione da parte di una scristianizzazione sempre più accentuata. I dati biblici sono scarsi ma presto vengono integrati grazie alla rigogliosa fortuna – dagli apocrifi al cinema contemporaneo – di queste misteriose figure, certo non appartenenti all’ebraismo e che nella Bibbia canonica (quella riconosciuta dalle diverse chiese cristiane) appaiono solo brevemente all’inizio del vangelo di Matteo, unico tra i quattro a evocarli benché il testo sia rivolto innanzi tutto a comunità ebraiche.

Nell’essenziale narrazione evangelica colpiscono l’improvvisa apparizione e l’evidenza dei magi, tanto che la loro entrata in scena risulta centrale nel racconto della stessa nascita di Cristo. Il vangelo secondo Matteo è profondamente radicato nel contesto giudaico sin dal suo inizio.

Si apre infatti con la genealogia del messia, divisa in tre parti dalla figura di re Davide, suo antenato, e dall’esilio babilonese. È una lista di nomi quasi tutti maschili ma che si conclude con Maria, la cui gravidanza miracolosa viene spiegata in sogno al suo sposo Giuseppe, uomo giusto.

Il passo di Matteo

«Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco dei magi da oriente giunsero a Gerusalemme e chiedevano: “Dov’è il re dei giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo”». Il seguito del racconto di Matteo è scarno e notissimo. Il sovrano, turbato, s’informa sul luogo della nascita da sacerdoti e scribi, poi interroga i magi in segreto per farsi dire «con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella», e li manda a Betlemme. «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché venga ad adorarlo» dice loro Erode.

Lasciato il re, per i magi splende di nuovo la stella, che stavolta indica dove si trova il piccolo Gesù. «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» conclude l’evangelista.

Nulla di più. Efficace narratore, Matteo presenta i magi quando arrivano a Gerusalemme dall’oriente. Poi, attraverso le loro stesse parole, accenna appena al viaggio, motivato e guidato dalla stella che ai magi era apparsa fin dal suo sorgere. Passa quindi a descrivere il turbamento e le domande inquiete di Erode, e si concentra sulla conclusione della loro ricerca, resa possibile dal nuovo apparire della stella: l’adorazione di Gesù con l’offerta dei tre doni; infine, il ritorno «per un’altra strada».

L’iconografia

Secondo il racconto evangelico, dunque, l’importanza dei magi è nel loro riconoscere per primi – loro, sapienti non appartenenti all’ebraismo – la “manifestazione” di Dio nel bambino di Betlemme. Per molti commentatori stanno a rappresentare il riconoscimento della divinità di Cristo da parte dei popoli pagani. Più tardi, dal termine greco epifáneia prenderanno il nome la festa cristiana e la figura folclorica della Befana, che s’intreccia con antichi riti pagani.

In oriente, le diverse liturgie cristiane uniscono nell’Epifania tre episodi evangelici. Innanzi tutto, il riconoscimento della divinità del bambino Gesù da parte dei magi. Poi, il battesimo di Cristo ormai adulto nel Giordano con la manifestazione della sua natura divina. Infine, secondo la narrazione del vangelo di Giovanni, il primo miracolo da lui compiuto: alle nozze di Cana con la trasformazione dell’acqua in vino. Elemento unificante il riconoscimento nel mondo della divinità di Gesù.

Precoce è la meravigliosa iconografia, che dalle catacombe e dalle più antiche raffigurazioni medievali arriva, attraverso l’esuberante fioritura tardomedievale e rinascimentale, fino alle statuine dei presepi, alla letteratura e al cinema. Alle immagini si aggiungono le tradizioni liturgiche, una diffusa onomastica, tenaci tradizioni popolari e persino usi gastronomici.

Questi hanno la loro lontana origine nei Saturnalia romani e sono dolci tipici che chiudono le feste natalizie. Nell’impasto di queste ciambelle si nasconde un legume oppure una piccola figura benaugurante, come nella galette des rois in Francia e nel roscón de reyes che dalla Spagna – dove proprio “i re” sono protagonisti di fastose cavalcate e portano doni ai bambini – passa nelle antiche colonie americane.

