Le sette tracce, secondo una tradizione che vanta origini predemocratiche, vengono scelte personalmente dal ministro. Proprio per la loro straordinaria visibilità e per il fatto stesso che vengono presentate dal ministro come un suo risultato, possono aiutarci a capire alcune linee di tendenza e a riflettere su come la politica pensa e rappresenta la scuola di oggi
Osservata dal punto di vista delle tracce d’esame, l’Italia dell’istruzione di Stato non sembra voler sfoggiare chissà quali virtù e si presenta al pubblico senza infingimenti, prudente e moderata, conservatrice senza ostentazione, opportunista ma non troppo, saldamente ancorata a una visione trasmissiva dell’educazione e tuttavia protesa verso i bisogni delle persone che devono affrontare le prove e che in fondo in fondo desiderano solo ricevere gli stimoli giusti per scrivere un testo ben fatto.
Le sette tracce uscite, le quali, secondo una tradizione che vanta origini predemocratiche, vengono scelte personalmente dal ministro, non possono essere considerate rappresentative del ben più complesso lavoro svolto dal sistema scolastico italiano per portare a termine l’esame di Stato.
Occorrerebbe attendere almeno le prove delle sessioni straordinaria e suppletiva per farsi un’idea del lavoro del gruppo tecnico ministeriale, ma proprio per la loro straordinaria visibilità e per il fatto stesso che vengono presentate dallo stesso ministro come un suo risultato, possono aiutarci a capire alcune linee di tendenza e a riflettere su come la politica pensa e rappresenta la scuola di oggi.
I temi trattati hanno un’aria di famiglia, e sembrano ricorrere ormai da alcuni anni nelle prove: la “bellezza” come tratto caratteristico della cultura italiana e come valore riconosciuto dalla Costituzione, il rapporto con le tecnologie, la guerra come esperienza del passato che torna a minacciare il presente e il futuro prossimo, e poi – e questo è forse uno dei tratti più rivelatori del lavoro dei tecnici ministeriali – l’attenzione alla comunicazione interpersonale, alla riflessione sulla scrittura e sull’interpretazione di sé e del proprio percorso di vita.
Rispetto alle prove del 2023, che a questo punto possiamo leggere come una deviazione (o una caduta di stile) rispetto al lavoro degli ultimi anni, si può intravedere il tentativo di andare incontro a chi quelle prove deve scrivere, senza tuttavia rinunciare completamente ad alcuni segnali lanciati alla società italiana.
Con grande delusione di quanti attendevano l’uscita di almeno un testo letterario di una delle moltissime grandi autrici della letteratura del Novecento, anche quest’anno si è preferito sottoporre all’analisi testuale due brani di altrettanti autori maschi (e dichiaratamente fascisti) del primissimo scorcio del secolo, Ungaretti e Pirandello.
Si tratta della poesia Pellegrinaggio, una delle più celebrate poesie del Porto sepolto (e siamo quindi nel 1916) e di una pagina del romanzo Quaderni di Serafino Gubbio operatore, uscito nel 1925: la stessa data degli Ossi di seppia di Montale, che segna una sorta di confine invisibile e apparentemente invalicabile per i licei italiani.
Le rare incursioni della prima prova nel pieno Novecento – che a scuola andrebbe affrontato in tutta la sua estensione, soprattutto nei licei, stando almeno alle Indicazioni nazionali del 2010 – hanno d’altronde scatenato la suscettibilità dell’opinione pubblica e della classe docente, che mai si è indignata come quando nel 2017 è uscita una poesia di Giorgio Caproni (un autore tra l’altro contemplato dalle suddette Indicazioni).
È l’ennesima testimonianza, semmai ce ne fosse bisogno, dell’inadeguatezza della tipologia A, “Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano”, che più che rispondere alle esigenze di chi deve sostenere l’esame rimane lì a testimoniare gli interessi e la volontà di quanti vogliono un insegnamento letterario canonizzante, capace cioè di trasmettere e di perpetuare il valore della letteratura come patrimonio nazionale.
