È un fenomeno che riguarda diverse religione e che nel cristianesimo è inestricabilmente legato alla figura di Elena, madre di Costantino. Nel medioevo poi diventerà fondamentale la narrazione che riguarda le reliquie legate alla passione di Cristo
Legato alla materialità del corpo umano, il fenomeno delle reliquie riguarda diverse religioni, dal buddismo all’islam. Nella Bibbia ebraica sono miracolosi, stando al secondo libro dei Re, il mantello del profeta Elia rapito in cielo e le ossa del suo discepolo Eliseo.
E, secondo gli Atti degli apostoli (19,12), è Dio stesso a operare prodigi attraverso Paolo negli oltre due anni trascorsi a Efeso, «al punto che mettevano sopra i malati fazzoletti o grembiuli che erano stati a contatto con lui e le malattie cessavano e gli spiriti cattivi fuggivano».
Dopo la metà del II secolo, gli esempi nel cristianesimo antico si moltiplicano, a partire dal resoconto del martirio di Policarpo dove le reliquie del santo sono dichiarate di maggior valore delle pietre preziose e dell’oro puro. E alle critiche contro il culto dei santi da parte del prete Vigilanzio replica nel 406 Girolamo affermando che questo culto è reso al Signore del quale i martiri sono stati «testimoni» (che è poi il significato letterale del greco mártyres), come negli stessi anni spiega Agostino ai suoi fedeli.
Il ruolo di Elena
Ma già da decenni la diffusione delle reliquie in oriente e poi in occidente era stata accelerata dalla cristianizzazione promossa dall’imperatore Costantino a Gerusalemme e nella Palestina, che diviene dunque «terra santa» e meta di pellegrini. Un ruolo di primo piano, secondo lo storico coevo Eusebio di Cesarea, è svolto dalla madre del sovrano, Elena. E proprio a lei alcuni autori occidentali – tra cui Ambrogio di Milano, attento all’oriente – attribuiscono mezzo secolo più tardi la scoperta della croce di Cristo.
A immaginare la vicenda, basandosi su fonti storiche attendibili e raccontate con ironia, è nel 1950 il romanzo Elena dello scrittore inglese Evelyn Waugh. L’imperatrice madre «fece un sogno che, ne era certa, veniva da Dio». Ed ecco uno strano personaggio, «vestito e barbuto come un ebreo ortodosso», le dichiara di sapere dov’è la vera croce: «L’essenziale è che la cosa parta nel modo giusto; che ci siano un po’ di reliquie autentiche in mano a persone rispettabili. Il resto verrà da sé. Non ci sarà abbastanza roba autentica per soddisfare la domanda. E allora mi farò avanti io. E ci avrò il mio guadagno. Adesso non vorrei prendere un soldo da voi, signora. Ben lieto di farvi avere la Croce. Totalmente gratis».
Ed Elena con la sua mente vede, «in quel vivido mattino senza tempo, ciò che si preparava. Vide i santuari della cristianità diventare delle fiere, bancarelle da cui pendevano rosari e medaglie, sostanze ancora sconosciute plasmate a guisa di emblemi sacri; sentì tirare sul prezzo in lingue che ancora non esistevano. Vide i tesori delle cattedrali pieni di falsi e di imposture. Vide i cristiani combattere e rubare per entrare in possesso di robaccia. Vide tutto questo, ci pensò su e disse: “Costa cara”; e poi: “Mostratemi la Croce».
Il sogno le indica il luogo e proprio lì la reliquia di Cristo viene trovata. «Ora che la sua ricerca era finalmente compiuta non lasciava spazio ai sentimenti e badava solo a sistemare tutto nel modo migliore, come se le avessero recapitato a casa della mobilia nuova».
Poi a Costantinopoli, la capitale appena inaugurata con reliquie pagane (come il Palladio) e cristiane, il figlio Costantino le dice esultante «che è arrivato dalla Palestina un trafficante con una collezione di prim’ordine. Roba davvero importante. L’ho comprata tutta, naturalmente. Comprendeva l’ascia di Noè – proprio quella che ha usato per costruire l’arca – e il vaso di alabastro di Maria Maddalena e ogni sorta di cose».
La reliquia mantovana
Aderisce alla realtà storica l’immaginario e raffinato humour del cattolico convertito Waugh. Nel medioevo si contavano addirittura diciotto prepuzi del bambino Gesù (uno a Calcata nei pressi di Roma) – resti ovviamente inverosimili della sua invece certissima circoncisione rituale otto giorni dopo la nascita narrata dal vangelo secondo Luca (2,21) – mentre solo a Mantova si conserva la reliquia del sangue di Cristo, dalla quale un frammento viene donato all’abbazia di Weingarten, nella Germania meridionale.
