Fenomenologia delle vacanze italiane tra Tirreno fighetto e Adriatico popolare. Due mondi, due ecosistemi. Mina alla Bussola, John Foster, era un giornalista, si chiamava Paolo Occhipinti ha diretto Oggi per trent’anni e cantava Amore scusami, al Florida di Riccione. Dove si mangiava la piadina. Al Forte la spigola
È agosto e vorrei parlare di Riccione e di Forte dei Marmi. Fenomenologia delle vacanze italiane tra Tirreno fighetto e Adriatico popolare. Traiettoria disegnata dal percorso spaziotemporale che va da Sapore di mare, girato al Forte nel 1983, da Carlo Vanzina su soggetto del fratello Enrico, a Sotto il sole di Riccione, soggetto di Enrico Vanzina: con Tommaso Paradiso che canta e Isabella Ferrari che si trasforma dalla Selvaggia fortemarmina nella prodigiosa incarnazione della meravigliosa Virna Lisi del film d’origine, dandone una splendida versione riccionese.
E ritorno al Forte. Intanto perché è il quarantennale di un film fondamentale per l’immaginario della nostra cultura popolare. Anche se girato per lo più a Fregene. Di culto le scene girate alla Capannina, con De Sica e Jerry Calà malinconicamente invecchiati. Resi allora coevi più o meno allora alla loro età attuale.
La distanza
Adriatico e Tirreno. Due mondi, due ecosistemi. Mina alla Bussola, John Foster, era un giornalista, si chiamava Paolo Occhipinti ha diretto Oggi per trent’anni e cantava Amore scusami, al Florida di Riccione. Dove si mangiava la piadina. Al Forte la spigola. A Milano Marittima c’era già la pineta ad aspettare Salvini, che ora al Papeete non ci va più. Al Forte c’era il Quarto Platano. Non c’erano né il Twiga, né i fuochi d’artificio. Né i suv in spiagge trasformate in discoteche. Il sindaco Bruno Murzi, cardiochirurgo di fama mondiale, ha invitato tutti a darsi una regolata. Bocelli, Santanchè, Briatore compresi. Non c’erano ostriche e champagne.
Nessuno aveva ancora visto i russi frequentare i negozi monomarca come in Montenapoleone. Sotto il “quarto albero” del caffè Roma, c’era piuttosto il poeta Enrico Pea, quello del Moscardino tradotto anche in inglese, che aveva una benedizione, un caffeino e un sermone per tutti. Il pittore futurista e metafisico Carlo Carrà e Pea erano i santi padri. Intorno a loro si creò un motivo d’incontro tra diverse generazioni. Come se oggi i writers e le giovani scrittrici incontrassero la Aspesi e la Maraini e la Murgia al Bar Basso di Milano a bere il negroni sbagliato. Ci sono passati tutti. Pea andava al caffè Roma per scrivere le sue cose e gli altri lo venivano a trovare sapendo che lì si ritrovavano tutti per uno scambio di idee, ma anche di informazioni. Divenne una istituzione, un club.
Non mancavano i pettegolezzi, così si chiamava allora il gossip, che completavano la felicità naturale di stare insieme, vecchi e giovani. Nel 1927, tra i primi, arrivò Arturo Dazzi, che si stabilì al Cinquale. Alla Biennale di Venezia del 1926 lo scultore aveva incontrato Carlo Carrà: anche lui arrivato al Forte in cerca di silenzio, solitudine, paesaggio autentico, natura, verginità, ma soprattutto del colore fresco necessario a schiarire la sua tavolozza.
I cenacoli
Le case-studio di Dazzi e Carrà diedero subito vita a un cenacolo composto da Giovanni Papini, Roberto Longhi e Anna Banti, cui l’intelligenza stimolava la cattiveria, prima allieva e poi moglie, che qui facevano Paragone, la rivista con un numero dedicato alla letteratura e l’altro alle arti figurative, su cui tutti volevano debuttare. E Ardengo Soffici perfetto per la bisogna bifronte di Paragone perché poeta e pittore. Il circolo si estese ad artisti come Felice Carena, Raffaele De Grada, Mino Maccari. Poi arrivò il poeta Piero Bigongiari fresco della tesi di laurea su Leopardi con Attilio Momigliano. I primi tempi era solito villeggiare in compagnia di Tommaso Landolfi, Carlo Emilio Gadda e Alberto Moravia a Vittoria Apuana, alloggiando in una cameretta presa in affitto con Landolfi dalle parti del Cinquale.
Per sedersi accanto ai santi padri, gli artisti e gli intellettuali facevano a gara, arrivando da tutte le regioni d’Italia: c’era il gruppo milanese capeggiato dallo stesso Carrà; il gruppo fiorentino con in testa Giuseppe De Robertis; il gruppo romano guidato da Ungaretti. Dalla vicina Lucca giungevano Mario Pannunzio, Arrigo Benedetti, Guglielmo Petroni, Mario Tobino. Trasversalità geografica dunque, ma anche trasversalità generazionale e culturale: si andava dagli intellettuali nati negli ultimi due decenni dell’Ottocento, coloro che avevano dato nuova linfa alla partecipazione italiana al circuito culturale europeo, sino ai più giovani che, come Bigongiari, venivano via via affacciandosi al proscenio della letteratura e dell’arte. Stagioni incantevoli dove si poteva incrociare anche lo stile piemontese di Beppe Fenoglio o incontrare al pontile Alba de Cespedes.
