Il grande tabellone verde che segna il punteggio sul campo centrale, a Wimbledon resta fermo per un anno. Un attimo dopo la consegna della Coppa, l’inchino dei giocatori ai reali, la carezza sulla testa dei raccattapalle, lo stadio si svuota e il risultato della finale resta scolpito là. Fino all’estate dopo.
Quando l’edizione del 2020 saltò per il covid, il tabellone rimase uguale a sé stesso per due anni, con l’orologio fermo sulla sconfitta di Federer contro Djokovic, dopo due match point mancati, una lunghissima coltellata all’umore dei fedeli del Rogeresimo. D’altra parte non esiste un orologiaio a Wimbledon. Intorno al torneo danzano un po’ di altri mestieri che sono speciali, sono speciali solo qui, al torneo dello Slam più elegante e nobile. Ma nessuno che tenga in movimento le lancette quando il torneo finisce.
Fragolai sì, fragolai ce ne sono sempre. Così gli inglesi possono continuare a mangiare il frutto più legato al tennis anche quando il tennis si sposta a New York, tra fine agosto e inizio settembre per lo Us Open. Il NIAB EMR di East Malling, nel Kent, il principale centro di ricerca ortofrutticolo britannico, un paio d’anni fa ha risolto un enigma. Come avere frutti di bosco tutto l’anno, o quasi. Diedero l’annuncio alla vigilia del torneo. Avevano creato la super fragola d’Inghilterra. Nome: Ace. Come un servizio vincente, ma pare fosse una coincidenza. Il Guardian raccontò la storia, scrivendo che l’istituzione è troppo seria per sospettare che si potesse trattare di una mossa da marketing. “Non è gente incline agli slogan” fu la formula che usarono.
Malling Ace sarà un’eccellenza, spiegava Adam Whitehouse, il capo del progetto, una nuova varietà, in aggiunta ai classici pezzi in vendita all’All England Club, coppette con porzioni da dieci, al costo di due sterline e cinquanta. Un salto di qualità. La Fragola delle Fragole. Roba che sui Beatles avrebbe perfino potuto produrre lo stesso effetto lisergico di Lucy in the Sky of Diamond.
Per essere chiari, questa storia delle fragole per tutto l’anno era una antica ambizione delle monarchie. L’idea sfruculiava già i botanici di Luigi XV a Versailles, preoccupati di sperimentare nuovi metodi di impollinazione. I cestini di Malling Ace sono finiti sugli scaffali dei supermercati dal 2022, il 90 percento dei coltivatori e dei vivai corse a richiedere le licenze per la coltivazione.
Prima che arrivasse l’Ace, il torneo di Wimbledon si era fatto bastare la solita marca, la fornitura classica giunta in esclusiva per oltre trent’anni dalla Hugh Lowe Farms, vicino a Maidstone, sempre nel Kent, il giardino d'Inghilterra, Un'azienda a conduzione familiare. L’amministratore delegato Marion Regan ha preso il posto di suo padre, Hugh Lowe, a sua volta succeduto al nonno. Nelle due settimane del torneo, i Regan hanno consegnato per decenni 30 tonnellate di fragole. Una piccola percentuale delle loro vendite annuali di 5000 tonnellate.
Con i cancelli del circolo chiusi nel 2020, l’over-produzione venne smaltita tra le famiglie dei lavoratori e nelle scuole locali. I Regan sono alla quinta generazione d’attività. La Associated Press raccontava che in azienda lavorano circa 700 dipendenti per la raccolta tra aprile a novembre. In principio erano bulgari e rumeni, dopo la Brexit la rete si è allargata e modificata. Sono arrivati anche dalle Barbados, il più bravo di tutti - dicevano i padroni - è il signor Constantin Anghel che ne lavora 40 chili all'ora. Un rumeno. Come Ilie Nastase.
◉ I GIARDINIERI
I campioni spagnoli che regnavano sul Roland-Garros negli anni Novanta odiavano quest’erba. Ivanisevic la bucava coi suoi servizi a 200 all’ora. Djokovic la assaggia. Federer ci si inginocchiava come un tempo Borg. Quindici giardinieri lavorano tutto l’anno affinché il manto si presenti splendido quando arriva l’ultimo lunedì di giugno e si ripete lo stesso rito di sempre. Lo scrittore John McPhee ha reso eterno il magistero di Robert Twynam, lo storico capo erbivoro del circolo per oltre 40 anni in Tennis, uno dei libri più belli su questo sport. Nel 1968 ne aveva scritto sul New Yorker.
Massimo D’Adamo su Il Tennis Italiano ripercorse un paio di anni fa le variazioni della nobile arte nel tempo, con il passaggio da una rasatura da sei millimetri fino agli otto attuali che sono parsi una rivoluzione. Uno crede che due millimetri siano nulla eppure tanti li considerano decisivi per il rallentamento più recente della superficie, il compromesso cercato per venire incontro a chi specialista dei prati non è. Sono venti anni che la festuca è stata sottratta alla mistura dei fili per lasciare che governi sovrano il loietto, ma Neil Stubley - il gran boss attuale dei prati - nega che ci sia qualcosa più di una sensazione di lentezza. Parla casomai di campi resi più compatti perché pressati da rulli più pesanti. Così - ha scritto la rivista Il Tennis Italiano - “restituiscono alla palla maggiore energia e producono rimbalzi più alti avvicinandoli al cemento e consentendo maggiori scambi”.
