- Il Museo del Novecento di Firenze celebra questa “collina dell’utopia” con la piccola ma significativa mostra: Monte Verità – Back to Nature, in scena sino al 10 aprile di quest’anno, curata da Chiara Gatti, Nicoletta Mongini e Sergio Risaliti.
- La zona di Ascona costituisce una sorprendente anomalia magnetica nota ai fisici e ai geologi, dovuta alle caratteristiche del sottosuolo e dei suoi strati di roccia ultrabasici che provengono direttamente dalle profondità della crosta terrestre.
- Ma il Monte Monescia, il Monte Verità, è a tutti gli effetti una montagna sacra, un luogo in cui si manifesta la presenza del divino e il divino, per i nostri amici, era la natura.
Una collina, o meglio un piccolo monte, sovrasta la cittadina di Ascona e il lago Maggiore, nel Canton Ticino, Svizzera. Il nome originale dell’altura, che svetta a 312 metri sul livello del mare, era Monte Monescia. Oggi è noto, in tutto il mondo, come Monte Verità. Lì, un gruppo di persone originali e visionarie, riunite attorno a Henri Oedenkoven e al fratello Gustav, figli di agiati industriali di Anversa, con Ida Hofmann (insegnante di pianoforte montenegrina), Gusto Graser (artista transilvano), il fratello Karl (ufficiale dell’esercito austriaco) e Lotte Hattemer, fondò agli inizi del ventesimo secolo una colonia in cui si propugnava una filosofia di vita basata sul ritorno alla natura, sulla liberazione dai vincoli sociali, sul vegetarianismo, sulla vita all’aria aperta, la teosofia, la euritmia, la omeopatia, il nudismo, i bagni di sole. Il gruppo ribattezzò il Monte Monescia, Monte Verità.
Pochi fenomeni del Novecento hanno avuto una influenza così sottile e pervasiva sul pensiero quale ebbe Monte Verità. Non vengono alla mente altre comunità utopiche così influenti. Forse, anche se privo di un vero centro e assai sfilacciato, il movimento hippie negli anni Sessanta, presto disintegrato in mille sette, rivoli e contraddizioni letali.
La centralità intellettuale
Adesso il Museo del Novecento di Firenze celebra questa “collina dell’utopia” con la piccola ma significativa mostra: Monte Verità – Back to Nature, in scena sino al 10 aprile di quest’anno, curata da Chiara Gatti, Nicoletta Mongini e Sergio Risaliti. Il colpo di scena, oltre ai magnifici materiali provenienti dalla Fondazione Monte Verità e dalla collezione Harlad Szeemann, sono i nomi di chi vi è passato, vi ha dimorato, pensato e agito.
Da soli rivelano la centralità intellettuale di quella esperienza: Michail Bakunin, Petr Kropotkin, Isadora Duncan, Karl Kautsky, Hugo Ball, Hemmy Hennings, Hans Arp, Hans Richter, Walter Gropius, Paul Klee, Marianne von Werefkin, Alexej von Jawlensky, El Lissitzky, Herman Hesse, Carl Gustav Jung, Rudolf Steiner, Bruno Taut, James Joyce, Helena Blavatsky, Rainer Maria Rilke, probabilmente Lenin e Trotsky, Josef Albers, Herbert Bayer, Lazlo Moholy-Nagy, Marcel Breuer, sino a Szeeman; si fa prima a dire chi non ci è passato.
Il divino della natura
Ma, prima di narrare la storia e la filosofia di questo luogo straordinario, la domanda da porsi è: perché lì? Certo, si spostavano dal clima non esattamente temperato del Nord Europa (Anversa, Berlino, Vienna…) al sud e al microclima mediterraneo generato dalla montagna e dal Lago Maggiore, sospesi sul vecchio borgo di Ascona, dove prosperano anche le palme. Ma perché proprio lì?
La zona di Ascona costituisce una sorprendente anomalia magnetica nota ai fisici e ai geologi, dovuta alle caratteristiche del sottosuolo e dei suoi strati di roccia ultrabasici che provengono direttamente dalle profondità della crosta terrestre. Si diceva che le radiazioni emesse dalla montagna facessero perdere la rotta agli strumenti degli aerei che la sorvolavano, circostanza questa che la compagnia di bandiera svizzera (Swissair) tuttavia negò. Ma il Monte Monescia, il Monte Verità, è a tutti gli effetti una montagna sacra, un luogo in cui si manifesta la presenza del divino e il divino, per i nostri amici, era la natura.
Non è ancora stata analizzata la potenziale influenza che le anomalie magnetiche del sottosuolo possono esercitare sul campo magnetico del corpo umano (che è una realtà misurabile) e su quelle del microclima, ma, a giudicare dalla fioritura di intelligenza e pensiero che promanò dalla comunità utopica di Ascona, certamente tale influenza non si può escludere. Non è casuale che il grande storico dell’arte Harald Szeemann, che nel 1978 ha curato ad Ascona la fondamentale monografia (e mostra) dedicata alla “collina utopica”, l’ha definita il triangolo delle Bermuda dello spirito.
