Rispetto agli esordi, con l’arrivo del successo di massa la sua trama è diventata più scontata e meno audace. Si spera che non segua la stessa parabola Noi siamo leggenda, che rappresenta i ragazzi nell’èra post narcisista
Nella fenomenologia di Mare fuori, la fiction dei record giunta alla quarta stagione, si può inserire un nuovo capitolo che racconta come un successo senza precedenti possa agire per sottrazione sulle sceneggiature invece che come moltiplicatore di libertà espressiva.
Perché a distanza di quattro anni, e dopo essere stata divorata da milioni di telespettatori, questa serie – che è nata unica – è diventata squisitamente commerciale, qualcosa di già visto in mille forme diverse, a metà strada tra Gomorra e una telenovela sudamericana.
Le ragioni del cambiamento
Rispetto agli esordi, infatti, la trama è sempre più scontata e sempre meno audace. I flashback che erano la vera cifra della serie diventano sempre più marginali appiattendo la linea del tempo narrativo.
Nell’ultima stagione, in onda in queste settimane, il ricambio tra i protagonisti è praticamente nullo perché si è scelto di radicalizzare il racconto sui personaggi più amati nelle puntate precedenti.
Come ha spiegato Massimiliano Caiazzo, che interpreta il giovane Carmine Di Salvo, ospite di Stasera c’è Cattelan: «È cambiata la modalità in cui raccontiamo le storie, in questa stagione ci siamo più concentrati sul tema delle relazioni tra adolescenti che abbiamo visto essere una cosa che il pubblico chiedeva molto».
Si chiude così il cerchio del compiacimento, quella dinamica che i social network hanno portato agli eccessi e che gli altri grandi mezzi di comunicazione imitano a dismisura, per la quale bisogna dare agli utenti quello che gli utenti si aspettano di ricevere. Solo zone di conforto e zero zone d’ombra.
Forse si può leggere sotto questa lente il fatto che Cristiana Farina, ideatrice e sceneggiatrice di Mare fuori, abbia annunciato che non parteciperà alla scrittura della quinta e della sesta stagione già in programma. Non è detto che la decisione abbia a che fare con un certo tradimento del soggetto cinematografico originario. Quel che è certo è che la quarta stagione rappresenta la conclusione ineludibile di un ciclo.
Basti pensare che sono state rilasciate due ulteriori puntate, rispetto alle 12 consuete, che sembrano quasi un testamento – con un’eredità pesantissima per gli autori che verranno.
Il motivo, ha spiegato il regista Ivan Silvestrini, anche lui ai saluti finali, è che «volevamo fare un film di Mare fuori ma siccome la priorità è sempre quella di riuscire a uscire con una stagione ogni 12 mesi, quest’anno non ce l’abbiamo fatta».
Il paradosso
Fa una certa impressione pensare alla settima arte come a una fabbrica totalmente automatizzata, così subordinata alle logiche del fast fashion, così in ostaggio degli ordinativi.
Oltre a essere un vero peccato – perché per stare dentro tempi così definitivi bisogna sacrificare il tempo incerto dell’esperimento – è una beffa perché il grande pubblico rischia di scoprire Mare fuori solo quando Mare fuori è diventato altro.
Così sembra che la maledizione dello share, del dio mercato, si abbatta per ben due volte sul gioiellino della Rai: trattato da anatroccolo quando era un cigno e acclamato come fosse un cigno quando ormai si è trasformato in un brutto anatroccolo.
Agli inizi del 2022 Cristiana Farina sembrava abbastanza arrabbiata: in alcune storie pubblicate sul suo profilo Instagram lamentava una certa disattenzione da parte dei principali quotidiani nei confronti della serie.
In gergo giornalistico si chiamerebbe «buco», un enorme buco bianco al centro della pagina del quale nessuno all’epoca, incomprensibilmente, si accorge. Gli ascolti della prima stagione, disponibile da settembre 2020, non vengono considerati rilevanti anche se ogni puntata supera il milione e mezzo di audience. Non esattamente un flop, anzi.
Ma la critica non se ne occupa, nonostante la serie sia un piccolo capolavoro d’autore. E nonostante sia ambientata, in maniera inedita, in un carcere per minorenni in un periodo storico che corrisponde alla cosiddetta seconda ondata, in cui l’Italia riprecipita sgomenta nell’incubo Covid.
