Qualche settimana prima di leggere Tutti gli indirizzi perduti di Laura Imai Messina, pubblicato da Einaudi, ho tenuto un breve seminario di scrittura creativa in un liceo internazionale, durante la “Reading and writing week”. Alle ragazze (e ai pochi ragazzi) che hanno partecipato ho parlato dell’importanza della lettura, condividendo con loro tra le altre cose, la citazione di David Foster Wallace sulla lettura come antidoto contro la solitudine, che dice in breve, «siamo tutti tremendamente, tremendamente soli. Ma c’è qualcosa nei romanzi e nei racconti che ti permette di entrare in intimità col mondo, con un’altra mente, in un modo in cui non puoi proprio farlo nel mondo reale».

Lettere catartiche 

Poi ho raccontato loro la storia di Kafka e della bambola. Per chi non la ricordasse, pare che Franz Kafka, un anno prima della sua morte, avesse incontrato un pomeriggio al parco Steglitz di Berlino una bambina disperata perché aveva perso la sua bambola. Di fronte a tante lacrime, Kafka disse alla bimba che la bambola non era scomparsa, me era partita per esplorare il mondo e che lui aveva raccolto una lettera che la bambola stessa le aveva scritto.

Così Kafka diede un appuntamento alla bambina il giorno successivo per leggerle la lettera “della bambola” e continuò a inventare lettere e avventure ogni giorno per più di un mese, riuscendo a consolarla. Partendo da questa storia ho chiesto agli studenti di scrivere una lettera a sé stessi da parte di una cosa, o una persona perduti. Ne sono venute fuori lettere molto belle e commoventi, da parte di una prima cameretta, un pupazzo smarrito in un trasloco, una nonna molto amata. I ragazzi hanno sperimentato sia una tecnica per affinare il punto di vista, sia il potere che hanno le parole di metterci in connessione con gli altri, anche a distanze che sembrano irrecuperabili.

Così, qualche giorno dopo, quando ho iniziato a leggere Tutti gli indirizzi perduti, sono rimasta colpita dal modo in cui il libro risuonava con questo esercizio: anche qui le lettere hanno una funzione sia catartica che consolatoria, ponte tra chi scrive e i destinatari, reali o immaginari, persi o solo lontani, conosciuti o sconosciuti.

Al centro del romanzo infatti c’è un ufficio postale che esiste davvero su una piccola isola giapponese, in cui da tutto il paese arrivano lettere scritte a un destinatario di cui non si conosce l’indirizzo. Negli anni questo ufficio postale ha ricevuto migliaia di missive indirizzate ai destinatari più disparati, dal primo amore al figlio morto prematuramente, dalla persona incontrata una volta su un autobus all’inventore di un oggetto che ci è utile, e, dettaglio niente affatto trascurabile, sono a disposizione di chiunque le voglia consultare, leggere, oppure, nel caso si riconosca nel destinatario, portarsele via.

Nella finzione romanzesca la giovane Risa, protagonista della storia, si trasferisce temporaneamente sull’isoletta, ufficialmente per catalogare e archiviare tutta la posta arrivata all’ufficio postale alla deriva, in segreto per cercare le lettere che sua madre, una donna molto amata e mentalmente instabile, le ha scritto negli anni.

Il potere della scrittura

La trama che si sviluppa avvolgendo di mistero e magia la ricerca di Risa, non nasconde mai due temi fondamentali che vengono fuori dall’esistenza di questo luogo unico al mondo. Innanzitutto il potere della scrittura. Se leggere come dice Wallace è un antidoto alla solitudine, scrivere, viceversa, può esserlo al senso di abbandono.

Tutte queste lettere, indirizzate a cose o persone “perdute” riescono a creare legami invisibili e preziosi, permettendo comunque a chi scrive di comunicare con chi non può rispondergli. E chi lo sa che la riva dalla quale gettiamo il nostro ponte mobile di frasi scritte, non riesca davvero a raggiungere l’altra anche se non la vediamo?

Se tutte queste persone hanno sentito l’urgenza di scrivere a un destinatario che con grandissima probabilità non riceverà mai la lettera quindi non risponderà, negando il senso stesso della parola “corrispondenza”, evidentemente è il gesto di scrivere che conta, conta il tentativo di consegna di ciò che si sente l’esigenza di condividere, anche solo con un lettore sconosciuto.

Sconosciuti 

E qui viene fuori l’altro tema fondamentale del libro, che è quello dell’importanza degli sconosciuti.

Tutti gli indirizzi perduti non è un libro consolatorio come potrebbe sembrare, è un libro che interroga il lettore su una questione cruciale dello stare al mondo, una questione in un certo senso anche politica.

Se la scrittura è un mezzo che connette menti sconosciute, se siamo disponibili a consegnare a chi non conosciamo alcuni dei nostri pensieri più preziosi e profondi, dobbiamo ammettere che l’atto che ci fa scrivere per essere letti da chiunque è un meraviglioso atto collettivo di fiducia.

Nel libro non solo c’è questa rete di interconnessioni invisibili tra sconosciuti costituita dalle lettere, ma l’isola stessa che ospita l’ufficio, è un luogo di accoglienza di stranieri, non solo virtuali. Un posto che si sta spopolando sempre di più, ma i cui abitanti si prendono cura della forestiera, che smette di essere straniera immediatamente.

A questa rete, nella vita di Risa si aggiungono le migliaia di persone che hanno fatto o fanno cose per lei senza che ne sappia il nome, i cui destini si intrecciano inesorabilmente. Dietro le buste senza destinatario si legge un invito a dare valore agli sconosciuti e a considerare ogni incontro, fatto di persona o solo tramite le parole come un’occasione di connessione e comprensione. E questo viene confermato anche dalla preziosa nota dell’autrice in calce al romanzo, in cui ci parla dell’errore di considerare importante solo chi ci è noto.

Ampliare l’orizzonte 

In un mondo che sembra dare sempre più importanza ai confini e ai nazionalismi, dove chi non appartiene al “gruppo” viene percepito come una minaccia, dove gli stranieri vengono trattati automaticamente come nemici, questo libro ci ricorda in filigrana quanto tutto questo sia profondamente contrario alla natura umana.

Messina, con questo bel romanzo, ci mostra infatti come gli sconosciuti possano diventare destinatari dei nostri messaggi più intimi, portatori inconsapevoli di speranze, dolori e ricordi. E non è affatto detto che le persone che ci vivono accanto siano davvero quelle che conosciamo meglio.

Dare valore agli sconosciuti significa aprirsi a un orizzonte più ampio, riconoscendo che siamo tutti interconnessi e la vera umanità risiede nell’accogliere l’importanza di chiunque come parte integrante della nostra esperienza. E scrivere e leggere ci aiutano a costruire questa interconnessione, e a sentirci meno soli, in poche parole, più umani.


Tutti gli indirizzi perduti (Einaudi 2024, pp. 240, euro 19,50) è un romanzo di Laura Imai Messina 

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