Questo è un nuovo numero di Cose da maschi, la newsletter di Domani dedicata a nuovi e antichi paradigmi di genere. Per iscriverti gratuitamente alla newsletter, in arrivo ogni due mercoledì alle 18.00, clicca qui
Qui in America stanno finendo gli esami, sta cominciando l’estate. Vedo il New England fiorire, vedo Marco Mengoni portare sul palco dell’Eurovision molti più colori dei soliti tre nostrani, e comincio a pensare che anche la nostra newsletter, magari dopo l’imminente numero cinquanta, potrebbe prendersi una pausa estiva.
Il ritmo più lento di questa stagione di Cose da maschi ha reso organico, meditato, il passaggio dalle cose alle relazioni, dalle dude things alla bromance, e ha divorziato le nostre epistolari riflessioni ancora più decisamente dai fatti del giorno, dalle contingenze – che pure meriterebbero approfondimenti: chi di voi volesse riflettere, in chiave di genere, intorno alle intimidazioni contro gli intellettuali, agli aspiranti (o effettivi) autocrati sulla CNN e in ballottaggio, al bolero verde di Käärijä o alle grottesche campagne d’immagine del corrente governo, mi scriva!
Le contingenze tuttavia rimangono, e immagino che se leggete queste lettere saprete ben indovinare come mai, due settimane fa, ho detto a Didier Falzone che stavo pensando di dedicare un numero ai funerali. O meglio, a cosa ci si aspetta che i maschi facciano ai funerali.
Ero preso in particolare da un’immagine in realtà da film, che credo di non aver mai visto davvero di persona: quella di un gruppo di maschi che si issano in spalla la bara di qualcuno che hanno amato, e la accompagnano, camminando all’unisono, presso la comunità che ne celebrerà le esequie, e di lì fuori dal consesso di chi, ancora, vive.
Non è una delle immagini classiche che innescano i pezzi di questa rubrica, e infatti Didier ne è rimasto inizialmente sorpreso. Ha poi pensato alla tomba di Philippe Pot al Louvre, e a quella di Edoardo di Woodstock – che ama per due motivi, e cito dal suo messaggio: «Uno, perché si chiama The Black Prince, ed è tanto dire. Due, perché al di sopra del baldacchino campeggiano tutti gli accessori per un look da eventuale resurrezione, e un pet, che siccome in foto non si vede mai bene voglio ipotizzare sia un gatto». E ha dunque finito per produrre due splendide, delicate immagini, che penso v’incanteranno.
Con l’aiuto di Capitan America e della famiglia di Giorgio III d’Inghilterra, in questo macabro numero pensieroso di Cose da maschi ho cercato di intessere insieme una serie di preoccupazioni che ho sui legami di sangue (o meglio, non-di-sangue), sulla manifestazione pubblica dell’amore e del dolore, su come siano invitanti certi ruoli che il patriarcato ci propone a causa del genere in cui ci riconosciamo, coi suoi modelli e imperativi.
È tra i più intimi, personali articoli che abbia scritto su Domani, ma rileggendolo mi rendo conto che non si direbbe. Sarà che l’immaginario del lutto, coi suoi in fondo sporadici appuntamenti rispetto alla persistenza quotidiana di quel che di solito abita questa rubrica, è più difficile da guardare per storto, obliquamente, di sottinsù, attraverso la lente dell’autocoscienza maschile.
La domanda di fondo è: perché mi pare che portare virilmente un peso, magari condiviso con una squadra di maschi ugualmente pronti a offrire un solenne servizio (a offrire una spalla invece che un grido, il corpo invece che il sé), mi trarrebbe d’impaccio al cospetto del lutto appunto, così impermeabile al costruttivo potere di una decostruzione fatta come si deve? Ma non so se riesco a spiegarmi, e vi linko dunque quello che ho scritto, accessibile qui su Domani online e in arrivo in edicola sabato, come al solito. Chissà quale delle due illustrazioni di Didier sarà scelta per il cartaceo….
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