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Carramba che fortuna stagione Novantanove/Duemila, con quel me desiderato e mai stato: pubescente, tremolante, si scopre protagonista della carrambata.
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Tutto illuminato dai raggi biondi, mamma, di quella signora che amavi (davvero: amore schiacciante da dea) come un fossile dei tuoi giorni belli, sintomo di quella tua migrazione dal bianco e nero al colore.
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Mamma: dovevamo scoprirci uniti dalla morte del seme delle nostre infanzie televisive – e senza dirci quanto grande sia questo mio/tuo/nostro strano star male, questo svelarci stanchissimi e svuotati – senza più sorprese, senza più ballare.
Mamma, ciao, senti, lo so che fa male,
ma guardalo anche tu
questo video su YouTube:
è rimasto incastrato per ore qui
in questa mia retina inumidita –
nello scorrere inesausto dei meme,
dei post, degli omaggi, mi sono messo
alla ricerca di un ribaltamento:
«Stanno commemorando un manifesto
della peggiore Italietta più cringe»,
ho pensato: e mi fa
una vergogna strana,
questo impeto stupido e finto critico
(ferito di ferite immaginarie),
mentre me ne sto qua
lo schermo una membrana
che si squarcia, ed esonda sgranata
una (quella) puntata,
Carramba che fortuna
stagione Novantanove/Duemila,
con quel me desiderato e mai stato:
pubescente, tremolante, si scopre
protagonista della carrambata:
una Britney Spears, un triste lip-sync –
tutto illuminato dai raggi biondi,
mamma, di quella signora che amavi
(davvero: amore schiacciante da dea)
come un fossile dei tuoi giorni belli,
sintomo di quella tua migrazione
dal bianco e nero al colore,
motivando con sintesi semiotica:
«per quella sua risata»
contundente perché uguale alla tua:
ora vivida solo di dolore,
come tutto ciò che mi/ti/ci manca:
guardalo anche tu questo schermo/tela,
senti come ci vibra tra le dita:
ogni suo ridere è un colpo:
mi/ti/ci fa sussultare di brividi,
mamma: dovevamo scoprirci uniti
dalla morte del seme
delle nostre infanzie televisive –
e senza dirci quanto grande sia
questo mio/tuo/nostro strano star male,
questo svelarci stanchissimi e svuotati –
senza più sorprese, senza più ballare.
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