- È spesso descritta come un’autrice di romanzi generazionali, un’etichetta utile dal punto di vista commerciale che però non riesce a coglierne la vera natura. Sally Rooney è soprattutto una scrittrice morale.
- Nel suo nuovo romanzo, Dove sei, mondo bello, in uscita l’8 marzo con Einaudi ci sono due donne allo specchio, Alice e Eileen. La narrazione alterna capitoli dove seguiamo le loro vite raccontate in terza persona e capitoli che invece sono occupati da uno scambio epistolare.
- Nel romanzo sono importanti le professioni svolte, i soldi guadagnati, nessun personaggio si muove senza che vi sia chiarezza sulle sue condizioni economiche e sul suo ambiente di provenienza. Una scelta estetica fondamentale.
Sally Rooney è spesso descritta come un’autrice di romanzi generazionali, “la voce dei trentenni di oggi”, un’etichetta utile dal punto di vista commerciale che però non riesce a coglierne la vera natura. In realtà è soprattutto una scrittrice morale, non perché suggerisca dei valori ai quali aderire, quello sarebbe moralismo, ma perché nella sua scrittura e nei suoi personaggi troviamo una forma ostinata di resistenza: il desiderio di non cedere all’indistinto, al fascino del caos.
La moralità di Rooney però non si esplicita attraverso figure che agiscono con decisione per far esplodere conflitti specifici (come per esempio in Michel Houellebecq, scrittore morale della demolizione). I suoi romanzi, dietro la scorrevolezza e l’abbondanza di dialoghi scintillanti, sono strutturati al fine di creare una fabbrica permanente della riflessione.
L’ultimo si intitola Dove sei, mondo bello (Einaudi, traduzione di Maurizia Balmelli), e va risoluto in questa direzione più di quanto facciano i precedenti lavori, quasi che Sally Rooney, di cui si è molto parlato negli ultimi anni (a volte comparandola ai grandi, a volte riducendola a fenomeno di moda), volesse archiviare alcune interpretazioni che trova distorte e chiarire la propria idea di romanzo.
Voce dominante
Alice e Eileen sono migliori amiche, hanno quasi trent’anni, si sono conosciute ai tempi dell’università. La prima è una scrittrice di successo internazionale, una romanziera delle relazioni umane. Superficialmente, dunque, ha dei punti in comune con l’autrice, ma il gioco non è questo, non è l’autobiografia.
Di sicuro Sally Rooney scrive perlopiù partendo da quello che conosce, lo ha anche dichiarato, ma la figura di Alice non è un alter ego e non è una voce dominante. È parte di un espediente dialettico.
Di fronte a lei infatti c’è Eileen, altrettanto importante, la sua voce ha lo stesso peso di quella di Alice. Gli spazi di presenza delle due sembrano anzi costruiti matematicamente. Eileen non è una scrittrice, anche se conosce molto bene i libri, lavora per una rivista letteraria, ha scritto un saggio breve su Natalia Ginzburg, ma non ha mai pubblicato romanzi e soprattutto non è una persona di successo.
Guadagna poco, vive nella precarietà, immersa nella sensazione di non aver combinato nulla e di trovarsi su un binario morto, nel lavoro e nei sentimenti. Come Alice è molto intelligente, ma meno caustica, ha un passo più riflessivo, forse non sente il peso del dover dare spettacolo, dell’essere una voce pubblicata.
E come Alice è capace di crolli, ma sono più sotterranei: se il personaggio della scrittrice famosa ha vissuto un periodo di ricovero psichiatrico, Eileen porta dentro di sé molte contraddizioni emotive, ma quasi le coltiva con un tocco di perversione. Si spinge con più disinvoltura nella sgradevolezza.
Donne allo specchio
Le due donne sono allo specchio, la narrazione alterna capitoli dove seguiamo le loro vite raccontate in terza persona (una terza persona che abbina con cura oggetti, gesti, dialoghi, procedendo per giustapposizioni) e capitoli che invece sono occupati da uno scambio epistolare fra le due.
Anche qui strutture dialettiche: la terza persona e le voci individuali delle lettere, l’azione e la riflessione. Le email fra Alice ed Eileen attraversano temi complessi e si legano anche al dato generazionale, che però resta solo un primo livello di lettura.
Parlano dello stato della civiltà, della morte della bellezza, della cultura della fama, della definizione di classe operaia oggi. Della religiosità e specialmente del cattolicesimo. E del romanzo contemporaneo, del suo senso, della sua mancanza di senso.