Emblematica è la vicenda della reliquia mantovana, meno conosciuta di altre. L’origine viene fatta risalire addirittura al soldato romano che secondo il vangelo di Giovanni colpisce il fianco di Gesù morto sulla croce con una lancia. A questo anonimo personaggio – guarito dal sangue del crocifisso – alcuni apocrifi tardoantichi e altri testi danno il nome di Longino (probabilmente dal termine greco, lónche, che indica l’arma).
Tradizioni successive sostengono che il soldato convertito avrebbe annunciato il vangelo appunto a Mantova e, prima di morire martire, avrebbe nascosto la terra intrisa del sangue di Cristo che l’aveva risanato. Ma il ritrovamento (inventio, in latino) della reliquia è solo dell’anno 804 e si spiega nel contesto dell’alleanza tra Carlo Magno e il papato, solennizzata in questo modo.
Le reliquie della passione
Le vicende di molte reliquie attraversano la storia del cristianesimo, dalla Terra Santa a Costantinopoli, dalla Roma dei papi all’Europa medievale. L’uso politico è ricorrente, e soprattutto le crociate – in particolare le nefandezze del 1204 perpetrate a Costantinopoli – causano furti e trasferimenti di molte reliquie in occidente.
Con un’appendice erudita nell’Europa del Rinascimento indagata da Maren Elisabeth Schwab e Anthony Grafton (L’arte della scoperta, Carocci), che raccontano la falsa reliquia padovana (e certo non cristiana) delle ossa di Tito Livio, la veneratissima tunica di Cristo a Treviri e l’iscrizione trilingue sulla croce riscoperta nella basilica romana di Santa Croce in Gerusalemme.
Nel medioevo assumono un’importanza speciale quelle legate alla passione di Cristo, come la sindone torinese, dalla storia fitta di colpi di scena e non conclusa. Nel mondo celtico, ai confini settentrionali del mondo conosciuto, circostanze e personaggi delle narrazioni evangeliche, come Giuseppe d’Arimatea, s’incrociano con leggende pagane e si trasformano, con esiti molto diversi tra loro ma dove un ruolo centrale rivestono il Graal – la mitica coppa dell’ultima cena collegata poi ai templari – e la lancia che trafigge Gesù: dal Perceval di Chrétien de Troyes al Parsifal di Wagner contaminato dal mito del superuomo e dall’antigiudaismo. Sino ai più bizzarri esoterismi, a Indiana Jones e al Codice da Vinci.
La lancia e il velo della Veronica
Se due inattendibili reliquie del Graal sono rivendicate da Valencia e da Genova, più complicate sono le notizie sulla lancia. È a Gerusalemme verso il 570, e caduta in mano dei persiani nel 615 con altre reliquie della passione, è ripresa dai bizantini, ma ormai spezzata. Un frammento, offerto a Luigi IX – il santo re di Francia – e portato a Parigi con la corona di spine, nella Sainte-Chapelle appositamente costruita e consacrata nel 1248, sparisce durante la rivoluzione. Un’altra parte torna a Gerusalemme e migra a Costantinopoli prima del X secolo; conquistata dai turchi, viene donata nel 1492 dal sultano Bayezid II a papa Innocenzo VIII, che l’accoglie poche settimane prima della morte.
Trasferita a San Pietro, la reliquia della santa lancia sarebbe stata rappresentata dal Pollaiolo nel monumento funebre del papa e poi dalla statua berniniana di san Longino. Ed è la quarta – ultima ad arrivare a Roma – che circonda l’altare papale insieme a quelle che ricordano le reliquie maggiori presenti nella basilica: oltre quelle della croce (sorretta da sant’Elena) e della testa di sant’Andrea (l’apostolo fratello di Pietro), la più celebre è quella del velo della Veronica, ricordata da Dante e Petrarca.
Più ancora dell’enigmatico lenzuolo torinese – probabilmente di origine francese, legato ai templari e quindi ai Savoia – il «santo volto» ha affascinato, influendo molto sull’iconografia cristiana e sulla cultura popolare, fino alla letteratura e al cinema. Sulla base di apocrifi, nati probabilmente in Siria e rielaborati nel medioevo, sarebbe l’immagine del volto di Cristo impressa su un panno in modo prodigioso durante la sua salita al Golgota.
«Guarda com’è sudato. Posso asciugargli il viso?» chiede a un soldato, «mossa a pietà», una donna dall’«aspetto piacevole e benevolo», nell’elaboratissima sceneggiatura del film su Gesù che Carl Theodor Dreyer non ha potuto realizzare. La reliquia poi scompare da San Pietro dopo il sacco di Roma del 1527. O forse no: celata da teche d’argento e cristallo, sarebbe quella collocata nel 1606 alla base della cupola michelangiolesca e per oltre tre secoli mostrata – molto da lontano – ai fedeli.
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