La mia incursione da outsider nell’azzurra nave della libertà ha evocato solo sentimenti sepolcrali: sarà stato il travertino dell’Eur che ricorda inequivocabilmente quello di una tomba, sarà stata l’assenza assordante di Silvio Berlusconi, o forse la sua presenza eterea e ingombrante, ma tutto sembrava fuorché l’occasione per dare spazio al futuro
We've come a long, long way together, through the hard times and the good, canta la voce di Praise you, la famosa canzone di Fatboy Slim. I have to celebrate you, baby, I have to praise you like I should, continua. Chissà cosa direbbe Norman Cook, fervente laburista, del fatto che il suo pezzo venga usato come intermezzo tra un discorso e un altro all’evento di celebrazione dei trent’anni dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi.
“Le radici del futuro”, Salone delle Fontane, pieno Eur, nella sala in cui Jep Gambardella parlava di funerali, accomodato su una panchina di marmo, il 26 gennaio 2024 c’è una folla di avventori venuti a portare i loro omaggi al partito europeista, liberista, atlantista, così lo descrive Tajani, fondato dal Cavaliere tre decenni fa. Curiosa coincidenza, quella della scena de La grande bellezza, che proprio su Canale 5 raccoglieva otto milioni di spettatori per la sua prima messa in onda dopo il trionfo agli Oscar di Sorrentino, lo stesso regista che ha provato a dare forma cinematografica all’epopea berlusconiana.
Curiosa perché quello del 26 gennaio, chiaramente, non è un compleanno ma una commemorazione funebre. È l’atto terzo della tragedia cominciata il 12 giugno scorso; il secondo atto lo abbiamo visto in diretta dal Duomo di Milano, quando il palinsesto della televisione libera italiana si è riunito in cordoglio.
Una cosa divertente che non farò mai più, scriveva David Foster Wallace a proposito della sua esperienza su una nave da crociera; una cosa divertente che nessuno farà più, perché non ci sarà un secondo trentennale, mi viene da dire osservando questo raduno di nostalgici con la bandiera di Forza Italia in mano, pronta a essere sventolata ad ogni richiamo di entusiasmo.
La mia incursione da outsider nell’azzurra nave della libertà ha evocato solo sentimenti sepolcrali: sarà stato il travertino dell’Eur che ricorda inequivocabilmente quello di una tomba, sarà stata l’assenza assordante di Silvio Berlusconi, o forse la sua presenza eterea e ingombrante, ma tutto sembrava fuorché l’occasione per dare spazio al futuro, immaginando i prossimi trent’anni. Del resto, difficile fare una festa senza il festeggiato.
La platea
La prima cosa che noto è che ci sono solo vecchi e giovani; gli anziani fumano il sigaro, i giovani l’iQOS. Mancano i trentenni, i miei coetanei, la fascia media, quelli che quando Berlusconi era al governo andavano a scuola, forse perché, mi viene da pensare con una deduzione molto sommaria, siamo la generazione che è stata formata a suon di proteste anti-Gelmini e anti-Moratti, non abbastanza grandi da ricordare i fasti degli anni ‘80 e ‘90, neanche abbastanza giovani da idealizzare gli anni Zero.
Siamo anche la generazione cresciuta col palinsesto di Italia 1 tatuato in testa, quindi tanto meglio. I ragazzi, in particolare, ventenni brufolosi con acconciature ben curate, ciuffi vaporosi in stile Benji e Fede da abbinare a completi e accessori troppo seriosi per la loro età, mi ricordano quelli che vedo ogni volta che vado in palestra, una Virgin accanto alla sede di Kpmg: i laureati alla Luiss che lavorano “in consulenza”, con il Barbour nuovo di pacca, giacca e cravatta, le scarpe lucide, troppi pochi capelli bianchi per essere considerati davvero adulti. Due di questi giovani cosplayer del forzista mi si avvicinano per chiedermi una sigaretta, ne approfitto per fare qualche domanda.
