Otto debuttanti, cinque ex vincitori, otto canzoni che per titolo hanno una parola sola. Solo due volte si sente un sax, pochissimi archi, produzioni simili, autori che hanno scritto più di un pezzo. Un piccolo viaggio attraverso i testi
La parola sulla bocca dei critici del prossimo Festival di Sanremo sarà algoritmo, questa presenza mitologica che attraversa il panorama della musica leggera italiana e le stanze della composizione. Dicesi algoritmo, in senso ampio e in senso stretto, una sequenza finita di operazioni che comprende e racchiude la complessità di ogni quesito. È la formula magica, il canone esatto. Peppe Vessicchio, il maestro che sempre più di rado si vede a Sanremo, racconta che già molti anni fa veniva raccomandato ai compositori di non scrivere introduzioni troppo lunghe, altrimenti alla radio la gente si annoia.
Solo che poi uno non si spiega come mai siano dei capolavori Hotel California e Firth of Fifth. Carlo Conti si è dichiarato: «Abbiamo scelto canzoni che possono piacere in radio». Ecco. Otto debuttanti, cinque ex vincitori, otto canzoni che per titolo hanno una parola sola. Piccolo viaggio in quello che c’è e quello che ci dobbiamo aspettare.
Francesco Gabbani, “Viva la vita”
Quarta volta a Sanremo. Due vittorie e un secondo posto. Il pezzo è stato scritto da Pacifico. È il primo che Carlo Conti ha presentato al pre-ascolto, spiegando che con Gabbani aveva chiuso nel 2017 e con Gabbani riparte in questo 2025. Per averle dato il ruolo di spacca ghiaccio, non può non essere una delle sue preferite. Non aspettatevi il ritmo di Occidentali’s Karma e neppure il passo di Volevamo solo essere felici. «Una bugia dice la verità più della verità», canta Gabbani. Il suono è il suo. «Viva la vita così com’è». Da primi cinque posti. Vince se la canta con Diodato.
Clara, “Febbre”
Al festival per la seconda volta, l’anno scorso si è piazzata 24esima. Ha il merito di mettere degli archi nella canzone. Lei madameggia, nel senso che la fa alla Madame. «Non dire je t’aime», chiede. Nel dubbio non diciamo proprio niente.
Gaia, “Chiamo io chiami tu”
Seconda volta a Sanremo anche per lei, fu 19esima nel 2021. Una delle quattro canzoni portate come autore a questo festival da Davide Petrella, in arte Tropico, ex leader delle Strisce, compositore per Cesare Cremonini, due anni fa primo con il pezzo di Mengoni e secondo con quello di Lazza. Qui ha risparmiato sui testi. Per ventisei volte Gaia dice «chiamo io chiami tu». Tormentone innescato. Come «volante uno, volante uno».
Achille Lauro, “Incoscienti Giovani"
Quarta volta al festival, ottavo nel 2020. Andò a giocare l’Eurofestival da traditore con la maglia di San Marino. Pianta nel cuore della canzone la sua sequenza di accordi più tipica, ti prende per mano e ti porta dove già sai. Uno dei due pezzi del festival dove almeno si sente il sax. «Se non mi chiami muoio giovane. Ti chiamerò da un autogrill. Se non ti amo, fallo tu per me». Finisce e la vuoi riascoltare. Vince se entra in empatia con il pubblico del televoto come a X-Factor (tre finalisti su quattro della sua squadra) e se la melodia italiana ha ancora un popolo alle spalle.
Coma Cose, “Cuoricini”
Terza volta al festival, premio per il miglior testo nel 2023 (L’addio). Hanno rinunciato alla solennità della Canzone dei Lupi, scegliendo quell’andamento leggero che solo le canzoni più rigorose possono permettersi. Obiettivo? I cuoricini che appaiono dovunque, anche sotto la notizia che crolla il mondo. «I like tolgono il gusto di sbagliare tutto».
Willie Peyote, “Grazie ma no grazie”
Seconda volta al festival, premio della critica 2021. Colpo di scena: a un certo punto nel testo spuntano i Jalisse. Ritratto generazionale visto dalla parte di chi ne parla male e passaggio sugli asterischi da usare nei sostantivi al plurale. «Dovresti andare a lavorare e non farti manganellare nelle piazze» e poi «Li mantengo tutti io con le mie tasse». Cosa gli vuoi rispondere da adolescente a un boomer che parla così? Con l’immortale diserzione di Bartleby lo scrivano. «Grazie, ma no grazie».
Noemi, “Se ti innamori muori”
Ottava volta al festival, terza nel 2012. Il pezzo è di Mahmood e Blanco. Quando dice «serenamente» rivaleggia con il «sinceramente» 2024 di Annalisa. Ballatona d’ambiente. Vince se Mahmood le presta i Brividi del 2022.
