La prima mamma che riuscì a infilarsi dentro le parole di una canzone di Sanremo si faceva accompagnare «a passeggiar su di una carrozzella, come allor quando con papà s’andava giù in città ed io non ero che un ragazzo ancor». Era il 1952, il Duo Fasano faceva sentire il rumore degli zoccoli dei cavalli sulla vecchia strada («clicchetì-clicchetì-clicchetà») e in fondo si trattava già da allora di attenzione, di cura e di attenzione.

Le donne italiane si battevano da un paio d’anni con Teresa Noce per la parità salariale e la realizzazione di una serie di tutele sul lavoro, a partire dalla maternità. Sul palco di Sanremo con le mamme abbiamo fatto un giro lungo e largo per arrivare fino a Simone Cristicchi, «a quella rabbia di vederti cambiare e la fatica di doverlo accettare», stavolta c’è forse di mezzo una carrozzina, sicuramente un figlio che prepara da mangiare per cena, che le ricorda quanti figli ha, che le racconta il perché di quell’anello al dito. Ma le donne, madri o no, inseguono ancora gli stessi traguardi. L’accordo immaginato ai tempi del Duo Fasano si realizzò solo nel ‘60 nel settore industriale e nel ‘64 in agricoltura. Sulla carta. Molte volte arriva la realtà e la carta la batte, come le forbici a quel gioco che si faceva dentro casa.

Mamme vere sul palco di Sanremo non ce ne sono state a lungo. Quando arrivava un figlio, molte cantanti lasciavano la scena. Lucia Gonzales si diede alla vita familiare dopo il terzo posto del ‘56. Cantava che «la vita è un paradiso di bugie». Tonina Torrielli non se la sentiva di portare la bambina in giro per serate e tournée, così pure lei alla prima gravidanza mollò tutto: aveva fatto in tempo a diventare la prima italiana di sempre a un Eurofestival. I fotografi correvano dietro a Flo Sandon’s perché a quel tempo era popolarissima e perché aveva avuto una figlia da Natalino Otto, l’uomo che aveva portato lo swing nell’Italia fascista. Lei era la figlia di un artigiano che faceva vetrate per le chiese, un piccolo mondo antico che la popolarità delle canzoni poteva spaccare come si frantumano le lastre.

Madre e adultera

Era quella un’Italia incline a scandalizzarsi per gli amori proibiti, così li chiamavano, proibito era il sentimento fuori dal matrimonio di santa romana Chiesa e fuori dal codice civile. Il divorzio era bandito, ne fecero le spese più di tutti il ciclista Fausto Coppi e Giulia Occhini. Dovettero andare a sposarsi in Messico e lei divenne madre in Argentina per dare al piccolo Faustino il cognome del padre. Il suo ex marito l’aveva denunciata per adulterio.

Le mamme potevano essere celebrate e vincere il festival del ‘54 con Giorgio Consolini e Gino Latilla, «son tutte belle le mamme del mondo», ma tutte belle non erano affatto. Katyna Ranieri era stata a Sanremo per cantare Domandatelo («Domandatelo a questa povera canzone da quante notti c’incontriamo nel buio») mentre si separava da suo marito ufficiale dell'aviazione, pure lei dovette andarsene in Messico per poter sposare il maestro Riz Ortolani. Era una mamma e sarebbe stata denunciata per bigamia, condannata a otto mesi di reclusione, una condanna finita con un’amnistia nel 1960 e sanata definitivamente dall’intervento della Sacra Rota con l’annullamento del primo matrimonio. Il figlio Enrico porterà due cognomi.

Ancora nel 1971 fu necessario disporre una normativa (La legge 1204) per non «adibire le donne al trasporto e al sollevamento dei pesi durante il periodo di gestazione e fino a sette mesi dopo il parto» ampliando il divieto ai lavori pericolosi e agli ambienti poco salubri. La legge degli anni Cinquanta aveva concesso alle madri il diritto a due periodi di riposo solo nel caso in cui avessero allattato personalmente il bambino.

Le ragazze madri

Fu forse per uscire da questa ipocrisia e da questo doppio standard, per uscire dalla distanza fra palco e realtà, che dal ‘56 al ‘67 non c’è più stata la parola “mamma” in nessuna delle canzoni partorite per il festival. Ne tornò una nel pezzo de I Giganti perché eravamo ormai alle soglie del Sessantotto e dicevano «la mia famiglia è di gente bene, con mamma non parlo, col vecchio nemmeno». Quella di Lucio Dalla in 4 Marzo 1943 compiva sedici anni nel giorno in cui era incinta di lui, prese ad aspettarlo «come un dono d’amore» cantando strofe di taverna come ninna nanna.

Era la prova che c’erano mamme e mamme, lo avrebbe detto pure Stefano Rosso in L’italiano («Mamma è una santa, le altre da bordello»). Maria Laurino ha scritto due anni fa un libro (Il prezzo degli innocenti, Longanesi) per raccontare le condizioni di vita delle donne single fino agli anni Ottanta, madri di quattromila bambini cresciuti in un brefotrofio e adottati da coppie cattoliche americane con l’intervento del Vaticano. I papi non parlavano ancora a Sanremo, la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza sarebbe arrivata nel 1978.

Un’altra mamma avrebbe poi rivinto Sanremo nel ‘92, quando Luca Barbarossa venne convinto da Dalla e Morandi («Fatti mandare dalla mamma») a togliersi la puzza sotto il naso e portare al festival un pezzo che fosse pop, un inno alla mamma, ma non alla maniera di Bennato («Viva la mamma affezionata a quella gonna un po' lunga»), né alla maniera di Jovanotti («Ciao mamma, guarda come mi diverto»). La sua era una mamma da portare a ballare, anzi no, una mamma da cui farsi portare a ballare, «questa sera lasciamo qua i tuoi problemi e quei discorsi sulle rughe e sull’età, dai mamma dai, questa sera fuggiamo via, è tanto che non stiamo insieme e non è certo colpa tua»).

La cura

Adesso che sono passati altri trent’anni, le mamme nelle canzoni di Sanremo sono addirittura quattro: con Lucio Corsi («Me lo diceva mamma ed io cadevo giù dagli alberi, quanto è duro il mondo per quelli normali»), con Brunori Sas («E nei tuoi occhi di mamma adesso splende una piccola fiamma»), con Rocco Hunt («E ora non mi ricordo più, com’è l’odore del caffè, quelle canzoni che mamma ascoltava alla radio»), con Tony Effe («Sono il classico uomo italiano, amo solo mia madre Annarita») e con Cristicchi. Non le portiamo più a ballare, non le portiamo in carrozzella, non abbiamo più l’età diceva Gigliola Cinquetti, è il momento di darsi a un’altra cura. Le persone sopra i 65 anni in Italia sono 14 milioni, quasi quattro non sono autosufficienti. Secondo gli ultimi dati della Bocconi, si occupano di loro altre donne, le badanti sono 1 milione e 120mila, per il 70% straniere. Superano il numero del personale sanitario e come ai tempi del Duo Fasano e appartengono a quel 29% di donne che non superano i 1.000 euro al mese di stipendio, in questo strano paese dove per il 19% guadagnano meno degli uomini a parità di mansioni.

Ci siamo commossi tutti, «tu mi darai la tua mano, io un bacio sulla fronte, adesso è tardi, fai la brava, buonanotte». Ci siamo commossi tutti, magari Cristicchi vince, poi sabato sera finisce il festival e la vecchia giostra da domenica mattina ricomincia a girare.

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