Un’Italia altrettanto conservatrice e resistente al cambiamento emerge dalla lettura della prima delle prove della tipologia B (“Analisi e produzione di un testo argomentativo”), dedicata a un testo storico non proprio avvincente e piuttosto espositivo sulla guerra fredda, tratto dalla Storia d’Europa di Giuseppe Galasso, seguito dalla sollecitazione a riflettere sull’attualità dell’«equilibrio del terrore».
Al di là della specificità della traccia, che ha il merito di varcare almeno la soglia del 1945 e di tirare ancora in ballo il tema della guerra, assurta a motivo conduttore di questa prima parte del fascicolo d’esame, va ricordato che il testo storico è inserito ogni anno tra le prove per rispondere alle proteste delle associazioni professionali degli storici italiani, che nel 2018 in seguito all’abolizione del tema di storia si sono compattate per rivendicare almeno un testo argomentativo.
Un atteggiamento che non fa che confermare la volontà di usare queste semplici prove d’esame per dare forma alla scuola e, attraverso di essa, a una visione del mondo e della didattica ancora centrate su pochi saperi disciplinari esclusivamente di area umanistica.
In questa prima parte del fascicolo sono dunque raccolte le prove meno frequentate dagli e dalle studenti, da dare in pasto all’opinione pubblica e alla politica accademica. Seguono altre quattro prove, tradizionalmente meno visibili, più libere e più orientate ai bisogni di chi deve scrivere: altri due testi argomentativi da analizzare e interpretare e due brevi testi da cui prendere spunto per una “riflessione critica di carattere espositivo-argomentavo su tematiche di attualità” (tipologia C).
Il brano della giurista Maria Agostina Cabiddu sulla tutela costituzionale e sulla funzione civile del patrimonio storico-artistico può essere collocato nella lunga scia di un brano di Tomaso Montanari del 2019, a sua volta ispirato alle riflessioni di Salvatore Settis. Si tratta sicuramente di una scelta che guarda anche a chi studia nei licei artistici, ma è altresì la conferma della grande attenzione riservata alla cultura umanistica, mentre vengono completamente occultate due delle grandi emergenze del nostro tempo, l’emergenza ambientale e l’emergenza populista, che hanno in comune il disprezzo o l’ignoranza del pensiero scientifico.
Va nella stessa direzione il terzo testo argomentativo, riservato a una pagina del libro Riscoprire il silenzio della giornalista e saggista Nicoletta Polla-Mattiot, che invita a ragionare sul ruolo dell’ascolto e quindi del silenzio e della gestione dei turni di parola nell’ambito della comunicazione: un brano adatto a ogni tipo di scuola anche in virtù del suo impianto discorsivo non troppo rigoroso.
La sola traccia dal vaghissimo sapore scientifico, allora, è quella che prende spunto da un breve testo tratto da Elogio dell’imperfezione di Rita Levi-Montalcini, che strizza l’occhio ai percorsi di orientamento formativo che si sono svolti nelle scuole durante l’anno scolastico e che hanno spinto le scuole a insistere sulla necessità di far acquisire agli e alle studenti una maggiore consapevolezza del loro rapporto con le proprie “inclinazioni”, con il modo di fronteggiare le difficoltà e di affrontare i compiti professionali.
Chiude la serie un invito a riflettere sul rapporto tra scrittura diaristica e affermazione di blog (nel 2024!) e social a partire da un articolo online di Maurizio Caminito: ultimo indizio da cui possiamo ricavare l’età media di chi è chiamato a scrivere e a scegliere le prove, ma anche di chi ancora si impegna a commentarle e metterle sotto i riflettori, contribuendo per la nostra parte a orientare lo sguardo verso la punta di un iceberg che meriterebbe ben altre esplorazioni.
Le tracce della prima prova
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