Rkomi, “Il ritmo delle cose”
Seconda volta al festival, 17esimo nel 2022. Ha già vinto il festival della “e” più larga nei primi dieci secondi di pezzo. Larga è poco: larghissima. Il testo dice: «Esco dall’algoritmo». Ma poi chissà. Ah, e poi dice anche «merda», rara incursione di questo Sanremo fuori le righe del lindo e pinto. Subito precisa: «D’artista».
Modà, “Non ti dimentico”
Quinta volta al festival, terzo posto nel 2013. Eroticamente scorretti. A un certo punto c’è uno che apriva gli occhi mentre baciava. Credono di poterlo riscattare citando Kandinsky e mettendo un tappeto di chitarre che scimmiotta gli U2. Nei Modà spicca il verso: «Se si potesse nascere ogni mese per risentire la dolcezza di una madre e un padre». Solo che è del 2013.
Rose Villain, “Fuorilegge”
Seconda volta al festival, 23esima nel 2024. Si fa interprete di un’evoluzione storica, una mutazione genetica, un salto di specie nel sentimento più diffuso, trasformando la «nostalgia canaglia» di Al Bano e Romina in «nostalgia puttana». Nel pezzo dice «Ascolto Almeno Tu nell’Universo», ma poi fa tumpf-tumpf come tutti gli altri.
Brunori SAS, “L'albero delle noci”
Debuttante, a questo giornale aveva detto di non andare al festival per non essere preso in giro dagli amici. Avrà cambiato idea o avrà cambiato amici. Era alla serata dei duetti nel 2019 con Zen Circus, stavolta porta un pezzo che pare scritto da chi non sa smettere di ascoltare Rimmel. «E tu sei stata bravissima all’esame di maturità ad unire i punti fra la mia bocca e la verità».
Irama, "Lentamente”
Sesta volta al festival, quarto posto nel 2022. Il pezzo è di Blanco. Pronuncia il pronome “Tu” con una dozzina di u, forse tredici. «Il tuo sorriso mi mastica», dice, facendo apparire all’improvviso tra i pensieri quelle dentiere meccaniche che saltano. Vince se per l’assolo di chitarra porta Jimi Hendrix sul palco.
Massimo Ranieri, “Tra le mani un cuore”
Ottava volta al festival. Ha vinto nel 1988 con Perdere l’amore. La canzone è stata scritta da Nek e Tiziano Ferro. Una marcia inesorabile come la sua promessa: «Salverò il tuo cuore in mare». Sarà meravigliosamente teatro in scena. Uno dei due applausi della sala stampa. Prendete 10 euro e metteteli sul premio della critica per lui.
Simone Cristicchi, “Quando sarai piccola”
Settima volta al festival. Ha vinto nel 2007 portando a Sanremo il dramma dei manicomi con Ti regalerò una rosa. Il secondo applauso all’ascolto è andato a lui. Stavolta parla di una madre come tante ce ne sono, una madre tornata piccina a cui bisogna ricordare come si chiama, prima di darle un ultimo bacio sulla fronte e dirle buonanotte. Una coltellata continua, una canzone che ti tiene sull’orlo dell’abisso. Se c’è un capolavoro a Sanremo, è questo.
Emis Killa, “Demoni”
Debuttante. Canta di Fentanyl, ecstasy, mezcal, ma lui stesso pare non crederci. Canzone acida, anche se in mezzo ci piazza un morbidisissimo «C’est la vie». «Si sembro pazzo lo so, andrò all’inferno da solo. Torniamo a letto coi demoni». Ha fatto cose molto migliori.
Fedez, “Battito”
Seconda volta al festival. Secondo posto nel 2021 in coppia con Francesca Michielin. Lui invece nel testo ha messo la flouxetina e la seratonina. Dice: «Prenditi i sogni, pure i miei soldi, basta che resti lontana da me. Ti ho odiata, te lo giuro, facciamo un po’ ciascuno». Stiamo pensando tutti la stessa cosa. Per giunta gira voce che alla serata delle cover voglia portare Bella stronza. Ma la nemica è la depressione.
Marcella Bella, “Pelle diamante”
Nona volta al festival, ritorna dopo 18 anni. Un 2° e un 3° posto nel passato. Ecco, pure lei dice «stronza» e lo dice a sé stessa. E poi si definisce pure «tosta», «una combattente», «indipendente». L’empowerment scoperto dopo anni spesi a cantare «io domani, sembra assurdo ma ricomincerei, cosa importa se dal primo istante avevi scelto lei».
Tony Effe, “Damme ‘na mano"
Debuttante. Il più atteso per le polemiche sul Capodanno romano e per le accuse di sessismo violento ai suoi testi. Ci marcia. Nel testo c’è una donna che alza le mani e lui dice: «Sono il classico uomo italiano, amo solo mia madre Annarita, la domenica ti lascio solo, vuoi andare a cena, ma c’è la partita». Segue dibattito sulla chiamata in correità ai maschi di tutta la nazione. Il pezzo è scritto con Tropico e piacerebbe a Mannarino. Ritornello irresistibile. Vince se Tony Effe non è Tony Effe.