Perciò in un momento in cui, per un giro assolutamente imprevisto del destino, i ragazzi che stanno fuori possono riconoscersi come mai in passato nei desideri di evasione di quelli che stanno dentro.
In streaming
Passa un anno e la seconda stagione registra numeri ancora più bassi sulla televisione lineare ma anche una novità che qualcosa lascia presagire, dell’effetto Mare fuori sul digitale.
Le prime due puntate vengono infatti trasmesse in anteprima su RaiPlay, segno che forse il pubblico della serie sfugge alle indagini ordinarie sugli ascolti. La conferma arriva due mesi più tardi, quando on-demand raggiunge 30 milioni di visualizzazioni, in prevalenza tra gli under 45.
Numeri importanti che consentono l’approdo su Netflix a partire dall’estate 2022. È solo grazie alla presenza sulla piattaforma americana a pagamento che i boomer che muovono opinioni su internet scoprono l’esistenza di una serie tv che già da due anni sarebbe disponibile gratuitamente sulla piattaforma del nostro servizio pubblico e che il fenomeno esplode anche sui giornali.
I quali, in troppi casi, ormai si limitano a farsi imboccare da influencer e algoritmi per stabilire quale gerarchia dare alle notizie o ancora peggio definire cosa sia notiziabile e cosa no.
Giornali che dimostrato di non saper più cogliere la qualità di un prodotto televisivo in maniera incondizionata rispetto ai punti di share. Cioè rispetto al fatto che il pubblico abbia già deciso – autonomamente, senza che la stampa gli abbia offerto un appiglio – che quel programma valga la pena di essere visto.
È in questo contesto, a giugno 2022, che Mare fuori è terza su Netflix dopo due colossi come Peaky Blinders e Stranger Things.
Un fantasy di successo
Il resto è storia. Ma perché questa storia non si ripeta in farsa forse si può citare Noi Siamo Leggenda, un fantasy italiano trasmesso, sempre su Rai2, alla fine del 2023: pure in questo caso ascolti scarsi sulla tv tradizionale e poco clamore mediatico, ma anche un quinto posto su RaiPlay e il terzo su Prime Video.
La storia è quella di cinque ragazzi dotati di alcuni superpoteri: quando Massimo non riesce a gestire la sua rabbia le sue mani diventano incandescenti; Lin, poco a suo agio nel suo corpo, può assumere le sembianze di chiunque altro; Greta, che non è riuscita a salvare il fratello vittima di una rapina, può fermare il tempo; Jean, apparentemente algido, è in grado di rimarginare ogni sua ferita senza provare dolore; Andrea, nato con un problema congenito al cuore, ha la facoltà di ridare vita a esseri umani e animali che l’abbiano persa.
In comune,
M are Fuori e Noi Siamo Leggenda, hanno due cast di altissimo livello, a cominciare dai volti che condividono: Pia Lanciotti, Nicolas Maupas e Giacomo Giorgio (il primo un po’ in ostaggio del ruolo del Chiattillo, il secondo totalmente emancipato da quello di Ciro Ricci).Ma si assomigliano anche per l’attenzione riposta nelle colonne sonore (di Stefano Lentini e Matteo Buzzanca) che diventano protagoniste assolute e che in modo insolito, e geniale, agganciano il consumo di una serie tv a Spotify, una delle piazze più frequentate dal target Z.
Adulti e teen
Soprattutto, entrambe indagano il rapporto tra adulti e adolescenti negli anni Venti. Solo in apparenza si tratta di due romanzi di formazione. In realtà, e questo spiega un successo che è diventato trasversale, fotografano gli esiti nefasti di una società in cui i genitori attribuiscono ai loro figli un ruolo di guida. Questi figli dell’età post-narcisistica sono chiamati a risolvere i guasti di padri, madri, educatori, guardie.
A crescere precocemente, perché quelli che dovrebbero essere i loro maestri non hanno ancora superato l’età della loro infanzia emotiva. E infatti il pubblico over si esalta per il coraggio di Carmine o la maturità di Rosa e si affeziona alle contraddizioni di Edoardo o alla follia di Viola. Invece di sentire in quel coraggio e in quella maturità obbligati, o in quelle fragilità inascoltate, il proprio fallimento. Non lo sente anche se gli autori, almeno fin qui, ce lo hanno gridato in faccia.
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