Questa generazione è bravissima a passare oltre senza spostarsi di un millimetro. Il grande ritorno delle nostre cotte adolescenziali sugli schermi lo dimostra
L’eterna nostalgia dei millennial è ormai un fatto proverbiale. Veneriamo feticci del passato, rispolveriamo tamagotchi e doppie cinture, ci emozioniamo per il grande ritorno dei Bennifer – la coppia composta da Ben Affleck e Jennifer Lopez, ripristinata qualche anno fa nell’entusiasmo generale della mia generazione – e ci struggiamo per il loro inevitabile divorzio, annunciato da poco.
Ma che buona che è questa minestra riscaldata, che sapore familiare e accogliente che ha, mentre riguardo Una mamma per amica per la quattrocentesima volta, piangendo e ridendo sempre negli stessi punti e asciugandomi le lacrime sul mio divano, stringendomi in una coperta di lana, magnifico bozzolo in queste settimane in cui aspetto l’accensione dei riscaldamenti, mentre fa più freddo in casa che fuori.
Riscaldamenti che tuttavia verranno tenuti bassissimi da noi coscienziosi millennial, soprattutto dopo aver passato giorni ossessionati dall’uragano Milton, a parlare di cambiamento climatico e a percepirne tutta l’apocalittica portata, a chiederci cosa lavoriamo a fare, cosa ci riproduciamo a fare, che senso ha comprare casa, se tanto finiremo tutti travolti da una tromba d’aria, o dagli incendi, o dai flutti impetuosi del mare che busserà alle nostre porte e sommergerà i nostri appartamenti seminterrati, gli unici che ci possiamo permettere.
Le nostre fisse
Ma siamo anche bravissimi, noi millennial, a passare oltre senza spostarci di un millimetro. Come un uragano che lascia detriti e devastazione ma anche una magnifica giornata di sole, ritroviamo conforto nelle nostre piccole fisse, una ridicola predisposizione che è stata perfettamente codificata nel bel romanzo d’esordio di Edoardo Vitale Gli straordinari, uscito da poco per Mondadori. Mentre Roma va letteralmente a fuoco, Nico ed Elsa, i due protagonisti, fanno esercizi di respirazione e organizzano il loro desktop del computer, mantenendo l’ordine apparente delle loro vite e rifiutando la realtà che li circonda.
E infatti eccoci qui anche noi, a glorificare il passato ancora una volta, mentre la sezione esplora del mio Instagram – specchio del mio subconscio, correlativo oggettivo della mia idiozia, rilevatore di tendenze e manie condivise – si compone come un puzzle schizofrenico di cataclismi e foto delle mie cotte preadolescenziali. Le facce di Adam Brody, il Seth Cohen di The O.C., e di Joshua Jackson, Pacey di Dawson’s Creek, sono tornate ad affollare le nostre giornate, per il disappunto di nessuno. Il primo è il protagonista di Nobody Wants This, una serie rom-com su Netflix che non ho ancora guardato ma mi sembra di aver già visto, per quanto ne ho letto in giro.
Brody interpreta un rabbino troppo indie che si innamora di una podcaster interpretata da Kristen Bell (Veronica Mars, per rimanere in tema di ricordi). Il secondo – che è beneficiario di uno dei più grandi vantaggi evolutivi maschili, quello di migliorare ogni anno che passa come una bottiglia di Barolo – recita in Doctor Odyssey, serie prodotta da Ryan Murphy per ABC, non ancora disponibile in Italia. Tuttavia sono disponibili i molti video di Joshua Jackson che calca i red carpet alle prime americane, è disponibile il servizio fotografico fatto per Numéro Netherlands, una rivista di cui non sapevamo di aver bisogno, che ci siamo mandate fra amiche con lo stesso fervore con cui ci scambiavamo i posterini di Cioè alle medie.
Amori adolescenziali
Mentre ci arrivano le foto di Timothée Chalamet da un set newyorkese dove sfoggia un baffo che segna sul calendario la fine dei suoi giorni da sex-symbol, riscopriamo una nuova forma di nostalgia, quella per gli amori deliranti, totalizzanti e semplici per personaggi di fantasia di quando eravamo giovani. È forse l’ultima frontiera della nostra retromania, o forse ce ne sono molte altre ad aspettarci, ma io trovo che sia quantomeno una delle più eloquenti: loro sono cambiati pochissimo, ma noi ancora meno.
Brody ha sempre le fossette e l’amabile faccia da sberle che aveva vent’anni fa, quando ancora prima di diventare Seth Cohen era Dave Rygalski in Una mamma per amica (tutto si tiene). Jackson ha ancora quell’aria da ragazzaccio dal cuore d’oro che lo rendeva già all’epoca mille volte più appetibile del lessissimo Dawson (James Van Der Beek), che infatti nella vita vera è andato a vivere in un ranch e ha fatto una decina di figli biondi che emanano forti energie da setta religiosa (penso spesso, tuttavia, a una sua performance a Dancing with the Stars che mi aveva fatto in parte rivalutare il suo sex appeal).
Cosa dice di noi il fatto che ci piacciano gli stessi uomini che ci piacevano a tredici anni? E cosa dice degli uomini? Forse niente, o forse che dovremmo fidarci degli istinti primordiali anche nella scelta dei nostri partner attuali. Stiamo parlando pur sempre di modelli positivi, che avevamo tutte le ragioni di ritenere desiderabili, seppur non sapessimo ancora nulla di relazioni. Abbiamo completato il giro? Abbiamo passato gli uomini tenebrosi alla Edward Cullen, i narcisisti violenti alla Christian Grey, gli hot rodent del nuovo mondo, solo per tornare alle origini? Devastazione e detriti, e poi infine una magnifica giornata di sole.
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