Quanti erano, chi erano

Ma chi e quanti erano questi magi? A rispondere sono gli antichi autori cristiani con le più diverse interpretazioni e con i vangeli apocrifi, poi le leggende orientali che arrivano e si trasformano in Europa, sino ai resoconti di viaggi – fra tutti, quello di Marco Polo – e ai testi medievali che sintetizzano e mettono ordine in un complesso di testi scritti in diverse lingue nel corso di oltre un millennio.

Astronomi, astrologi o sacerdoti di culti diffusi nel mondo indoiranico con propaggini che arrivano al buddismo? Certo, secondo Matteo rappresentano la sapienza pagana: wise men viene tradotto in inglese sin dalle più antiche versioni il termine greco mágoi e il corrispettivo latino magi. Già nelle interpretazioni del testo evangelico e nei suoi sviluppi apocrifi o leggendari vi è infatti la preoccupazione di distinguere dal mondo oscuro della magia le figure dei sapienti d’oriente, considerati anzi santi pagani che riconoscono Cristo.

Ma come mai i magi diventano re, anzi i tre re? Lo slittamento avviene probabilmente tra il III e il V secolo nelle tradizioni siriache (e poi arabe) o armene, per influsso di antiche profezie ebraiche conosciute ovviamente già dall’evangelista. «I re di Tarsis e delle isole portino tributi, i re di Saba e di Seba offrano doni» recita un salmo; «uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso» si legge nel libro di Isaia.

Nei testi orientali i magi sono dei re, e il loro numero oscilla: da due fino a dodici, anche se i doni – l’oro, l’incenso, la mirra – finiscono per far prevalere il numero di tre. Doni che secondo il più antico commentatore cristiano, Ireneo di Lione, mostrano «chi era colui che adoravano»: la mirra che avrebbe cosparso e profumato il suo corpo perché per il genere umano «sarebbe morto e sarebbe stato sepolto»; l’oro perché è re e il suo regno non avrà fine; l’incenso perché è Dio.

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I loro nomi

In un apocrifo risalente forse al V secolo, il Vangelo armeno dell’infanzia, compaiono i nomi, che poi si trasformeranno in innumerevoli modi: Melkon, re dei persiani, Gaspar, re degli indiani, e Balthasar, re degli arabi, che si muovono dai rispettivi paesi fino a un incontro prodigioso. Come racconterà Lew Wallace in Ben-Hur. A Tale of the Christ – pubblicato nel 1880 e dove la storia dei magi costituisce uno dei fili conduttori del romanzo – e rappresenterà suggestivamente Franco Zeffirelli nel Gesù di Nazareth.

Appena accennato dall’evangelista Matteo, il viaggio dei magi è in realtà quello segnato da variazioni piene di fascino della loro leggenda: queste lo immaginano di pochi giorni – quelli che separano la festa del Natale dall’Epifania con le loro dodici notti – oppure lungo fino a due anni. Finché nel 1158 a Milano compaiono le loro reliquie, poi sottratte e portate a Colonia per volere dell’imperatore Federico Barbarossa.

La Germania di Ratzinger

Tra il XIII e il XIV secolo alla fissazione della storia dei magi contribuiscono molto testi diffusissimi come la Legenda aurea di Iacopo da Varazze e la Historia trium regum di Giovanni di Hildesheim. E passano nelle tradizioni popolari. Come in Germania, dove all’avvicinarsi del tempo di Natale le iniziali dei tre magi vengono scritte con il gesso sulle porte delle stalle e delle case, accompagnate dalla croce e dall’indicazione dell’anno che sta per iniziare: un segno di benedizione popolare mantenuto nelle sue abitazioni da Joseph Ratzinger, anche dopo la rinuncia al pontificato.

Proprio Benedetto XVI, nell’ultima Epifania celebrata da papa, ha descritto i sapienti d’oriente – forse dei «dotti che avevano una grande conoscenza degli astri» – come persone «dal cuore inquieto». I magi, secondo Ratzinger, «volevano sapere come si possa riuscire a essere persona umana. E per questo volevano sapere se Dio esista, dove e come egli sia. Se egli si curi di noi e come noi possiamo incontrarlo». Il loro viaggio è dunque quello dell’«essere interiormente in cammino», spiegava il vecchio papa, per indicarne l’esempio.

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