«Se non fosse stato per quella settimana di due Sanremo fa, forse sarei ancora in pigiama sul divano a capire che cosa dovevo fare», esordisce Giorgia Todrani, in arte Giorgia. Tra pochi giorni sarà in gara all’Ariston col brano La cura per me, scritto per lei da Blanco e Michelangelo che, «quando l’ho sentito ho avuto la pelle d’oca, ho capito che era mio. Il senso è che la cura che cerchiamo all’esterno in realtà va cercata dentro di noi». E poi. «Questo Sanremo è arrivato inaspettato, la scelta è dipesa dalla canzone. È fatto per la canzone. Che ci sta, perché Sanremo è delle canzoni», afferma come se fosse una verità inconfutabile.

E con tutto il caos di questi giorni, tra il rapper Emis Killa che si ritira dalla competizione per le indagini della procura, Rose Villain accusata di plagio per la sua neonata linea di prodotti beauty, i gossip su Fedez e l’ultima sferzata su Achille Lauro, viene quasi da abbracciarla.

In questi due anni da quel Festival a cui ha partecipato col pezzo Parole dette male e dove si è classificata sesta, la sua vita è cambiata. L’anno scorso ha presentato Sanremo con Amadeus, poi Il Volo all’Arena di Verona, e a seguire X Factor, dove si è mostrata nella versione inedita di conduttrice. Non paga, in questi tre mesi ha pubblicato il singolo Niente di male, ha doppiato Matangi nel film Disney Oceania 2 ed è uscito il brano Diamanti per il film di Ferzan Ozpetek, 19 anni dopo Gocce di memoria.

Ora va a Sanremo di nuovo da concorrente, come se avesse un conto in sospeso con la musica. Ripete più volte che spera che a vincere siano i più giovani, anche se è evidente che vuole tornare sul luogo del delitto, a quell’esperienza che non è andata come voleva.

Perché deve molto a quella gara di due anni fa?

Sul palco la prima sera mi sentivo vulnerabile e piccola. Neppure a vent’anni mi ero sentita così bambina. È stato un Sanremo interiore, ero molto chiusa, stavo cercando di capire che cosa fare e con chi lavorare.

E poi?

Più passavano le serate, più mi trasformavo. Devo a quell’esperienza la capacità di essere tornata me stessa. E dirmi: questa sono io, questo è il mio lavoro, la mia passione. E per questo devo lavorare.

Che cosa aveva perso?

Credevo di aver perso la disciplina, che poi ho ritrovato. Da lì tutto è nato.

Suo figlio Samuel prima di quel Sanremo le aveva detto che tifava per Lazza, arrivato poi secondo dietro a Marco Mengoni. E lei oggi lavora con Slait, che di Lazza è produttore e manager, oltre che talent scout e figura chiave del mondo trap, cresciuto musicalmente con Salmo. Non sembra un caso.

Brava, vede a cosa serve sto figlio quindi? A capì con chi bisogna lavorare e con chi no (ride, ndr). È fondamentale osservare come si evolve il mondo, e lavorare con la nuova generazione. Ma va fatto nella maniera giusta. Un bravo produttore è diverso per ogni artista con cui lavora. Nel caso di chi ha una carriera che ha già 30 anni come me, bisogna essere capaci di non lasciarsi tutto indietro.

Quando vi siete parlati la prima volta?

Quando Mara Sattei mi ha invitata in studio a fare il feat di Parentesi, canzone bellissima. Nulla accade per caso, quel giorno lui era lì. Poi è arrivato il momento in cui ho capito che avevo in testa solo un pensiero ricorrente: io un altro progetto discografico lo voglio fare.

Quindi la tv era solo un passaggio?

No, la tv mi piace, ma la musica è cosa mia. E volevo un progetto che fosse coerente con quello che c’è fuori e quello che sono.

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Non sarà stato facile per lei comunicare con Slait.

Invece ci siamo subito capiti. Avevo incontrato anche altri direttori artistici capacissimi e che collezionano successi. Ma io sentivo che volevo lavorare con lui. Ho fatto un grande atto di umiltà dicendogli: “Mi metto nelle tue mani”. Ti dirò sempre quello che mi piace e quello che non mi piace. Lo facevo a vent’anni, figurati se non lo faccio adesso. Però mi fiderò di quello che senti giusto per me.

C’è stata una delusione che l’ha portata a fare questo passo?

È amaro dirlo, ma sono i momenti difficili e anche le delusioni che ti danno la rotta, ti aiutano a capire, cambiare, a fare quello che devi. L’importante è che la delusione non ti faccia chiudere. In tutti i mestieri. Ma soprattutto in questo, che si evolve e si nutre di feedback esterni. Bisogna avere fiducia nei collaboratori.

Qualcuno l’ha delusa quindi.

Sì, più persone, con cui ho avuto modo di collaborare. Ma la delusione è più che altro per non essersi capiti.

Perché?

Io vorrei sempre chiudere i rapporti bene. Perché poi la vita mi ha insegnato che non sai mai, e se, ti rivedrai. Quindi è sempre bene lasciarsi con un abbraccio. Quel non essersi capiti mi ha turbato. Però mi è servito.

Chi invece è stato decisivo per la sua carriera?

I percorsi sono frutto di talento e passione, ma spesso anche di fortuna. Io ho avuto una zia stupenda, zia Diana, sorella di mia madre, che ha capito prima di tutti che io potevo cantare. Anzi, che mi avrebbe fatto proprio bene cantare. Mi portava ai provini, qualche volta anche di nascosto dai miei genitori. Una volta venne a prendermi a scuola e mi portò a un casting musicale per un programma di Pippo Baudo, tanto che poi lui, quando mi rivide tempo dopo, si ricordava di quell’esperienza.

E qual è la dote che più ama di se stessa?

La coerenza, e l’ho imparata a casa. Ho un padre musicista e cantante, che da più giovane ha avuto un periodo di grande successo e poi un periodo di grande insuccesso. È passato dall’alto al basso, e io l’ho visto rimboccarsi le maniche, trovare un lavoro con cui ha mantenuto tutti, e ricominciare da capo. Mantenendo sempre l’amore per la musica. Tutt’ora lui canta e fa le sue serate.

Qual è l’aspetto che l’ha più penalizzata invece?

A volte la scarsa consapevolezza, che può essere un pregio o un difetto, dipende. È come se a volte dovessi ancora conoscermi bene a 53 anni.

Quando ha capito di avere talento?

Io non l’ho capito subito. Ho capito però presto che quella cosa era parte di me, ne avevo necessità. Perché ero piccina, ma appena i miei genitori uscivano di casa o cambiavano stanza, mi mettevo lì a buttare giù i testi delle canzoni, copiavo le cassette, mi esercitavo. Dai brani più semplici ai più difficili, come All at once di Whitney Houston, Come si cambia di Fiorella Mannoia e pezzi complicatissimi di Barbra Streisand.

È partita leggera.

Infatti già da adolescente soffrivo, il mio masochismo era già evidente (ride).

Perché il duetto con Annalisa dopo quello di due anni fa con Elisa?

Mi piace Annalisa, era giusto provare qualcosa di nuovo. Elisa rimane nel mio cuore.

Chi è curiosa di sentire in questo Festival?

Il pezzo di Rose Villain, che sebbene lavori con Slait non ho sentito. Sono curiosa di Serena Brancale, Elodie, Olly, Achille Lauro, Noemi, Franceschina (Michielin, ndr). Ma le svelo un segreto: quando sei in gara non senti i brani degli altri. Quindi aspetterò che finisca tutto e poi mi metterò in pari.

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