La lingua barocca usata dallo scrittore in Aria di famiglia sembra rifiutare il mondo contemporaneo. Invece mostra le persone come sono davvero: incoerenti, piene di interessi particolari, benpensanti
Comincio riassumendo quel che si può dire della trama: uno scrittore di mezza età in crisi creativa (che fu il bambino adottato dallo zio nel romanzo precedente, Di chi è la colpa) si ritrova, in pieno Metoo, a lasciarsi cancellare per aver raccontato il sessismo di Flaubert ai suoi studenti universitari senza gli opportuni distinguo.
Comincia o prosegue un periodo di disamore per la scrittura e l’insegnamento e le donne, anche legato al senso di vuoto per la morte prematura di una vecchia compagna di liceo a suo tempo amata. Con cosmica simmetria, una coppia di parenti lontani muore in un incidente in montagna e allo scrittore, che non ha né moglie né figli, viene affidato l’orfano. Segue complessa e struggente palingenesi (dico sul serio: non piangevo su un romanzo da parecchio tempo).
La recensione come guida agli acquisti finisce qui. Aria di famiglia, Mondadori, è il romanzo migliore di Alessandro Piperno, quello a cui andare per capire la sua poetica, i suoi interessi, le sue prese di posizione rispetto al corso della letteratura. E proprio per questo, se la letteratura conta ancora qualcosa, devo prendere questo pezzo alla lontana. E sul personale.
Personaggio uomo
C’è un’idea fondamentale della critica letteraria che trovo problematica: il Personaggio Uomo di Giacomo Debenedetti. Il grande critico italiano vede nel modernismo il momento in cui la letteratura inventa una sorta di personaggio-squarcio, gettato sulla pagina non per raccontare storie ma per rivelare una verità sul mondo al di là di ogni classificazione di tipo realista o naturalista, e preoccupazione narrativa.
Dove la letteratura dell’Ottocento, inconsapevolmente marxista, aveva detto che la persona era innanzitutto espressione dei mondi da cui veniva (classi sociali, società, comunità, famiglie), il Personaggio Uomo è lo squarcio di assoluto che prescinde da tassonomia, parodia, satira, naturalismo, critica sociale. Se prima eri un impiegato, o un possidente, ora sei Mensch, sei pura Persona, punto d’incontro di divino e bestiale, senza ulteriori specificazioni.
È una lettura che non ho mai condiviso. Io penso che i libri modernisti – Recherche, Uomo senza qualità, Signora Dalloway e Coscienza di Zeno – siano sì scherzi esistenzialisti ma solidamente fondati sulla struttura sociale: che i loro antieroi incarnino vizi di classe perfino quando diventano eroi (eroine), come nel caso di Clarissa Dalloway, Gran Signora definitiva della storia della letteratura nonostante la vitalità del suo desiderio di dare una festa (per il primo ministro! Cosa c’è di più aspirazionale?).
Il Personaggio Uomo, oggi, è una scusa per nascondere sotto strati di pose poetiche ed eroiche gli avatar degli scrittori borghesi, smarcandoli dal dovere di raccontare il proprio mondo per quello che è: una somma di interessi economici, politici, fisiologici.
La ricerca del vero
Oggi la letteratura di qualità si è votata a una versione prêt-à-porter del Personaggio Uomo. Non esiste personaggio borghese che non sia in primo luogo un grande squarcio di verità poetica sul mondo: per le sue idee, per le sue crisi, per i suoi desideri. La letteratura di chi si sente dalla parte giusta – quella progressista ma benestante – è fatta di personaggi su cui i fatti della vita calano fasci di luce quasi divina: rivelazioni, agnizioni, trasfigurazioni. Mai nessuno che sia come le persone sono nel mondo: mediocri, piene di interessi particolari, incoerenti, benpensanti.
Qui si inserisce Piperno con la sua ricerca del vero. La lingua dei suoi romanzi ci dice che è uno scrittore barocco o manierista che sembra rifiutare il contemporaneo. I suoi suoni preferiti: “contumelie”, “ubbie”, “prelibato”, “corrivo”, “inveterato”. Questa lingua apparentemente desueta gli permette però di raccontare tutta una gamma di sentimenti che senza queste parole esagerate sarebbe inaccessibile: il borghese vuole la tranquillità, la certezza morale, la casa comoda, i piaceri, la reputazione.
