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Il liberalismo ha rappresentato nel XIX e nel XX secolo l’ideologia che difendeva l’economia di mercato, i diritti civili, la tolleranza religiosa e lottava contro l’invadenza del potere statale. Mentre negli Usa chi si dichiara oggi liberale si riconosce invece nel welfare e nelle diverse declinazioni della socialdemocrazia
- Nella consapevolezza di quanto sia arduo districarsi tra queste sfaccettature, Michael Walzer in Che cosa significa essere liberale scrive che il sentirsi liberali si può descrivere in termini morali più che politici
- Walzer riserva una particolare attenzione al socialismo liberale di Carlo Rosselli, che pensava che si può essere socialisti senza essere marxisti. Rosselli non si proponeva di realizzare l’uguaglianza sopprimendo la libertà e il pensiero di Eduard Bernstein, il teorico del socialismo riformista
Il liberalismo, scrive Michael Walzer in Che cosa significa essere liberale (Raffaello Cortina Editore 2023), ha rappresentato nel XIX e nel XX secolo l’ideologia che difendeva l’economia di mercato, i diritti civili, la tolleranza religiosa e lottava contro l’invadenza del potere statale, principi, questi, alla base dei movimenti libertari dei nostri giorni, che teorizzano con radicalità lo stato minimo.
Negli Usa chi si dichiara oggi liberale si riconosce invece nel welfare e nelle diverse declinazioni della socialdemocrazia, mentre in Europa i partiti che si ispirano al liberalismo riprendono le teorie del laissez faire. L’impostazione neoliberale, negli Stati Uniti come in Europa, ha però fortemente influenzato lo schieramento progressista, come dimostrano le scelte di Barack Obama o di Joe Biden e i programmi dei partiti di centrosinistra in Italia e non solo.
L’assenza di dogmatismo
Nella consapevolezza di quanto sia arduo districarsi tra queste sfaccettature, Walzer scrive che il sentirsi liberali si può descrivere in termini morali più che politici. Emergono così i tratti di una mentalità aperta, estranea al dogmatismo.
Questo approccio conduce, a suo avviso, a privilegiare l’aggettivo “liberale” rispetto al sostantivo “liberalismo”. La connessione aggettivale consentirebbe infatti di attribuire un tratto di tolleranza all’essere democratici, nazionalisti, socialisti, femministi, o semplicemente intellettuali che vogliono intervenire nel discorso pubblico.
L’aggettivo non può stare in piedi da solo, scrive Walzer, ma ha bisogno dei sostantivi, che solo adottando una prassi e un linguaggio liberali, potranno però evitare di trasformarsi in concezioni monolitiche.
Un governo che, in forza di un’ampia legittimazione popolare, limitasse il dissenso attraverso il controllo della stampa e della magistratura, diverrebbe una tirannia della maggioranza, una democrazia illiberale, come l’Ungheria di Orbán o la Turchia di Erdogan.
Walzer riserva una particolare attenzione al socialismo liberale di Carlo Rosselli, assassinato dai fascisti in Francia nel giugno del 1937 e ostracizzato dai comunisti, perché, come avrebbe detto Luciano Pellicani, pensava che si può essere socialisti senza essere marxisti.
Rosselli non si proponeva di realizzare l’uguaglianza sopprimendo la libertà, ma condivideva il pensiero di Eduard Bernstein, il teorico del socialismo riformista, secondo il quale «non c’era idea liberale che non appartenesse al contenuto ideale del socialismo».
Due grandi liberali come John Maynard Keynes e Lord William Beveridge, che non avevano mai identificato il liberalismo esclusivamente con il libero mercato, rappresentavano, in questa direzione, degli interlocutori privilegiati.
L’universalismo
Nadia Urbinati e Monique Canto-Sperber hanno scritto che il socialismo liberale è forse l’unico ideale radicato nella tradizione politica e morale europea ad avere un “respiro universalista”.
Ecco perché il pensiero di Carlo Rosselli ha suscitato grande interesse negli Usa, grazie anche alla traduzione di Socialismo liberale, curata da Nadia Urbinati e pubblicata nel 1994 dalla Princeton University Press.
La questione aggettivale sollevata da Walzer non è estranea al dibattito teorico italiano. Guido Calogero, che fu tra i massimi rappresentanti del movimento azionista, riteneva che ai termini “socialismo liberale” o “liberalismo socialista” dovesse preferirsi “liberalsocialismo”, per esprimere pienamente la «complementarietà indissolubile di due aspetti della stessa idea».
Nelle sue riflessioni affiorava anche un richiamo al messaggio evangelico. Nel Secondo Manifesto del Liberalsocialismo, del 1941, in cui è presente l’influenza della “religione aperta” di Aldo Capitini, si legge infatti che «l’ideale del liberalsocialismo non è che l’eterno ideale del Vangelo. Esso non è che una forma di cristianesimo pratico, di servizio di Dio calato nella realtà. Chi ama il prossimo suo come se stesso non può non lavorare per la giustizia e la libertà».
È evidente che le riflessioni di Walzer e di Calogero si collocano in due momenti storici lontani e diversi. Walzer si confronta con una società complessa, in cui, quando prevale il radicalismo identitario, il rischio del conflitto sociale è costante.
Calogero, dopo la fine dei totalitarismi, auspicava che la dimensione umanistica del liberalismo e del socialismo potessero incontrarsi, rinunciando rispettivamente alla difesa del mercato senza regole e ai dogmi dell’ideologia.
L’ambientalismo, il femminismo, il multiculturalismo, i movimenti legati al gender, erano del tutto estranei al suo orizzonte. Alla luce del saggio di Walzer, Calogero avrebbe forse riformulato il rapporto tra l’aggettivo “liberale” e i tanti sostantivi presenti nel variegato paesaggio politico contemporaneo, nello spirito della filosofia del dialogo alla quale si dedicò con rigore teoretico e passione civile.
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