Nella primavera del 325 l’imperatore Costantino presiedette a Nicea il primo concilio ecumenico. Fu un evento decisivo, che ora è al centro del libro di Gian Guido Vecchi e Giovanni Maria Vian La scommessa di Costantino. Come il concilio di Nicea ha cambiato la storia (Mondadori, pagine 174, euro 20, in libreria dall’8 aprile). Ne anticipiamo la conclusione.


I fatti che abbiamo raccontato mostrano come il primo concilio ecumenico abbia cambiato la storia. Grazie alla scommessa vinta da Costantino, i vescovi riuniti a Nicea dal 20 maggio al 19 giugno del 325 hanno per la prima volta fissato una regola di fede generale che ancora oggi – millesettecento anni dopo – è idealmente quella di tutti i cristiani. L’intenzione di arrivare a una data comune per la celebrazione della festa più importante, la Pasqua, non si è invece realizzata e ha avuto come effetto di allontanare ancora di più il cristianesimo dalla sua fondamentale e ineliminabile radice «santa», l’ebraismo, con conseguenze gravi e dolorose.

Questa storia lunghissima risale appunto ai fondamenti costituiti dalle Scritture ebraiche e, attraverso le loro traduzioni in greco, all’incontro con il pensiero ellenistico: Gerusalemme e Atene, se si volesse sintetizzare in un titolo. Il greco è la lingua comune che Gesù e alcuni dei suoi discepoli masticano un po’, che viene utilizzata per rileggere i libri sacri ebraici tradotti, interpretarli come annuncio di Cristo e scrivere tutti i libri che oggi costituiscono il Nuovo Testamento.

Il ruolo dell’imperatore 

Sono i tre secoli che precedono Nicea a dare forma al cristianesimo sul quale Costantino scommette, rischiando. Un cristianesimo – sempre più lontano dall’ebraismo, del quale tuttavia conserva le Scritture – molto diversificato e vivace, nonostante le persecuzioni, che si generalizzano solo in alcuni momenti; fino all’ultima, che è anche la più sistematica e dura: quella di Diocleziano.

Gli anni dell’ascesa e della conquista del potere da parte di Costantino sono decisivi per la storia dell’impero e avranno conseguenze durevoli. Proprio allora – mentre falliscono le persecuzioni e si consolida una politica di tolleranza – l’imperatore, che ha vinto in Occidente e guarda sempre più all’Oriente, mira al predominio assoluto.

Di fronte alle rivalità tra i cristiani nell’Africa settentrionale Costantino viene chiamato in causa da coloro che si oppongono al vescovo di Cartagine, ma la crisi non si risolve e lo scisma, che prenderà il nome di donatista, durerà a lungo. Il sovrano, che sin dalla vittoria su Massenzio ha deciso di giocare la carta cristiana, non vuole che questa sua scommessa sia messa a rischio da altre divisioni interne alle chiese.

Un’iniziativa senza precedenti 

Informato della situazione critica che si manifesta ad Alessandria a causa della predicazione del prete libico Ario, condannato dal vescovo Alessandro, stavolta è Costantino a prendere l’iniziativa nel 324. L’iniziativa – convocare un concilio mondiale – si rivelerà senza precedenti. Benché molti concili e sinodi si fossero già svolti prima.

Nicea nelle intenzioni di Costantino doveva risolvere la divisione causata dalla predicazione di Ario, che finiva per svuotare la divinità di Cristo, e fissare la data della Pasqua. E inizialmente sembra proprio che il sovrano abbia raggiunto i suoi obiettivi. Ma non è così.

Preceduta dieci anni prima da misure legislative ostili al proselitismo ebraico, la decisione sulla Pasqua, ormai del tutto separata dalla data della celebrazione ebraica, avrà l’effetto di allargare il fossato – già molto grande – che divideva i cristiani dagli ebrei. Poi, a partire dal V secolo la separazione e le misure antiebraiche verranno accentuate dalla legislazione ecclesiastica e imperiale e cresceranno nel corso del Medioevo.

Ancora prima lo stesso Costantino lascia cadere la condanna nicena dell’arianesimo, con la conseguenza che la crisi ariana continua con vicende alterne per oltre mezzo secolo. È soltanto il concilio di Costantinopoli del 381 a concludere sul piano teologico la controversia ariana e le discussioni sulla Trinità.