Uno dei due non vuole parlare, l’altro invece mi dice che è da due anni e mezzo che ha la tessera del partito, contro la volontà familiare. È di Milano, studia ingegneria informatica, ha una spilletta di FI sulla giacca, quando gli chiedo se si aspettava che ci sarebbe stato qualche membro della famiglia Berlusconi mi risponde che tutti hanno qualcosa da fare, ciascuno al suo posto, che non è nel partito.
Poi mi chiedono per chi scrivo, «Scrivi per la Lucarelli e vieni al raduno di Forza Italia?», il ragazzo ha le idee confuse. Mi rendo conto solo a quel punto del perché mi sentissi osservata con una certa ostilità: ho una sciarpa rossa.
Un coro di voci sbilenche intona l’inno di Forza Italia, si comincia. Dopo una doverosa proiezione del discorso di discesa in campo, quello con la calza sulla camera, Tajani apre le danze, in mezzo parlano Gianni Letta – «È difficile parlare dopo aver sentito quella voce», quella de «L’Italia è il Paese che amo» –, Stefania Craxi, Rita Dalla Chiesa, professori, vecchi amici, Iva Zanicchi si palesa in forma di videomessaggio, la conduzione è affidata a Safiria Leccese che indossa una giacca un po’ troppo stretta. In prima fila, Bernini (commossa), Gasparri (canta con entusiasmo l’inno, occhio lucido anche lui), Casellati (elegantemente emozionata) e altri big del partito; in fondo alla sala, Antonio Razzi, il politico-meme con cui i giovanissimi vogliono scattare un selfie.
Bruno Vespa ci racconta del patto con gli italiani, di cui lui conserva gelosamente la copia originale, e chiude ricordando a chi parla di Tele-Meloni che all’epoca di Silvio c’erano Santoro, Benigni, Biagi e Luttazzi a fare da cani da guardia all’egemonia culturale di sinistra.
Rita Dalla Chiesa invece fa un omaggio alla televisione di colori, alla disposizione cromatica che il Presidente sceglieva in persona per Un autunno tutto d’oro. E poi dice, parafrasando un meme di Twitter di cui probabilmente ignora l’esistenza, «Trovatevi qualcuno che vi guardi come Tajani guardava Berlusconi», quanta tenerezza.
Il lessico
Individualista, libertario, anti-politica, Reagan, anni Ottanta, ma soprattutto, umanità, empatia. Queste sono le parole che vengono ripetute con più frequenza. C’è un video che raccoglie tutti i momenti topici della sua carriera con una musica tensiva in stile Avengers di sottofondo, mi domando con tristezza come mai non sia stato inserito anche il discorso in inglese fatto a Bush in quell’inglese maccheronico che ogni tanto sfoggiava Berlusconi, “Ai consideres des”; poi mi rendo conto che quello che ho in testa è un Blob, non un video commemorativo.
Un ragazzone del 2003 ha il programma in mano, gli chiedo di poter sbirciare, mi dice guardandomi dalla testa ai piedi con fare sospetto, «Non posso». Mentre si consulta con il suo compare in un accento inequivocabilmente campano – c’è molta Campania in questa celebrazione – ascolto la conversazione tra le ragazze che sono con loro: parlano di braccialetti Pandora.
Alla fine mi mostra il programma, siamo quasi alla fine. E Marta, dov’è? Nessuno la evoca se non Tajani, riferendosi all’amore e alla cura che gli amati figli dell’amico scomparso hanno dimostrato nei confronti di tutti, anche della vedova ad honorem. Tajani, che prende parola per il climax finale, prima ci mostra il domani del partito, un tesserato nato nel 2009, poi una tesserata di 103 anni, presente e futuro insieme. Perché Silvio Berlusconi, dice, non ha un erede, ma tanti eredi, gli eredi siamo noi.
Sarà, intanto a me questo trentesimo è sembrato più una scusa per parlare ancora di Berlusconi, dopo tanto strada fatta insieme, nel bel bello e nel brutto tempo, come dice la canzone di Fatboy Slim, che un modo per piantare queste fantomatiche radici per il futuro. Unico cenno di contemporaneità, una standing ovation al grido tajaniano di “No!” alla patrimoniale. E nemmeno una barzelletta.
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