Tra il Marocco e la Francia, Tahar Ben Jelloun ha vissuto mille e una vita. Filosofo, scrittore, poeta, pittore, giornalista... oggi di fronte agli orrori del conflitto israelo-palestinese non riesce a trattenere “L’urlo”: un pamphlet contro l’odio scatenato dai terroristi e la vendetta del governo israeliano che l’autore, presidente onorario del concorso cine letterario Bookciak azione!, ha presentato alle Giornate degli autori a Venezia 81.

Dopo aver spiegato il razzismo, l’Islam e il terrorismo a sua figlia e ai nostri bambini, riesce a spiegare anche la guerra in atto in Medio Oriente?

La guerra attuale è difficile da spiegare perché non è comprensibile né agli adulti né ai bambini. Abbiamo a che fare con un capo di Stato di estrema destra, Netanyahu, che è sempre stato fascista e razzista. Il suo obiettivo dichiarato è quello di liberare Israele dai palestinesi, in definitiva, vuole fare quello che gli americani hanno fatto con i pellerossa.

Ha anche un motivo personale per continuare la guerra: è accusato di corruzione, frode e abuso di potere, e se fermasse il conflitto andrebbe probabilmente in prigione. Non so se Hamas aveva preventivato la reazione spietata di Israele a seguito del terribile attacco il 7 ottobre e se i leader di Hamas, manipolati dall’Iran, avevano deciso fin dal principio di sacrificare il loro popolo. Questo mio interrogativo è impopolare nel mondo arabo e ormai mi ritrovo rifiutato sia dagli ebrei che dagli arabi.

Quando ho condannato l’attentato del 7 ottobre, molti ebrei si sono congratulati con me, ma poi quando ho condannato il bombardamento della popolazione a Gaza, quegli stessi ebrei mi hanno denunciato. Spiegare la guerra ai bambini è veramente difficile perché spesso sono loro a pagarne le conseguenze.

Come spiega il pesante silenzio dell’Europa e degli Stati Uniti di fronte ai continui massacri di civili a Gaza e in Cisgiordania?

Si sono levate alcune voci in Occidente, non molte, ma poche voci. Ci sono state manifestazioni studentesche in tutto il mondo, negli Stati arabi invece il silenzio è totale perché hanno troppi interessi con Israele e gli Stati Uniti, e poi la Palestina non interessa più.

In Israele ci sono alcune voci, diciamo umaniste, che sono contro Netanyahu, apprezzo molto l’atteggiamento dello scrittore David Grossman. Ha perso un figlio di 20 anni nella guerra del Libano del 2006, è un dolore che Netanyahu non immagina neanche.

Come è nato L’urlo, il suo ultimo pamphlet contro la guerra?

È stato istintivo. Più leggevo, vedevo e ascoltavo notizie sull’attacco di Hamas del 7 ottobre, più mi dicevo: non è possibile, stanno uccidendo la causa palestinese, hanno sdoganato un massacro di civili ed è quello che sta succedendo… è un genocidio e questo è insopportabile.

Credo che in Italia ci sia ancora libertà di espressione e che si possa affrontare l’orrore della guerra, in Francia è finita.

Vuole dire che c’è una repressione della solidarietà con la Palestina in Francia?

L’accusa di antisemitismo appena si critica Israele è diventata una regola, dobbiamo stare zitti di fronte all’operato del governo Netanyahu. Quest’estate a Tangeri ho incontrato per caso il filosofo Bernard-Henri Lévy che è un accanito attivista pro Israele. Mi ha detto: «Dobbiamo assolutamente vederci a cena!». Gli ho risposto: «No grazie, sai benissimo che finirebbe molto male…»

Conosce le mie posizioni e non possiamo mantenere una cosiddetta amicizia quando lui giustifica il massacro dei palestinesi in tv. Gli hanno chiesto un pensiero per i bambini massacrati dalle bombe di Netanyahu e lui ha risposto: «Ma Bashar al-Assad ha fatto di peggio…». Che risposta è? È malafede pura.

Oltre a denunciare gli orrori della guerra, cosa le interessa oggi come scrittore, pittore o poeta?

Ho sempre seguito il mio istinto, negli ultimi anni mi sono molto interessato alla società marocchina, ho pubblicato “Gli amanti di Casablanca” che uscirà il 15 settembre in Italia e sto ultimando il seguito che uscirà presto in Francia. È una società molto complessa, anzi spietata e le disuguaglianze sociali sono sempre più profonde.

La vita è diventata insopportabile per molte persone perché è il regno della barbarie capitalista. I poveri non hanno più posto in Marocco, c’è una classe media che sopravvive e una classe molto ricca che vive sulle nuvole. Per non parlare della classe politica, non credo che i deputati o i ministri abbiano idea dei prezzi dei pomodori che sono raddoppiati o di quelli del petrolio che è salito alle stelle.

Questo Marocco mi preoccupa molto perché non c’è giustizia, il tasso di analfabetismo è ancora molto alto, più del 30 per cento, è uno scandalo rispetto all’Algeria o alla Tunisia. Ho paura perché è l’unico Paese arabo dove c'è un po' di libertà, dove c’è una modernità assertiva. Ma ci sono forze islamiste che non mollano, hanno fallito quando erano al potere e anche se sono stati sconfessati dalle elezioni, sono ancora lì a trascinare indietro il Marocco.

Crede che ci sia ancora il rischio di indottrinare i più fragili?

Meno, perché gli islamisti si sono rivelati incompetenti, non hanno risolto nessun problema quando erano al governo. In dieci anni non hanno fatto nulla per la sanità, per l’istruzione e non hanno neanche risolto il problema della corruzione. Sono persone reazionarie che continuano ad aggrapparsi alle apparenze: la donna deve essere velata, non devono esserci rapporti sessuali prima del matrimonio…

Ha mai avuto problemi con gli islamisti?

A novembre scorso l’ex primo ministro Benkirane mi ha messo pubblicamente alla gogna in un video di 10 minuti in cui mi ha insultato in tutti i modi per aver condannato Hamas e il massacro del 7 ottobre. Alla fine del filmato ha incitato la mia punizione. Fortunatamente i reali mi hanno mandato delle guardie del corpo. Quindi sì, per gli islamisti sono decisamente un nemico. Ho una grande stima per il re Mohammed VI ma questo non mi impedisce di criticare il governo e il parlamento. Sono un contestatore, una macchina del dissenso, d’altronde non è questo il ruolo di un intellettuale?

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