Da tempo però missionari ariani avevano cristianizzato i goti e altre popolazioni barbariche, che dalla fine del IV secolo dilagano nelle parti occidentali dell’impero e, con i vandali ariani, arrivano in Africa settentrionale dove perseguitano con ferocia i cattolici. L’arianesimo sopravvive così fin verso la fine del VII secolo, quando i longobardi si convertono, mentre la vivace cristianità africana viene del tutto sommersa dalla marea islamica.

Le controversie successive

Chiuso finalmente il dibattito sulla Trinità, si apre però la controversia cristologica, ancora più intricata e sottile, sul rapporto tra le due nature – divina e umana – di Cristo e sono soltanto i concili successivi, tra il 431 e il 787, a scioglierne i nodi. Sia pure a caro prezzo, perché le decisioni del concilio di Calcedonia del 451, intrecciandosi con vicende politiche e in un contesto di cambiamenti epocali, separano molti cristiani orientali dall’ortodossia.

Come il concilio di Nicea, cambierà la storia anche la decisione dell’imperatore, presa nello stesso anno, di fondare tra Europa e Asia una nuova capitale che prende il suo nome: Costantinopoli. «Il vescovo di Costantinopoli abbia il primato dell’onore dopo quello di Roma perché la città è la nuova Roma» decreterà nel 381 il concilio che si svolge appunto nella nuova splendida città imperiale.

Nicea è anche il primo concilio imperiale, cioè convocato e presieduto dagli imperatori, e imperiali sono tutti i concili ecumenici sino all’ottavo: il quarto costantinopolitano dell’869-870, peraltro non riconosciuto in Oriente. Tutti si svolgono con la presenza di inviati del papa di Roma o sono comunque da lui approvati. Il concilio dell’869-870 è l’ultimo che riunisce orientali e occidentali.

Dopo i primi otto concili ecumenici, i successivi sono tali per la sola chiesa cattolica: 13 dal Lateranense I, che si tiene nel 1123, al Vaticano II, concluso nel 1965. In tutto, dunque, 21.

La divaricazione tra Costantinopoli e Roma, iniziata di fatto nel IV secolo e via via allargatasi, culmina con le reciproche scomuniche del 1054. La separazione tra le due sedi più importanti del mondo cristiano si aggrava nel 1204 con la presa di Costantinopoli e il saccheggio perpetrato dai latini durante la quarta crociata. Grazie al riavvicinamento ecumenico e all’opera di due grandi cristiani – Paolo VI, papa di Roma, e Atenagora, patriarca di Costantinopoli – solo nel 1965 si arriverà al superamento delle condanne di nove secoli prima. Ma l’unione resta ancora lontana.

Il cristianesimo in Oriente

Dopo i concili costantinopolitani del IX secolo si svolgono in Oriente molti sinodi minori ma il contesto è completamente diverso. Vivaci comunità cristiane appartenenti a diverse tradizioni orientali vivono fuori dai confini dell’Impero bizantino – in paesi non più cristiani e spesso oppressi, come soprattutto sotto il dominio musulmano – e non dipendono più dal patriarca di Costantinopoli, che pure evangelizza immensi territori nell’Europa orientale e, verso la fine del X secolo, la Rus’ di Kyiv. Da qui la sede ecclesiastica principale si sposta progressivamente a nord, prima a Vladimir e poi a Mosca, che nel XVI secolo diviene la «terza Roma».

In parallelo il dominio bizantino si restringe sempre più a causa delle pressioni esterne e l’autorità imperiale s’indebolisce fino a sparire nel 1453, quando la città fondata da Costantino viene conquistata dagli ottomani. Costantino XI – l’ultimo imperatore del lunghissimo millennio bizantino, che si chiama come il primo – scompare nella difesa della capitale. Otto anni più tardi cade ovviamente nel vuoto la proposta utopica del papa umanista Pio II che offre al conquistatore Maometto II la corona imperiale purché si converta.

Mezzo millennio più tardi, nei primi decenni del secolo scorso si inizia a preparare per la prima volta un concilio panortodosso. Finalmente, circa un secolo dopo, nel 2016 sembra fatta, ma le divisioni e le rivalità nel mondo ortodosso prevalgono ed è il potente patriarcato di Mosca ad affondare il concilio che riunisce a Creta ben dieci chiese ortodosse autocefale, cioè indipendenti, tra cui – oltre ovviamente il patriarcato di Costantinopoli – le antiche sedi patriarcali di Gerusalemme e Alessandria.

Insomma, dal concilio di Nicea al fallimento di quello di Creta il cammino è molto lungo e tortuoso, punteggiato di svolte e di sorprese. Giunti fin qui, non si può tuttavia far altro che concludere con l’inevitabile frase: ma queste sono altre storie.

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