Sarah Toscano, "Amarcord”
Debuttante. Promette Fellini nel titolo, cita Edith Piaf e la vie en rose nel testo. Ha una gran voce, meritava un pezzo che scartasse dalla normalità. È la più giovane. Avrà altre occasioni per sbagliare meglio.
Joan Thiele, “Eco”
Debuttante. Il pezzo si apre con echi di western e va avanti con suggestioni che stanno nei paraggi di Mina e Studio Uno. «Spara al centro qui», dice a un certo punto, e sembra Sergio Leone: al cuore, Ramon, al cuore. «Sarà che per noi la famiglia non è mai la stessa». Candidata al premio che l’orchestra assegna allo spartito più bello.
The Kolors, “Tu con chi fai l'amore?”
Terza volta al festival e un possibile colpo a sorpresa in canna. C’è pure qui Tropico fra gli autori, ma si avverte soprattutto la mano dell’altra grande firma, Calcutta. Una specie di sequel di Un ragazzo incontra una ragazza: «Tu con chi fai l’amore stasera». Il pezzo perfetto per Raffaella Carrà.
Bresh, “La tana del granchio”
Debuttante. Aveva duettato con Emma nel 2024. Sul suo giro armonico si potrebbe cantare almeno un pezzo di Tananai. O forse non è Bresh, forse è un’altra canzone, o forse due, forse tre. Però «sono una madre che si sgola, una testa che gira ancora, una chitarra che non suona» fa molto Ivano Fossati per Fiorella Mannoia.
Elodie, “Dimenticarsi alle 7”
Quarta volta in gara più un altro festival da co-conduttrice. Settima nel 2020. Una delle favorite secondo i raccoglitori di scommesse. Autore: Davide Petrella. Fa un giro lungo intorno al clou del pezzo che arriva quando Elodie cita il titolo cantandolo sullo stacco che Battisti aveva messo alla fine di E penso a te. Pa-pa-ra-pa-pa-ppa: «Dimenticarsi alle sette». Basterà?
Olly, “Balorda nostalgia”
Seconda volta al festival, 24esimo nel 2023. Pure lui parla di nostalgia, ma occhio a Olly. Gioca avendo alle spalle la più preparata macchina nella cura dei dettagli del festival, collezionista di successi ormai innumerevoli. Se quello conta, e conta, Olly si piazza fra i primi cinque.
Francesca Michielin, “Fango in paradiso”
Terza volta al festival, due secondi posti. Un pezzo che ne tiene dentro tre, divisi per sezioni, e tutti scritti con una sapiente conoscenza della tradizione della melodia italiana. «Ci vorrebbe un’altra vita». Vince se il giro di do è ancora la culla di ogni pezzo di successo.
Shablo ft. Guè, Joshua e Tormento, “La mia parola”
Debuttante. Presentato come ultimo pezzo nella sequenza all’ascolto, forse significa che il festival ci punta. Ma almeno quattro canzoni nell’ultimo disco di Guè sono superiori. Vince se arriva Neffa e si unisce a loro.
Serena Brancale, “Anima e core”
Debuttante. Ci mette il Brasile, ci mette il suono latino, ci mette Maria Callas e il suo accento barese mentre desidera «un bacio che s’adda veré». È una rumba della gioia. Total. Vince se per due anni di fila può vincere quasi la stessa canzone.
Rocco Hunt, “Mille vote ancora”
Terza volta al festival, vinse nelle Nuove Proposte con ‘Nu juorno buono. Pezzo latin-partenopeo vuole che esige «il caffè nelle canzoni», «viento e mare», qualcuno che «gli vuole fottere l’anima». Vince se riesce a farci credere che non l’abbiamo già sentita.
Giorgia, “La cura per me”
Sesta volta al festival. Ha vinto nel ‘95 con Come saprei, ma aveva già incantato nella sezione giovani con E poi. Pezzo scritto con Blanco. «Non so più quante notti ti ho aspettato», dice. Forse le manca un vero ritornello dove essere fino in fondo Giorgia. Vince se le cose vanno come devono andare.
Lucio Corsi, “Volevo essere un duro”
Debuttante. Un alieno su questo palco. Grosse aspettative. Non le tradisce. Porta uno dei suoi girotondi doc e canta una specie di inno anti-machista. Voleva essere medaglia d’oro di sputo e si ritrova cintura bianca di judo. «È inutile fuggire dalla paura», avverte Corsi e chiude dicendo: «Non sono altro che Lucio». Tranquillo, ragazzo. Nella musica italiana non è un brutto destino.
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