Il suo traguardo non era, allora, resistere due ore e poi andare a fumare; fuggirsi, scandire, organizzare.

Fra qualche anno si alzerà, metterà la giacca, sistemerà il colletto, attraverserà la stanza, la maniglia sarà il suo traguardo, se è così che si esce da qui.

Si renderà conto di come il tuo traguardo sia stato forse mancarlo.

Ma questa notte succede qualcosa e ti scandisce, come a cercartelo lei.

Si alza, si mette la giacca, sistema il colletto, attraversa la stanza, la maniglia è il suo traguardo.

Buonanotte - ti dice.

Non piange, è scorza dura. Si siede per pensarti.

È difficile riuscire a non dare niente, anche non volendo, qualcosa sfugge sempre.

Adesso che ha tempo, cerca se l'hai amata di sghembo, un gesto, tu che ti vesti, tu che cammini. Una traccia di amore vero, un istante, a camminare.

Rivede maggio.

Vorrei prenderla per un braccio e spostarla, perché sia ancora in tempo. Per gioco.

Ritorna a casa con non so quali gambe. È una povera cosa, un cane che muore. Ha i braccialetti di cotone ai polsi, attraversa la strada, la gente non sa niente. Non c'è nessuno al mondo che possa sapere, per poi capirlo, per un momento, che lei adesso sta morendo e non si vede. Per tutti si direbbe che sia viva, basta guardarle la felpa, com'è blu.

Ma il mondo è un ronzio in un vuoto di immagini, forse continua a muoversi. Le sue cose, ogni cosa, sono povere cose, niente ha più un senso che non sia un ronzio.

Il colore non è una qualità dell'oggetto.

In realtà, prima, in un corridoio largo, fatto di archi e di vetrate, un uomo, che non ti assomigliava o forse sì, l'ha fermata per amarla.

Le mani di un vecchio, molte rughe, la bocca. Lei non sapeva scappare. Torna a casa, ora è il suo traguardo. Qualcosa succederà. Tu non ci sei, così lei dorme per due giorni e non si spoglia.

Non c'è consolazione per un dolore che non si sa spiegare; la gente, da parte sua, non lo capisce. E anche lei è la gente e non lo sa che dolore ci sia nell'essere amati così, da bambini.

Lo sente solamente. Perché c'è la vanità disperata che uno al mondo la ami.

Forse è per questo che lei, alla fine, non muore sul serio ma, presa da una frenesia di singhiozzi e di non saper che fare e che trema e non lo racconta, cammina per casa, guarda fuori se la inseguono e poi decide di ascoltare una canzone, come avrebbe potuto uccidersi o mangiare.

Si sdraia a terra, per sentire il fondo com'è, quello del pavimento.

Si chiede, per la prima volta, come farà mai, domani, a svegliarsi. Appoggia la faccia calda di pianto sulle liste di legno. Aspetta che arrivi il momento.

Il momento è un ritornello. Lo si grida tutti insieme, ma lei in silenzio perché la voce è un ronzio, un calcio per sempre; basta la musica.

Tu non la senti, mentre ti chiama, lei forse non vuole nemmeno che tu la senta, fatto sta che ti chiama da dentro. Si ritrova negli altri e in tutti, ora che uno l'ha smarrita. In quel grido c'è la soluzione, che non c'è; c'è desiderio di niente. C'è che se potesse aggrapparsi a una nota che ti chiama, si lascerebbe sollevare, estirpare dal mondo.

Ora è seduta, inestirpata, pensa a te. Dov'eri? Il suo traguardo non era resistere due ore e scappare. Ha chiamato a lungo, per quanto è lunga la canzone. E la canzone non ha fine. Salvami, ieri. Ora dormo.

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