- Aspirazionale è una parola che ho imparato a Milano da professionisti del Marketing, reparto si occupa di creare una nuova lingua ibrida tra italiano, inglese e powerpoint. Vuol dire: vorrei ma non posso.
- La settimana bianca è il mio sogno aspirazionale: sono tornato a sciare di recente, avevo solo preso qualche lezione da piccolo nei viaggi con la scuola, da cui tornavi con qualche nozione tecnica ma più facilmente con la mononucleosi.
- Vorrei ma non posso è guardare con invidia l’attrezzatura del vicino di seggiovia e pensare a quanti funghi stai prendendo con i tuoi scarponi in affitto.
Lo sapete cosa vuol dire “aspirazionale”? È una parola che ho imparato lavorando a Milano, e in particolare a contatto con professionisti del marketing, reparto apparentemente funzionale al commercio e all’impresa, ma che realmente si occupa di creare una nuova lingua ibrida tra italiano, inglese e PowerPoint.
Se ne cercate la definizione su Google non troverete la voce del vocabolario Treccani, che non la contempla, bensì, come primi risultati, due pagine assai più esplicative. La prima parla di una “classe" aspirazionale, una élite che pone al centro dei propri interessi e valori l’ambiente, la qualità della vita e delle relazioni – solo loro, noi no, a noi ci fanno schifo.
La seconda pagina parla di “brand aspirazionale”: per esempio, i marchi di lusso fanno leva sul senso di appartenenza ad una classe “ricca e importante” che il possedere un certo prodotto può dare.
Vorrei ma non posso
Il primo risultato è del sito della regione Lombardia, il secondo ha la parola marketing nell’indirizzo, ma declinata come fosse un gerundio, marketingando – un gerundio di un gerundio! Visto? Tutto confermato.
Quindi, azzardo io una definizione di aspirazionale più terra terra: vorrei ma non posso. Tipo l’olio al tartufo. O visto che abbiamo appena passato il carnevale, le chiacchiere al forno anziché fritte.
La neve a Roma
Sia chiaro, non sono venuto qua per fare la morale, tutt’altro: io sono pienamente aspirazionale (non so se si usa così). Vi scrivo dalla mia stanza di hotel sulle Alpi: la settimana bianca, almeno per me, è la quintessenza dell’aspirazionalità nella mia vita.
Partiamo dal fatto che, se nasci nel Lazio, sciare non è tra gli sport a cui ti iscrivono i tuoi da bambino. Karate o Judo, invece, andavano forti, anche se non proprio autoctoni.
La stessa neve è per noi un evento magico, surreale, che ti inchioda alla finestra e paralizza la città. Come? Roma si paralizza anche per la pioggia, gli scioperi, la settimana della moda a Milano per solidarietà? È vero, ma la neve resta uno dei pochi eventi collettivi che unisce la città, nel bene e nel male, come lo scudetto della Roma o il Giubileo.
Tornare sulle piste
Se quindi entri in contatto con gli sport alpini le cose sono due: o sei figlio di genitori ricchi, o vorresti esserlo. Non sto neanche a dirvi a quale delle due categorie appartengo, vi dico solo che ho preso qualche lezione da piccolo nelle settimane bianche organizzate alle medie e al liceo, da cui tornavi con qualche nozione tecnica ma più facilmente con la mononucleosi.
Dopo circa 15 anni di assenza dalle piste, mi sono deciso a tornare a sciare, da adulto: a chiusura di un cerchio aspirazionale che costruivo da tempo con il mio lavoro da manager, il bilocale a Milano e una skin care routine acquistata ma mai messa davvero in pratica con costanza. Debutto, a inizio 2020. Poi sapete cosa è successo, ora timidamente ci riprovo.
Impreparato
Non sono uno sportivo, quindi sicuramente semplifico troppo dicendo che il senso di tutti gli sport alla fine è muoversi, importa poco se appresso a una palla o lungo il perimetro di un campo. Lo sci però è quello sport che rende il muoversi assai complicato: innanzitutto non lo fai ovunque, ma solo in montagna. Poi serve la neve. Poi un impianto di risalita. Per poi scendere velocemente in pochi minuti a valle. E così via, a ripetere per diverse ore in una giornata.
E ciò nonostante, io, che mi annoio anche a fare cinque minuti di stretching a casa, aspiro tantissimo a sciare.
La mia natura intrinseca da vorrei ma non posso si manifesta ancora prima di partire. Solo io riesco a ridurmi all’ultima settimana di febbraio per comprare le cose che mi mancano. Tra saldi, stagione sciistica finita e primavera in anticipo, si trova ben poco. Sugli scaffali: due guanti spaiati, un po’ di calzettoni numero 45-47, una felpa di pile da bimbi, degli occhiali rigati.
