Il nostro Maestro se n’è andato. A 98 anni, ultimo della grande generazione del gruppo dirigente del Pci. Per noi della Fgci, prima per Marco Fumagalli e poi per me, Aldo Tortorella fu il Virgilio che ci accompagnò nella storia di quella straordinaria – ma anche strana e contradditoria – formazione che era il Partito, e in quella di un mondo che, erano gli anni ’80 del secolo scorso, cominciava allora ad entrare in una fase completamente nuova.

Partigiano –  Alessio, il suo nome di battaglia –, antifascista, profondamente democratico, Tortorella era un comunista atipico, assolutamente antidogmatico, libertario, eterodosso, filosofo – appassionato di Baruch Spinoza – e quindi curioso e attento a tutto ciò che si muoveva nella società, e nelle coscienze delle persone. Frequentava, negli anni ‘70, personalità del femminismo, in anni di contrapposizioni con la vecchia cultura politica del Pci, e di istanze che mettevano in primo piano la soggettività e la libertà umana.

Ha avuto il coraggio di rimettere in discussione aspetti controversi della storia dei comunisti italiani («Sull’Urss Palmiro Togliatti piegò la testa – recentemente ha detto – ma in Italia scelse la via democratica», a differenza di quanto fece Enrico Berlinguer, che portò alla rottura col mondo sovietico).

La ricerca di orizzonti nuovi per la sinistra, che lo aveva visto al fianco di Berlinguer, soprattutto dopo la fine della solidarietà nazionale, non era mai terminata, anche dopo la scomparsa del leader comunista. Ci aiutò a progettare la “nuova” Fgci per raccogliere la bandiera dell’ultimo Berlinguer, e un’intera generazione si formò in quell’esperienza.

L’assenza di settarismo e di ogni rancore gli hanno permesso di continuare la sua opera anche quando non condivise la svolta del Pci. Per più di trent’anni ha lavorato per tessere occasioni di dialogo, di ricerca, di azione unitaria “per il rinnovamento della sinistra”, come recita il nome della sua associazione.

L’impegno contro la guerra, soprattutto in questi tempi così bui, è diventato il suo assillo principale. L’altro è stato la necessità di promuovere un nuovo antifascismo – «l’antifascismo della libertà solidale», come disse nel giugno scorso in un’intervista a Repubblica.

Ma è il rigore etico della sua esistenza, e della sua “prassi” politica e di quella che chiedeva agli altri a farne un gigante, distante anni-luce dalla concezione e dalla pratica politica del tempo presente, purtroppo anche a sinistra. Ha sempre rifuggito ogni protagonismo personale, bur lottando, con determinazione e coraggio, per le sue idee.

Incontrarlo, avere i suoi consigli, confrontarmi con lui è stata, soprattutto da giovane, una delle grandi fortune della mia vita.

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