Se perde una di queste cose soffre. Sono così perfino i borghesi dalle idee rivoluzionarie, lo sappiamo. In Piperno questa realtà viene raccontata molto apertamente: «Ci sistemammo nello studio di mio zio: relativamente raccolto, foderato di libri e videocassette, impregnato dell’odore stantio di pipa e scartafacci, occupava il lato settentrionale della casa, il più buio e remoto». È una tipica descrizione pipernesca: chi altro avrebbe mai definito con tanto desiderio l’aspirazione ad avere un bello studio?
«La prima cosa a cui pensai quando la preside chiamò per informarmi, con la voce rotta dall’ansia, che mio figlio (lo chiamò così) era scomparso fu l’ottusa ostinazione con cui mi ero rifiutato di acquistare a Noah lo smartphone». I mattoncini che compongono la sua scrittura, lungi dall’essere quello che uno dei miei critici preferiti, Simonetti, ha definito «nobile intrattenimento», servono a riportare l’esperienza borghese dell’esistenza: voce rotta dall’ansia, ottusa ostinazione, acquistare, smartphone.
Questa scrittura terra terra ci fa stare molto più vicini a come sappiamo essere i borghesi. Ansia, ottusa ostinazione, consumismo. Nei libri in cui i personaggi borghesi assurgono al rango (sto cominciando a scrivere come Piperno, guardate, e guardate cosa mi permette di dire) di rastremati personaggi da teatro off, lì il realismo scompare davvero. Io penso che il vero «nobile intrattenimento» sia quello di chi descrive una borghesia che non esiste, facendola bella e nobile, per intrattenere chi legge con personaggi più alati di quanto non siano i modelli originali, da sempre comici e umani, ridicoli.
Un lavoro di autocoscienza
La lettura di Piperno è un lavoro, spesso poco confortevole, di autocoscienza. Nei suoi romanzi, i borghesi (stesso ceto del 95 per cento degli scrittori italiani) vivono in una rete di senso fatta ancora di cose borghesi come: la proprietà e la robba, l’ambizione, le cene in famiglia, le velleità, i progetti di felicità, l’imbarazzante campo da tennis con relative nevrosi. E quasi solo in Piperno i personaggi anelano agli stessi confort e prestigi e snobismi di chi li scrive.
È solo questo bisogno di verità e onestà intellettuale a fargli scegliere quel lessico un po’ cialtrone, o come dice lui, bavard? Io penso che Piperno senta l’umanità dei benestanti, ma allo stesso tempo trovi molto naturale dissezionarli.
Il suo professore è vanitoso e insieme etico. È conservatore ma ascolta le femministe e si prende la colpa del suo disastro. Pensa solo ai soldi, ma rinuncia ai soldi. Molti colleghi, in presenza di protagonisti simili, ne omettono la vanità, le idee conservatrici e l’attaccamento ai soldi. Raccontando le preoccupazioni borghesi per quello che sono, Piperno può far dispiegare le possibilità della narrazione e darci personaggi complessi.
Siccome i suoi personaggi non sono costretti a vivere perennemente in posa, a fingere di non provare sentimenti medi, i rovesci delle loro fortune sono credibili: a un certo punto del romanzo, il professore vede all’orizzonte un sacco di soldi. Il suo modo di festeggiare è ridicolo e realistico: «Non dico che la fortuna piovuta addosso a Noah me lo avesse reso più caro: pitocco sì, ma non esageriamo. Era come se il fardello che mi portavo addosso si fosse alleggerito. Solo ora, tirando un sospiro di sollievo, prendevo atto di quanto il suo avvenire mi avesse angustiato».
Approfittando di questo sound dickensiano-maupassantiano, Piperno non ci fa nessuna lezione da ricchi colti sullo squallore dei soldi. Quando alla fine quei soldi non arrivano, la delusione è cocente come nel mondo reale.
Una fetta di mondo
Insomma, il realismo di Piperno usa uno strato precedente della letteratura per raccontare sentimenti che ancora esistono nel mondo e che la nuova letteratura ha nascosto alla narrazione. Sembra classista, e invece si sta sobbarcando il compito di raccontare onestamente la sua fetta di mondo: se i suoi personaggi non si gasassero per un whisky torbato o della «cucina napoletana rivisitata», non ci suonerebbero così reali le beghe ereditarie e gli scandali, le guerre e gli amori sbiaditi: «… pensando a quei vecchi bacucchi dei Baumann e al vicolo cieco in cui si erano andati a infognare, provavo una dolce vertigine». Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra.
© Riproduzione riservata