Le due conversazioni inedite con Yasmina Reza e Emanuele Trevi sono incluse nel nuovo numero della rivista quadrimestrale del Centro sperimentale Cinematografia Bianco e nero diretta da Alberto Crespi e pubblicata da Edizioni Sabinae. Il numero, curato da Paolo Di Paolo, è interamente dedicato a Nanni Moretti, per i settant’anni del regista
Se chiudi gli occhi e dico Nanni Moretti, l’immagine o il fotogramma che ti viene in mente. La prima cosa.
Ti rispondo senza esitazione e ti rivelo un mio piccolo rito. Devi sapere che ogni mattina io vado al bar e bevo per prima cosa un bel bicchiere d'acqua, e non posso non pensare allo splendido finale dell'episodio sulla malattia in Caro diario. Più in generale, penso di essere stato profondamente influenzato dalla maniera di raccontare l'esperienza usata in quel film e nel successivo. E credo che questo valga anche per molti tuoi libri. Voglio dire che sicuramente Nanni Moretti ha un posto di tutto riguardo nella storia del cinema, ma, come Andrea Pazienza, scrive meglio di tantissimi scrittori! Perché è un uomo libero, capace di tenersi stretto al significato soggettivo delle cose, senza ricorrere a una stucchevole universalità.
A proposito di uso dell’io: all’ultimo film, Il sol dell’avvenire, parte della grancassa social sembra reagire puntando il dito sul narcisismo. Ah, troppo narciso! Curioso, detto da una folla di narcisi. Ma soprattutto: sono gli stessi che esaltano ogni forma di autofiction – soprattutto se prodotta dagli amici. Tu che hai sempre usato il tuo io come filtro, come perno del racconto, come la vedi sul tema?
Non seguo i social (non per senso di superiorità, ma per vecchiaia incipiente) ma insomma, cosa hanno da eccepire, dove lo trovano uno come Nanni Moretti? Anche a lui, d'altra parte, non piacciono tante cose... A parte tutte le punzecchiature, non si può confondere il narcisismo con la soggettività, è un grave errore, è come se dicessimo che Céline è narcisista! A partire dai suoi esordi, Moretti ha sempre registrato una reazione individuale, irripetibile come un'impronta digitale, alla pressione del mondo. Direi che è credibile perché non è affidabile. Ma come potrebbe essere diversamente per un animo poetico? Non gli interessa la sociologia, o l'estetica del cinema intesa come lingua collettiva. Ti può piacere più un film di un altro, ovviamente, ma gli va riconosciuta la coerenza artistica complessiva. Quanto al concetto di auto-fiction, nel quale mi identifico abbastanza facilmente come scrittore, secondo me a lui va stretto, bisognerebbe semmai considerare più attentamente le sue straordinarie qualità di attore oltre che di regista.
Ti chiedo ancora due cose. Una sulla tecnica del pastiche, della scrittura “impura” – a te molto congeniale – i cui tratti si colgono in Caro diario e Aprile in particolare. E l’ultima è di offrirmi il racconto di una singola scena che ami in particolare nella sua filmografia.
Per quanto riguarda la tecnica narrativa di film come Caro diario o Aprile, si tratta di quel tipo di opere "aperte", non esattamente nel senso di Umberto Eco, in cui un artista può riversare praticamente tutto quello che ha imparato nella vita. Nell'introduzione a Musica per camaleonti Truman Capote ha spiegato meglio di chiunque altro le regole di questo gioco che solo apparentemente è privo di regole. Nello stesso tempo, per un fecondo paradosso, queste opere rappresentano sempre un particolare momento della vita dei loro autori (non a caso, la battuta più famosa di Caro diario è quella dello «splendido quarantenne»). Al contrario, le forme più classiche, sia nella letteratura che nel cinema, esigono rinunce, impongono criteri di efficacia più stringenti: la divagazione diventa qualcosa da eliminare, o da contenere drasticamente. questo non vuol dire che Nanni Moretti avrebbe dovuto sempre fare film come Caro diario o Aprile! Noi critici tendiamo a privilegiare solo quello che ci assomiglia, come un investigatore può rimanere cieco di fronte a indizi che non rientrano nella sua teoria.
La scena che in assoluto prediligo nel cinema di Nanni Moretti (e non credo di essere il solo) è l'irruzione di E ti vengo a cercare in Palombella rossa – prima la voce sua, dico di Moretti, poi di tutto il coro dei tifosi sugli spalti. Così si fa, così si crea un'emozione reale, il resto sono chiacchiere da studiosi. Una notte di insonnia, durante il lockdown, ho rivisto il film e ho pensato: ecco, se riuscissi a trovare una soluzione narrativa così a un dato momento problematico di un mio libro... sarei un grande. Perché in quel momento la storia rischia di trovarsi di fronte a un muro, e i muri o ci scavi sotto o li salti. Non c'entra niente la bellezza del capolavoro di Battiato, è proprio come diventa parte di un'altra storia che mi commuove profondamente. Tutto è perfetto, anche la difficile immobilità dei giocatori nell'acqua. Io credo, ma te l'ho già detto, che Moretti sia un grande attore almeno tanto quanto è un grande regista. La sua maniera di entrare nelle sue inquadrature rende le due cose indistinguibili, mi fa pensare al cinema di Buster Keaton.
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