«Tu quando scendi per Natale?»

«Non lo so. Ma perché, scusa, tu lo sai già?»

«Sì, ho preso i biglietti ieri».

«È ancora settembre!».

Ogni anno, e ormai da tre anni, mi ritrovo ad affrontare conversazioni come questa. Chiaramente, ad aver già acquistato i biglietti aerei per ritornare a casa, giù in Sicilia, non sono io, ma di solito un amico o un’amica che, come me, vive a Milano. Non chiedetemi perché, è così e basta, ma ho una tendenza, in vero proprio brutta, a procrastinare, e quand’è dei biglietti aerei per Catania, nel periodo natalizio, che si parla di questa mia tendenza, tratto del mio carattere tra i peggiori, più che brutta la definirei oscena e costosa.

Su questa faccenda, a ogni modo, non credo sia il caso di soffermarsi: se vivi al Nord – da Milano a Torino, Bologna o Firenze – ma sei del Sud e al Sud vorresti fare ritorno per Natale o Pasqua o l’estate, che i biglietti costino tanto, troppo, lo sai già. È solo e soltanto uno schifo, le compagnie aeree se ne approfittano, non si può manco più tornare a casa, il governo dovrebbe fare qualcosa, che vergogna eccetera.

Non è questo il punto, per quanto, sì: è solo e soltanto uno schifo e il governo dovrebbe fare qualcosa, ma figurarsi. Il punto è che il travaglio per chi lavora, studia, abita in una città, in una regione diversa da quella di provenienza o da quella in cui vive la famiglia d’origine, ecco, il percorso per noi inizia proprio lì, a settembre, quando cominciamo a discutere dei biglietti aerei per scendere, e va avanti, continua pur avendola già raggiunta, la meta, quando siamo giù.

Che succede a noi che scendiamo, quando scendiamo? Che succede a noi Millennial e Gen Z che scendiamo, quando scendiamo?

Parliamone.

Io scendo presto – i biglietti costavano una sassata sui denti appunto – e, pure se adesso, ora che scrivo, sono ancora a Milano, una previsione, anche piuttosto accurata, so farla, e qui sotto ti ci porto, giù a casa.

Andiamo.

Il cibo, i parenti, gli amici

Tornare al Sud per Natale è meraviglioso, questo, anzitutto, va detto e se necessario pure ribadito. Ritrovi la famiglia e gli amici che da giù non sono andati via, ritrovi la casa in cui sei cresciuto e i pub, i ristoranti in cui per anni hai passato il venerdì, il sabato sera, ritrovi il gatto, il cane di famiglia e paste, pizze, dolci che per farli su, magari da solo, sono troppo elaborati, la ricetta è lunga e chi ce l’ha, il tempo, ritrovi le strade in cui sei cresciuto, familiari in un modo che mai le vie della città che ti ha adottato sapranno essere, e persino, ogni tanto, l’edicolante da cui da bimbo ti fermavi a comprare le figurine dopo la scuola, il panettiere da cui ti facevi fare il morbidone imbottito.

Tornare al Sud per Natale è meraviglioso. Ritrovi tutto e tutti. Difatti, è il periodo in cui, più che in qualsiasi altro periodo dell’anno, convergono sulla città – Catania, com’è il mio caso, Palermo, Catanzaro, Potenza, Napoli, Bari, Lecce, L’Aquila, Chieti, Teramo: non importa, una al Sud – tutti. I parenti che vivono fuori, o all’estero o al Nord come te però in un’altra città, che non vedi mai, e che non è che sia proprio un problema che tu non li veda poi molto spesso, che di te sanno poco, e che quindi alla cena di Natale se ti intercettano ti tramortiscono di domande: ma quindi a Milano come va?

Mamma mi ha detto che scrivi pure sui giornali, bravo, e com’è? Gli amici che vivono fuori, anche loro o all’estero o al Nord come te però in un’altra città, che, anche loro, non vedi mai, e che sì, in questo caso è un po’ un problema che tu non li veda poi molto spesso, ti mancano, ci sei cresciuto assieme, ma dopo il liceo, forse dopo l’università avete preso vie diverse, che andavano in direzioni differenti, e quindi ormai li incontri proprio solo per Natale, per Pasqua, in estate, e con loro hai da recuperare un mucchio di cose, tu devi raccontarle a loro e loro a te, ché vi sentite, chiaro, WhatsApp e Instagram stanno lì apposta, però non è la stessa cosa, e così, quando li vedi, e li vedi pure senza un appuntamento, ché i pub che si frequentano in città del genere sono pochi e sempre gli stessi da dieci anni, dovete fare un lungo, assai ben dettagliato riassunto – mi sono lasciato, non sto più con Tizio, ho cambiato lavoro, mi sono trasferito, ho conosciuto una – che, naturalmente, poi sfocia nel pettegolezzo: i vecchi amici, i vecchi compagni di scuola, gli ex tuoi, i suoi.