Sono riuscito per caso a trovare una maglia termica che mi andasse bene, per il resto vado impreparato, la cifra stilistica della mia vita.
Ultra force
L’outfit da piste da sci merita una menzione speciale quanto ad aspirazionalità. Già gli indumenti tecnici di per sé costano parecchio, ma si capisce subito chi può e chi non può.
Ovviamente io ho la linea base della principale catena di abbigliamento sportivo per le masse, ci siamo capiti. Un banalissimo blu, senza particolari fronzoli.
Non nego però che vorrei tanto quei completi con fantasie appariscenti, color evidenziatore e vari accessori che neanche Samantha Cristoforetti in missione sulla Stazione spaziale internazionale. Occhiali giganti con lente d’oro riflettente. Casco in titanio special edition Daft Punk. Sulle giacche, parole che evocano magnificenza ed eroismo, come “High”, “Ultra”, “Force”, “Altitude”, e numeri a vari zeri a indicare, credo, il prezzo dell’indumento.
Riportatemi qui
Non sto neanche a precisare che non possiedo l’attrezzatura, la noleggio. E mentre sbircio con desiderio i fiammanti sci “Speed Power 2000” del mio vicino di seggiovia, guardo i miei, “Normal Ski 30 euro al giorno”, rigati e scoloriti da tanti utilizzi, e mi chiedo quali funghi mi riporterò a casa dopo aver indossato per una settimana quegli scarponi senza neanche più un nome.
Poi, che apirazionalità sarebbe se non la mostri a nessuno? Vedo un sacco di persone con la Go Pro sul casco, quella microcamera da sport estremi per riprendere la discesa. Ma con quale voglia poi ti riguardi ore di discesa sulla neve bianca?
Già i flimini delle vacanze sono una tortura, da cui siamo stati esentati grazie solo ai social network. Non vieni a casa mia a vedere due ore e mezza sul mio viaggio in Marocco? Nessun problema, te le becchi in diretta su Instagram per la settimana in cui sono giù e per le due successive in cui ti inonderò di video e foto con didascalia “Riportatemi qui”.
Turismo sexy
Ovviamente, avrete capito, io non ho la Go Pro sul casco, ma in piena aspirazionalità ho provato a fare un video mentre scendevo una pista. Ho incastrato alla bell’e meglio il telefono nel taschino della tuta – un taschino con l’apertura verticale, sempre per quella storia di accessori base, niente fronzoli, e quindi il telefono stava in orizzontale.
Il risultato: un angosciantissimo video di solo neve e punte degli sci, rumore di sciare ma anche del mio fiatone, ogni tanto brusche virate e buio improvviso perché la fotocamera rientrava nel taschino.
Dopo circa venti secondi avevo i conati.
Però è sulle piste che vanno fatti video e foto, molto meno in paese. Non ho girato molte località sciistiche, in particolare non quelle da veri ricchi, quelle che hanno un nome che si abbrevia per dare l’impressione di confidenza, tipo Courma o Madonna.
Sono stato però in alcune abbastanza turistiche, e le ho sempre trovate dei luoghi affascinanti, senza tempo. Letteralmente: sono quasi tutte ferme agli anni Ottanta, con un’architettura surreale, degna dei più storici Autogrill. Suppongo ci sia stato un grande sviluppo turistico in quel decennio, forse per le commedie sexy sulla neve, forse perché l’abbigliamento di quegli anni era perfetto per le piste, forse per: inserire battuta a piacere allusiva a neve/piste/polvere bianca.
Togliersi gli scarponi
Ma poi, c’è un decennio più aspirazionale di quello?
Se l’architettura è ferma agli anni Ottanta, i prezzi sono futuristici, così alti che credo accettino criptovalute per pagare una spesa al minimarket. E poi, perché ovunque, in tutto l’arco alpino, i ristoranti più diffusi e consigliati sono le pizzerie?
E poi arriva la parte che più preferisco: le pause in alta quota. Dopo neanche due discese, è il momento di uno strudel al rifugio.
Mi piacciono per la vista, per l’aria frizzante, per il cibo, ma soprattutto per la fauna. Decine di persone che si tolgono caschi e visiere e mostrano volti stravolti e sudati, color terracotta, come se avessero appena aperto un forno per controllare l’arrosto. Con questi scomodissimi scarponi ai piedi, un po’ Lady Gaga in Bad Romance (cercate le scarpe Armadillo di McQueen), un po’ dei tirannosauri spaesati dopo il meteorite, riemersi in piena glaciazione.
No, in realtà la parte che preferisco è sempre togliermi quegli scarponi e i vestiti sudati di dosso, a fine giornata. Alla fine si riduce tutto a questo: complicarsi un sacco le cose, faticare, farsi un po’ male e scottarsi il naso, per poi godersi il meritato riposo. È dura la vita aspirazionale, ma quante soddisfazioni.
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