Film e libri
Ai funerali di Pea, nel 1958, presenziò tutto il gotha della letteratura italiana, da Bontempelli a Montale, da Ungaretti a Quasimodo, dalla Banti a Soffici, e poi ancora Rèpaci, che legherà il suo nome al Premio Viareggio, fondato nel 1929, Debenedetti, De Robertis, Piovene, Pratolini, Bassani, Gadda, Longhi, Carrà, Messina. Il corteo sfilò tra sdraio e ombrelloni e le ragazze in shorts sparse fra i tavoli dei caffè: un’epoca si chiudeva, ma i più affezionati tra i villeggianti rimasero. Bigongiari fu tra questi, rimanendo fedele ai lidi apuani a dispetto del boom, degli anni ruggenti della Bussola e della Capannina, dell’avvento del chiasso e della progressiva mercificazione e sputtanamento dei luoghi. A Forte dei Marmi c’è Villa Costanza dove villeggiavano gli Agnelli, l’odierno Hotel Augustus; qui trascorsero le loro estati Gianni Agnelli e le sorelle, come racconta Susanna Agnelli nel suo libro Vestivamo alla marinara. La madre dell'Avvocato Agnelli, Virginia, vedova di Edoardo Agnelli, morì in un incidente d’auto mentre da Roma raggiungeva proprio la rinomata località balneare.
A Riccione Villa Mussolini. Acquistata nel 1934 da Rachele. Il 25 luglio 1943, giorno della caduta del fascismo, si trovavano nella villa per le vacanze estive Romano, Anna Maria con Ola, la prima moglie di Vittorio e Gina, vedova di Bruno. Quelli dell’allora Rifondazione comunista protestarono quando il comune la ripristinò come sede di mostre ed eventi col nome definitivo di Villa Mussolini. A Rimini non c’erano la Capannina e la Bussola però c’era il Paradiso assai prima di Tommaso. La più bella discoteca italiana. Dove si fondano e si confondono lo strutturalismo, la semiotica e la nuova letteratura italiana.
C’è un film meraviglioso di Valerio Zurlini, La prima notte di quiete, con Alain Delon che fa un irresistibile trasandato professore di filosofia in cappotto cammello che non faceva differenza tra studenti di sinistra e di destra. Che per quell’epoca, era uno sacrilegio. Pretendeva invece capissero Leopardi. Il film è del 1972. Si balla e Ornella Vanoni canta Domani è un altro giorno si vedrà e il set è la pista del Paradiso. Il cui proprietario era Gianni Fabbri. Fratello di Paolo Fabbri, grande intellettuale e semiologo italiano, scomparso nell’estate del 2020. Che dirigeva i corsi estivi di semiotica e linguistica nel campus dell’università della vicina Urbino.
E Umberto Eco lì vicino passava le vacanze, perché aveva comprato una residenza estiva dei gesuiti a Montecerignone, vicino a San Leo, nel Montefeltro dove portava tutti in visita alla cella di Cagliostro. E un Natale, anzi il 5 gennaio per festeggiare il suo compleanno, lì terminò di scrivere Il nome della rosa. E andava a fare il bagno a Rimini e a mangiare gli spiedini e la piadina. Mentre leggeva qualcosa sotto l’ombrellone. E allora di notte al Paradiso potevi ballare con Roland Barthes e Julia Kristeva, mentre di giorno Italo Calvino ascoltava il seminario di Paolo Fabbri sulla narratività dei tarocchi che gli avrebbe ispirato la scrittura de Il castello dei destini incrociati.
I premi
Zurlini aveva girato a Riccione anche un altro capolavoro, Estate violenta, con un giovanissimo Trintignant che racconta la storia italiana vista da una villa di Riccione dal 25 aprile all’8 settembre 1943 mentre si fa sedurre dalla moglie del gerarca fascista, una Eleonora Rossi Drago supersexy cui non si può resistere perché è la prima signora Robinson del cinema mondiale. Mentre al Forte si gira La bella di Lodi, tratto dal romanzo di Alberto Arbasino, uno dei primi film di una conturbante Stefania Sandrelli, una delle più belle Sandrelli della nostra vita, doppiata dalla voce coltissima e stracult di Adriana Asti.
È un film del 1963, l’anno successivo al Sorpasso di Dino Risi, il capolavoro del cinema italiano, un altro pezzo del racconto del boom. Una volta, mentre riceveva il Premio Satira di Forte dei Marmi, Arbasino mi ha raccontato che il giorno delle riprese sotto il quarto platano del caffè Roma non c’era nessuno. Per ordine di Longhi e della Banti.
Gli intellettuali, come sempre spocchiosi, non avevano voluto farsi riprendere dal cinema. Come fosse Dagospia. E noi per colpa loro non abbiamo quelle immagini. Il Premio Internazionale di Satira politica accadrà per la 51esima volta alla Capannina il 16 settembre. Un presidio di libertà e di satira nella terra del Twiga. Una piada a Rimini e due salti alla Capannina non fateveli mancare, neanche questa estate pensando che i fratelli Vanzina hanno saputo raccontare 40 anni fa, meglio di chiunque altro l’Italia delle vacanze che quest’anno non abbiamo potuto fare. Nostalgia canaglia. E amore infinito per Eleonora Rossi Drago, Virna Lisi e Isabella Ferrari, nel loro racconto crudele della mezz’età, nostre sante immacolate milf.
© Riproduzione riservata