Le domande sono smisurate. In che modo siamo parte della comunità umana? Ci interessa farne parte? Se nasciamo fortunati abbiamo il permesso di esprimere un parere sul mondo? Se siamo invece sventurati come possiamo metterci nelle condizioni di agire? Sotto queste domande scorre un forte terrore dell’inconcludenza e della futilità, la consapevolezza del privilegio di potersele fare: il problema in fondo è questo.
I giovani personaggi però non si fermano spaventati al cospetto del vuoto, ma ricominciano a interrogarsi animati da una maggiore concretezza. Il loro obiettivo sembra davvero la presa di coscienza della propria situazione effettiva, presumo in senso marxista: dare un’esatta valutazione, «diradare questa cortina fumogena e percepire la struttura reale degli avvenimenti», come scrisse Isaiah Berlin.
Resta in loro qualcosa di irrisolvibile, però, e il risultato è una scrittura dell’attesa. Chi ritenga importante chiedersi in che senso questa scrittrice rappresenti una generazione dovrà partire dall’analisi di un marxismo “in bilico”, usato perlopiù come meccanismo.
La sua idea di realismo
La vastità dei temi naturalmente espone Sally Rooney all’accusa di essere naif oppure furba, e la sua giovane età rinforza questo genere di accuse. Si tratta, però, di valutazioni pigre.
Leggendo si ha più che altro la sensazione di una scrittrice che non teme di essere dileggiata, se questo è il prezzo da pagare per la sua idea di realismo.
A volte mi ha colpito la forza delle pagine in apparenza secondarie, le descrizioni degli oggetti in una stanza vuota, i finali di frase che indugiano sui suoni, sulle immagini di contorno, sulla temperatura della realtà. Sally Rooney qui non esita a evocare James Joyce, intendo Gente di Dublino, e arriva a ricostruire (senza dirlo al lettore) un passaggio de “I morti”. In altri luoghi la sua prosa asciutta rivela l’ambizione di avvicinarsi a Natalia Ginzburg, che è citata in esergo non per caso.
La parte dell’azione è occupata dalle storie d’amore, difficili o addirittura difficilissime. Troviamo due figure maschili assai diverse. C’è Simon, fortemente cattolico, consulente politico, un uomo attraente (Sally Rooney sa evocare la bellezza fisica sulla pagina, è un suo talento). Simon è anche buono, ed è anche passionale, dirò anzi “mistico e sensuale” come in una canzone di Franco Battiato.
È l’uomo di Eileen. Poi c’è Felix, un giovane magazziniere che lavora in un deposito spaccandosi le mani, non per modo di dire, a un certo punto proprio se le spacca. Curioso, sfuggente, impertinente, poco incline ai discorsi fumosi, attratto dalle donne e dagli uomini.
Scelte estetiche
Alice lo coinvolge in quello che sembra un esperimento sulle differenze sociali e culturali, e che si trasforma presto in una lotta amorosa e spirituale, dove non manca il dolore. Sarà proprio Felix a mettere in scena il richiamo joyceano più forte: durante una festa in casa canterà una canzone tradizionale irlandese, la stessa che ne “I morti” risveglia l’amarezza. E Alice resterà ipnotizzata, forse pensando alla neve che cade lentamente in Joyce, anche se la neve sulla pagina di Rooney non c’è.
Nel romanzo sono importanti le professioni svolte, i soldi guadagnati, nessun personaggio si muove senza che vi sia chiarezza sulle sue condizioni economiche e sul suo ambiente di provenienza, e questo in parte è frutto di un’ossessione politica dell’autrice, in parte è una scelta estetica fondamentale. Poi c’è il sesso.
È difficile scrivere le scene di sesso, è quasi scontato sbagliare, passare per scrittrici scarse, anche perché chiunque leggendo si lamenterà, avrà le sue avversioni, le sue insofferenze, e allora Sally Rooney sembra farlo apposta, di nuovo si espone, scrive molte scene erotiche, usa un linguaggio semplice e nessuna enfasi.
A volte inciampa, non convince, a volte però ce la fa, soprattutto se c’è in ballo la malinconia e l’impossibilità dell’amore. Personalmente non ho provato fastidi particolari (per me il più grande fastidio è un altro, non c’entra col sesso, è il fatto che i personaggi spesso bevano il vino dai bicchieri di plastica; lo accetto solo in quanto realismo irlandese giovanile).
È sul tema della maternità che la storia raggiunge un compimento, non si può non notare come un libro con una struttura dialettica altamente definita si concluda proprio così. Ma l’anima di questo romanzo resta il doppio binario, abbiamo il punto di vista di Eileen e quello di Alice. Non sono uguali, non è possibile stabilire quale delle due voci abbia più autorità.
© Riproduzione riservata