Quelli che sono rimasti

Convergono tutti sulla città, dove trovi pure, naturalmente, chi dalla città non se n’è mai andato, non si è trasferito al Nord, e oggi sta a guardia del fortino e sa se c’è un pub, un bar, un ristorante nuovo e buono, e sa quale, invece, ormai ha chiuso, non ci andava più nessuno e facevano tenerezza a vederli, i vecchi proprietari, sempre soli al bancone, sa quali strade stanno riasfaltando, e assieme a loro, chiaro, fai lo stesso che hai fatto con quelli che vivono fuori e che non vedi mai: scambi gli aggiornamenti, vita sentimentale, lavorativa, eccetera. Incontri tutta questa gente, insomma, ma mentre la famiglia la incontri a casa, per il cenone del Ventiquattro, il pranzo del Venticinque, i vecchi amici li vedi di notte, quella del Ventisei, quella del Ventisette, i primi per mangiare fino a che riesci, sentendoti uno schifo per aver esagerato così tanto, di nuovo, anche se lo sapevi, che non dovevi, i secondi per giocare a carte a casa sua, per bere qualcosa a quel pub, a quell’altro. E nel frattempo, tra un incontro e l’altro, ti tocca il giro-parenti.

EPA

Quella vecchia zia di tua mamma, che da casa non si muove più ormai, poverina, ha una certa età, si alza a stento, però le fa piacere quando vai a trovarla e, visto che tua madre è cintura nera di senso di colpa, ci vai, la coppia di amici dei tuoi che ha una figlia con cui sei cresciuto, ma che ormai tu non senti da anni, ne vedi le foto su Instagram e basta, non eravate davvero amici, semplicemente eravate costretti a vedervi, da bambini, e che incontri a casa, in cucina, per sbaglio, una sera, ché sono a cena lì da te e tu stai uscendo, sei già vestito, ché stai per vedere i tuoi amici, però loro ti incagliano come un amo e, seduti, lì alla tavola di casa tua con i tuoi, ti fanno la loro mitragliata di domande che ti sparano addosso ogni anno, sperticandosi poi in complimenti per la loro, di figlia, che dicono essere bravissima, un asso in ciò che fa, ma tu, in vero, te la ricordi un po’ scema e su Instagram ti pare faccia meno di nulla, però, chiaramente, dici, e sorridendo anche, che non avevi dubbi.

E così, ancora e ancora e ancora. La mattina dormi fino a tardi, ché sei in ferie o agli esami universitari, per adesso, non vuoi pensare, pranzi con i tuoi più fratello o sorella, magari pure loro vivono fuori, magari sono rimasti giù, nel pomeriggio vedi quell’amico che altrimenti non vedresti ché è un cane sciolto, non è parte dei gruppi che frequenti, gruppi che, invece, poi vedi la sera, prima al ristorante forse, e poi di certo al pub per una birra, pub dove incontri tutti, proprio tutti. E il giorno dopo ricominci così e quello dopo pure e quello dopo pure e quello dopo pure, fino alla ripartenza.

Le luci

Sembra monotono, sembra una forzatura: in realtà è meraviglioso.

In molti credono che scendere, in casi simili, sia far incetta di fantasmi del passato, dovere incontrare i parenti muffiti con cui non hai alcun rapporto, gli amici che ormai battono una strada assai lontana e diversa dalla tua, e però no, non è così. Casa è casa.

E niente potrà mai essere altrettanto familiare e, banalmente, accogliente. C’è qualcosa nei ritorni che mi fa sempre stare bene, che mi piace da impazzire, e, pure se questo qualcosa non so esattamente cosa sia, so che quando scendo questo qualcosa è lì ad aspettarmi.

Le luci di casa sono diverse, più calde, e rimpallano sulle strade, le case, i volti di famigliari e amici, e ti aspettano, senza mai cambiare davvero, come un faro che, immobile, rassicurante, ti accoglie dopo la traversata. Scendiamo per le luci di casa.

© Riproduzione riservata