In un luogo magico
Dunque, i Balabiott si stabiliscono in un luogo di per sé magico, magnetico. Oggi, parole come omeopatia, euritmia, sostenibilità, dieta vegetariana, sono a tutti note e senza mistero, allora non era così. Persino la teosofia, teoria esoterico/sincretica secondo cui tutte le religioni del mondo provengono da una unica fonte comune, che punta alla fratellanza universale senza distinzioni di sesso, razza, casta o credo, è oggi cosa nota, soprattutto nel suo spin-off elaborato da Rudolf Steiner dopo l’abbandono della società teosofica di Helena Blavatsky.
Il centro si spostava dal divino (teosofia, ossia sapienza di Dio) all’umano (antroposofia, ossia sapienza dell’essere umano) ma sempre di contatto con la dimensione spirituale si tratta (l’euritmia, l’arte del movimento, per Steiner, sarebbe in grado di connettere chi la pratica al mondo soprannaturale, attraverso una danza armonica codificata).
Balli e mostre
I fondatori giungono ad Ascona mossi da un comune ideale, vestono indumenti “riformati”, creano oggetti utilizzando elementi naturali, hanno i capelli lunghi, lavorano giardini, disegnano, dipingono, suonano, costruiscono capanne in legno, danzano (sovente nudi) secondo canoni euritmici, fanno bagni di sole e nuotate nel lago, si cibano di verdura e frutta. Un sistema cooperativo e utopico, una società ideale che, oltre a coltivare la mente e lo spirito, promuoveva l’emancipazione della donna, il pensiero libero e l’anarchia come modello sociale del genere umano emancipato, il contrario del disordine, concetto che il termine inevitabilmente evoca.
Nel biennio fra il 1975 e il 1977 Szeeman presenta la mostra Le macchine celibi, che fa tappa dalla Svizzera alla Biennale di Venezia. La definizione di “macchine celibi” era stata ideata da Marcel Duchamp per una sezione del suo grande vetro, che indica una macchina inutile, a circolo chiuso, di pura entropia, che consuma più energia di quanta ne produca, e che si è poi esteso a numerose macchine fantastiche, non solo letterarie. Szeemann progetta due eventi successivi, mai realizzati, che avrebbero dovuto comporre un trittico di mostre: Le macchine celibi, La Mamma, Il Sole. Il critico decide di non concepire La Mamma e Il Sole in uno spazio museale, ma di metterle in scena nel paesaggio, su una montagna sacra, il Monte Verità, appunto.
Le mammelle della verità
Il Monte Verità, secondo Szeemann, è la sommatoria di molte ideologie inserite in un paesaggio materno: «Il campo di indagine non segnò una deviazione, onde compiere il passaggio da celibe alla mamma: produsse una ghirlanda. Perché il Monte chiese un sacrificio, pretese che si mettessero a nudo tutti suoi strati geologici finché nella mia testa il fascino del tesoro svelato non prese la forma di una nuova divinità. E la nuova deità chiese venerazione. L’unico omaggio a me possibile è l’esposizione» (Szeemann 1978 in Monte Verità – Le mammelle della verità).
Monte Verità è come la Artemide di Efeso, scrive il curatore, una divinità multi mammellare, una ghirlanda, le mammelle della verità. Le mammelle della verità furono la riforma dell’anima, la riforma della vita, la riforma dello spirito, la riforma del corpo, l’utopia sociale, l’anarchia, la psicologia, la mitologia, la danza e la musica, la letteratura, l’arte.
Nel 1920, a vent’anni dalla fondazione, dopo che i capiscuola emigrarono in Brasile, seguì un intervallo bohémien, che durò finché il complesso venne acquistato dal Barone Eduard von der Heydt, banchiere dell’ex imperatore Guglielmo II e collezionista di arte contemporanea ed extraeuropea. Tra il 1927 e il 1929 l’architetto Emil Fahrenkamp, su incarico del barone, progettò e realizzò l’albergo in puro stile Bauhaus, oggi inserito tra gli alberghi storici svizzeri, e parte del complesso alberghiero del Monte Verità, che comprende la Villa Semiramis in stile Art Nouveau, Casa Monescia, Casa Marta, Casa Gioia e un meraviglioso, magico parco.
Geomanzia
Così Szeemann conclude il saggio nel catalogo del 1978 «[Monte Verità] ovviamente mostra che la società ideale è utopia ma che, per la sua stessa composizione, la società sorta a Monte Verità avrebbe potuto essere anche società ideale, se non l’avesse logorata quella costante virulenza distruttrice con cui le minoranze procreatrici solo di un gran numero di capi, si autodilaniano. Monte Verità tuttavia può considerare la società della montagna come se qui l’utopia fosse diventata realtà e il suo stupefacente potenziale di autorealizzazioni coronate dal successo si fosse condensato nel Noi».
La geomanzia è una tecnica divinatoria che postula di predire il futuro da segni e simboli esterni che esplicitano la manifestazione della divinità. Il termine deriva dal greco geōmanteía (geō “terra” e manteía “divinazione”) e significa “divinazione per mezzo della terra”. Monte Verità è stato anche pura Geomanzia.
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