Comunque sia, il manto di Wimbledon non è più quello di Robert Twynam, che giudicava perfetta una pioggerella a di due ore e divideva i tennisti in tre tipologie, secondo gli effetti lasciati sull’erba amata. La prima: gli Strusci, “soggetti preoccupanti - riepilogava D’Adamo - che nella prima fase del servizio spostano il piede posteriore fino a riunirlo con quello avanti prima dell’esplosione verso l’alto”. Un gesto che alla lunga lascia un solco. Gli Jean Borotra e gli Jaroslav Drobny, per fare due nomi. La seconda: i Pattini, “quelli che arrivano sulla palla scivolando per una buona metrata”, eretici che si comportano come sull’argilla. I Rosewall, gli Emerson e i Kramer erano invece i virtuosi. Non vedevano mai alla tentazione di strofinarsi come sugli zoccoli il volgo tra le strade di Positano. La terza classe: le Zappe. “Quelli che nei momenti d’ira usano la racchetta come un’ascia”.
◉ GLI ADDESTRATORI DEI RACCATTAPALLE
Un grande classico dei giornali inglesi tra fine giugno e inizio luglio è il reportage di tra i ball-boys and girls di Wimbledon. I raccattapalle. Un cronista si mescola a loro e segue il cammino che fanno prima di essere gettati per due settimane sui prati, a carponi o in piedi. Non sono uguali agli altri che prestano servizio in giro per il mondo. Il sito del torneo spiega che un totale di circa 250 tra loro viene selezionato tra un migliaio di candidati: 170 hanno tra i 9 e i 10 anni, altri 80 sono più grandi, per una età media di quindici. Vengono divisi in squadre da sei e ruotano tra i campi. Un’ora dentro, un’ora fuori. Molti di loro fanno un percorso lungo due edizioni.
Un secolo fa arrivavano tutti da Shaftesbury Homes, una delle più antiche associazioni di beneficenza per bambini, dal 1946 anche da Barnardo’s, altra istituzione storica che si prende cura dei minori con dei disagi. Wimbledon ha fatto parte del percorso di inclusione sociale per intere generazioni di ragazzini indigenti oppure rimasti orfani. Oggi gli istituti scolastici dell’area che li segnalano al torneo sono una trentina. Il 1977 è stato il primo anno anche per la bambine. Tre anni dopo, nell’edizione del più memorabile Borg vs McEnroe mai giocato, vennero introdotte le squadre miste. Ma non per la finale. Le ragazzine sono state autorizzate a frequentare il campo centrale solo cinque anni più tardi (1985).
L'addestramento comincia a febbraio presso il Raynes Park Community Sports Ground. Ogni raccattapalle si allena una volta ogni quindici giorni e fino a Pasqua al coperto. Dopo le vacanze, tutte le sedute si tengono a Wimbledon e durano fino a metà giugno. Due ore e mezza di campo a settimana. Cinque anni fa all’All England hanno rintracciato un po’ dei ragazzini di una volta nel frattempo arrivati sulla settantina, li hanno riportati al circolo e gli hanno rifatto la stessa foto di una volta.
◉ GLI INCORDATORI
Il giorno prima dell'inizio del torneo, ci sono circa cinquecento racchette impilate una sull’altra da accordare. Se ne occupano sedici persone che seguono le indicazioni dei giocatori e possono restare al lavoro anche fino a mezzanotte. Come raccontato da Shira Springer sul New York Times si tratta di una squadra formata da artigiani che vengono da Spagna, Italia, Repubblica Ceca, Svizzera, Paesi Bassi, storicamente guidata da Paul Skipp, il mastro incordatore. Molti giocatori preferiscono rivolgersi a un proprio uomo di fiducia, esterno al circolo, più o meno al prezzo di 28 dollari a racchetta. Il team del circolo lavora per gli altri. Una volta Skipp ha detto al New York Times di aver incordato le racchette a 10 tra giocatori e giocatrici che alla fine hanno vinto il titolo, tra cui Angelique Kerber e Andy Murray. Così negli ultimi dieci anni, il numero di racchette lavorate dal servizio in house è più che raddoppiato, fino a toccare la previsione di 5.500 al giorno nel 2021.
Non tutto resta uguale dove niente cambia. Alcuni riti di Wimbledon sono mutati durante le edizioni in pandemia. Niente queue, per esempio, la coda sui marciapiedi per la razione quotidiana dei biglietti invenduti. Adesso è tornata e i giornali inglesi sono di nuovo là per raccontarla, un classico dei pezzi di colore. Quest’anno è invece caduto finanche il totem del bianco, il divieto di portare indumenti colorati in campo. La svolta era stata annunciata a novembre, ma rimase sotto traccia. C’erano i Mondiali di calcio. Eravamo distratti. Il provvedimento è stato pensato per le giocatrici, autorizzate a mettere un pantaloncino scuro, nella scia di quanto ottenuto dalle calciatrici, stanche di dover vivere in uno stato di ansia e di imbarazzo durante i giorni del ciclo mestruale.
La regola del bianco era stata introdotta nell’Ottocento, per evitare che si vedesse il sudore. Le calciatrici hanno condotto la battaglia, le tenniste accolgono ora il grande cambiamento. Non tutte. C’è chi ha fatto notare che presentarsi in campo con un pantaloncino scuro, equivale a una rinuncia della privacy. Per non dire che l’avversaria dall’altra parte della rete, a quel punto sa.
IL CONSIGLIO DI SLALOM
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